Le indagini della procura di Perugia: associazionismo giudiziario e ruolo della magistratura
Mariano Sciacca, magistrato, presidente della sezione fallimentare e specializzata in Diritto di impresa del Tribunale di Catania, già membro del CSM – anni 2010\2014 – è oggi presidente nazionale di Unità per la Costituzione.
Quello che segue è l’intervento tenuto a Roma dal giudice Mariano Sciacca il 15 giugno 2019 come introduzione ai lavori del comitato di coordinamento nazionale di Unità per la Costituzione dopo le notizie stampa sulle indagini della Procura di Perugia e le dimissioni dei Consiglieri del CSM di Unicost. Unicost è stato il primo gruppo associativo all’interno della Associazione nazionale magistrati (ANM) a intervenire pubblicamente e a richiedere formalmente le dimissioni dei magistrati coinvolti nelle indagini. L’intervento può essere reperito anche sul sito di UniCost, insieme ad altri importanti contributi.
Nell’aprire i lavori di questo CDC permettetemi di rivolgere un rispettoso, riconoscente saluto al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, vigile, paziente custode del C.S.M..Grazie Signor Presidente, punto di riferimento per l’intera magistratura italiana.
Un abbraccio fraterno ai nostri tre consiglieri – Cochita, Marco e Michele – che nella tempesta non hanno mai perso la bussola, silenti interpreti della migliore tradizione istituzionale. Grazie cari amici. Unità per la Costituzione confida nel vostro impegno rigoroso e autonomo.
A seguito del rifiuto dei dirigenti dell’AGMI di trasformare l’associazione in sindacato fascista, l’assemblea generale tenuta il 21 dicembre 1925 deliberò lo scioglimento dell’AGMI. L’ultimo numero de “La magistratura” datato 15 gennaio 1926 pubblica un editoriale non firmato dal titolo “L’idea che non muore”: l’idea che non muore. Cosi hanno scritto:
“Forse con un po’ più di comprensione – come eufemisticamente suol dirsi – non ci sarebbe stato impossibile organizzarsi una piccola vita senza gravi dilemmi e senza rischi, una piccola vita soffusa di tepide aurette, al sicuro dalle intemperie e protetta dalla nobiltà di qualche satrapia… La mezzafede non è il nostro forte: la ‘vita a comodo’ è troppo semplice per spiriti semplici come i nostri. Ecco perché abbiamo preferito morire”.
Oggi, credo, discutiamo proprio di questo.
Di un’idea che non deve morire.
Oggi a titolo personale e come Presidente di questa assemblea chiedo scusa ai tutti magistrati italiani, associati e no, chiedo scusa a tutti i giovani magistrati italiani, a Marco, Tony, Margherita, Andrea, Davide, Totò, Magda, Tommaso per gli anni terribili che hanno vissuto con onore alla Procura di Siracusa.
Chiedo scusa a Francesco Brando e Marco Gambardella che non conosco e a cui chiedo di non considerare spezzato il sogno di potere fare il Magistrato a testa alta.
Chiedo scusa a mio figlio Lorenzo che forse vuole fare il magistrato e legge i giornali.
Siamo in crisi, amici miei. Crisi che ci impone di riflettere su noi stessi e ci espone ad una tempesta. Tempesta che deve essere ragione per rinnovarsi e crescere. Crisi quindi come dovere e necessità del confronto effettivo sui problemi reali. Crisi, nel nostro caso, come opportunità per intervenire sui meccanismi reali che presiedono alla macchina associativa. Crisi come fenomeno che chiama tutti ad un nuovo esercizio di democrazia partecipativa. Crisi quindi come dovere morale e politico di una superiore sintesi positiva, come necessità di un lessico familiare che accomuna e consente di scegliere per il bene comune. Crisi come strumento che sconfigge le prassi inveterate e disfunzionali, che abbatte i particolarismi e i localismi, che ha in sé – e per se stessa – la terribile forza di autoimporsi, di una forza che, se non spalanca le porte al migliore dei mondi possibili, è l’unico viatico da percorrere per evitare il dispiegarsi incontrollato di energie distruttive e disgregatrici.
Vi confesso che in questi drammatici giorni in più occasioni ho rischiato di essere travolto dallo scoramento, ma su tutto ha prevalso la rabbia, la rabbia, la rabbia – lo voglio ripetere tre volte – per tutto quello che via via ho letto sui giornali. Ed insieme però ho avvertito anche l’orgoglio della condivisione per la rabbia che cresceva intorno a me in questo gruppo di persone perbene. Ho avvertito la condivisione di una storia che va difesa e difesa anche da noi stessi. Ho sentito forte la necessità di rimanere fermi, nonostante il terremoto, su di un progetto di servizio alla Costituzione, di servizio alla giurisdizione. Un progetto di Impegno Costituzionale che rimane fermo lì davanti a noi, nonostante la nostra storia sia stata, probabilmente, ferita e umiliata.
Amici miei, vi prego, questi giorni non li dimentichi nessuno e siano sprone e monito per tutti, nessuno escluso.
Oggi abbiamo l’occasione – forse veramente l’ultima – per un ritorno alle origini, per un confronto crudele, ma necessario con la nostra storia di questi anni; fare i conti e rendicontare, quale viatico per il possibile futuro.
Voglio essere chiaro: non penso, né voglio, né parlo di resa dei conti, ma non c’è dubbio che dobbiamo rendere conto a noi stessi, alle nostre famiglie, ai magistrati e ai cittadini italiani di quello che è successo, di cosa non ha funzionato, di come i rapporti associativi, forti anche di rapporti personali e di cointeressenze, hanno fagocitato, favorito e agevolato i fatti per cui oggi siamo qui. Interrogarci per capire cosa cambiare. Cambiare veramente.
La questione morale attraversa la magistratura, come attraversa l’intero paese, ma noi magistrati siamo depositari di un terribile potere, la cui legittimazione, oltre ad essere scritta nella Costituzione, trova fondamento nella professionalità e nella credibilità davanti ai cittadini italiani. Vi prego, non intendete queste parole come facile lavacro pubblico strumentale solo a voltare pagina. Oggi questa credibilità per colpe anche nostre è ai minimi storici.
Non si tratta di accondiscendere né alla piazza urlante, né rendersi strumento suonato e stonato – più o meno consapevole – della stampa. So perfettamente di ricorrere a parole pesanti, molto dure, qualcuno dirà sicuramente anche eccessive, ma davanti ai fatti che si stagliano davanti a noi – perdonatemi – il mio scarno lessico non riesce a trovare altre parole.
Uno dei momenti più brutti che ho vissuto nei giorni passati è stato quello – immediatamente successivo alle prime notizie di stampa – in cui ho dovuto spiegare a mio figlio qual era il legame tra il nuovo incarico ricevuto di Presidente del gruppo e gli articoli di stampa che piano piano delineavano un quadro a tinte fosche. Spero di essere riuscito a spiegarmi, ma quella discussione mi ha profondamente segnato.
Sappiamo bene che, accettato un incarico se ne deve portare il peso al di là dei rapporti personali per riaffermare quei valori che – aldilà di ciò che veramente è stato e di ciò che successivamente verrà accertato nelle sedi competenti – risultano ad oggi lesi in sede pubblica.
Non siamo in questo consesso chiamati a giudicare in base a codici e leggi. Per quel compito altri colleghi nelle competenti sedi istituzionali stanno operando, dimostrando che la magistratura italiana ha dentro di sé, com’è suo dovere, gli anticorpi per reagire. A loro va, ancora una volta, il nostro sostegno e ringraziamento.
Oggi siamo chiamati ad una riflessione alta sulla politica associativa e sul ruolo delle correnti, sul funzionamento del CSM e sulla sua credibilità, al di là delle singole persone coinvolte. Siamo chiamati ad interrogarci sul ruolo delle correnti, senza fare diventare questo momento un’occasione autoassolutoria, empia di vuota retorica. Siamo chiamati a decidere quale debba essere ancora, se deve ancora essere, la ragion d’essere di Unità per la Costituzione, quale sia il suo progetto politico associativo, quali siano le azioni e le proposte concrete che vogliamo sottoporre ai nostri colleghi.
La scommessa di tutti i gruppi associativi, nessuno escluso, dentro l’A.N.M. è spiegare con parole nuove e fatti coerenti quanto sia importante – in un mondo dal pensiero atomizzato, disgregato, svilito dalle individualità e dall’ignoranza – il pensiero organizzato, frutto di confronto e riflessione tra le tante sensibilità culturali che sono l’in sé del diritto, dell’interpretazione, della giurisdizione.
Dobbiamo ascoltare e spiegare:
– che il sorteggio dei decisori è solo cieco affidarsi al crudele gioco di una roulette russa in cui il grilletto in mano lo avranno ancor più in mano le lobby e le massonerie di turno, arbitre della terribile solitudine del baciato dalla Sorte,
– che il guanto di sfida lanciato dal nuovo ordinamento giudiziario – riforma che ci ha consegnato praterie di discrezionalità valutativa per valorizzare finalmente il merito giudiziario e organizzativo – deve essere accettato, rifuggendo un antistorico ripiegamento sulla sola anzianità di servizio, ma temperando tutto con la valorizzazione di una congrua anzianità di servizio e nuove oggettive verifiche dei risultati;
– che le apparenti parole d’ordine del moderno populismo (investitura di un leader salvifico, esaltazione della partecipazione diretta – eventualmente solo telematica – degli associati non più mediata da corpi intermedi, la distruttiva contestazione del sistema, dei professionisti dell’associazionismo, l’assalto indiscriminato alla “casta”, il fumoso e poco convinto invito all’autoscioglimento delle correnti, rubo queste espressioni alla collega Maccora) sono il migliore, potentissimo scivolo per lo svuotamento finale del ruolo culturale e progressivo dell’associazionismo giudiziario e l’abdicazione definitiva in favore del solipsismo giudiziario (effetti questi impediti dall’opposizione alla riforma Castelli di tanti anni fa che avremmo oggi il peso di avere autonomamente acconsentito, anzi agevolato).
Non abbiamo avuto da questi giorni solo frutti avvelenati, schiaffi sul viso, crudeli dolori legati all’interruzione di storie personali e amicizie. Questi giorni ci hanno anche consegnato anche una nuova consapevolezza che ora dobbiamo tenere con noi, che dobbiamo provare a fare crescere e valorizzare a testa alta. Un nuovo modo di fare associazione, accanto ai colleghi, anche a quelli più rabbiosi, per spendere argomenti seri, per tornare a discutere di proposte lucide, coerenti e concrete.
La questione morale e la ferma consegna della tutela della legalità costituzionale costituiscono un punto di riferimento ineliminabile.
Conosco e riconosco per la mia non breve esperienza associativa gli esperti in doveri altrui che tante occasioni concrete hanno lasciato per strada e ben poco hanno guardato dentro casa propria, prima di dispensare certezza e lezioni di morale in casa altrui. Ma questa ovvia, condivisibile considerazione però – sotto un primo profilo – non mi rassicura per nulla e – sotto altro profilo – la ritengo tanto più odiosa qualora voglia essere resa strumento per giustificare comportamenti men che moralmente e deontologicamente accettabili, ancor prima che legittimi.
Guardiamo oggi e anche domani dentro casa nostra.
Siamo e saremo chiamati a pagare dei costi umani, culturali ed elettorali e ne dobbiamo accettare il peso con lungimiranza politica e culturale: il nostro futuro si decide da oggi e l’unica possibile ricetta che vedo, l’unico metodo al quale dobbiamo votarci è quello di essere rigorosi e coerenti.
Dire di no, quando un no va pronunciato.
Di dire di si, offrendo un progetto culturale moderno, nazionale, coerente e concreto.
Avere la forza di saper perdere.
Dobbiamo avere la capacità individuale di vivere la quotidianità associativa secondo una prospettiva più ampia che sia illuminata dall’accettazione – senza se e senza ma – di una coerente moralità pubblica della quale dobbiamo essere primi testimoni.
Solo così potremmo tentare di convincere le nuove generazioni di magistrati che Unità per la Costituzione è ancora un centro reale e credibile di elaborazione culturale; un affidabile centro di proposta associativa che non cede alle sirene dei lumi di chiesa o dei lumi di officina, per citare il mio amato Montale.
Costituzionalmente terzi.
Sento dire che saremmo di fronte a un male comune, che bisogna evitare le ipocrisie.
Chi vi parla per quattro anni ha letteralmente vissuto al Consiglio Superiore della Magistratura; ho avuto piena consapevolezza dei meccanismi di funzionamento della quinta commissione; ne conosco tutta la complessità dei rapporti personali e del confronto con la componente laica, dell’imperfezione del T.U. sulla dirigenza, delle oggettive difficoltà di individuare i cd. migliori dirigenti. Ho condiviso la responsabilità di decisioni difficili, anche controverse, ma gli scontri e le urla servivano comunque a garantire una sintesi comune.
Senza ipocrisia, ma senza facili assoluzioni politiche, va detto che il rapporto con la politica è doveroso, ma nelle sole forme volute dal legislatore.
Nella sede consiliare, il quotidiano confronto nelle commissioni referenti con la componente laica, espressione della legittimazione popolare per via parlamentare, è la consegna saggia della nostra Costituzione che ci ha riconosciuto la prerogativa bollente dell’indipendenza e del governo autonomo, bilanciandola proprio con l’interlocuzione con la componente di nomina politica. E dentro la comune casa consiliare il confronto con la politica è doveroso. Oltre il perimetro di Palazzo dei Marescialli si entra in un territorio irto di pericoli e esposto alle lobby. Dentro quelle mura dobbiamo tutti rimboccarci le maniche e mettere mano ad una seria riforma del T.U. sulla dirigenza.
Quindi nessuna ipocrisia. Accettazione non solo, ma condivisione di un rapporto fisiologico con la cd. Politica. E mi siano, in tal senso, consentiti due ringraziamenti sinceri.
Grazie al Vicepresidente del C.S.M., on.le Davide Ermini, e a tutti i consiglieri laici per la serietà, la compostezza e la solidità istituzionale che hanno interpretato in questi giorni.
Il secondo ringraziamento, anche questo non formale, all’operato equilibrato e dialogante del Ministro di Giustizia che, cogliendo la delicatezza del momento e la profonda crisi di un sistema vitale per la democrazia nel paese, si è concretamente interrogato, al di là delle patologie dell’oggi, su quali nuovi strumenti di valutazione e selezione oggettiva della classe dirigente degli uffici giudiziari italiani possiamo adottare. Signor Ministro, potremo anche non sempre condividere alcune proposte, ma il metodo del confronto e del dialogo sulle proposte concrete ci troverà sempre disponibili e collaborativi, come è nostro dovere.
Oggi siamo chiamati ancora all’impegno, illuminato – ripeto – dalla morale pubblica, dalla coerenza e dalla concretezza. Siamo chiamati a rivitalizzare il confronto interno al gruppo, rendendolo sempre più reale, non svuotandolo di contenuti e passione, riattivando la democrazia interna al gruppo, forse per troppo tempo addomesticata e addormentata nell’inseguire prospettive territoriali o individuali. Ciò che oggi decideremo, ciò che i consiglieri al C.S.M. in autonomia decideranno di giorno in giorno parleranno per noi. Siamo chiamati da oggi al lavoro e all’impegno più duro.
Essere rigorosi e propositivi, senza accondiscendere a nuove sirene o alle urla della piazza.
Essere riformisti nel senso più profondo e complesso. In senso culturale e non politico. Ovvero riuscire ad essere portatori sani di riforme meditate ma reali.
L’economista Federico Caffé nel lontano 1982 ci ha parlato della solitudine del riformista. Oggi queste parole le consegno a voi come viatico, come metodo di lavoro che è contenuto sostanziale per scegliere bene. Dice Caffè: Il riformista è ben consapevole d’essere costantemente deriso da chi prospetta future palingenesi, soprattutto per il fatto che queste sono vaghe, dai contorni indefiniti e si riassumono, generalmente, in una formula che non si sa bene cosa voglia dire, ma che ha il pregio di un magico effetto di richiamo. La derisione è giustificata, in quanto il riformista, in fondo, non fa che ritessere una tela che altri sistematicamente distrugge. E’ agevole contrapporgli che, sin quando non cambi «il sistema», le sue innovazioni miglioratrici non fanno che tappare buchi e puntellare un edificio che non cessa per questo di essere vetusto e pieno di crepe (o «contraddizioni»). Egli è tuttavia convinto di operare nella storia, ossia nell’ambito di un «sistema», di cui non intende essere né l’apologeta, né il becchino; ma, nei limiti delle sue possibilità, un componente sollecito ad apportare tutti quei miglioramenti che siano concretabili nell’immediato e non desiderabili in vacuo. Egli preferisce il poco al tutto, il realizzabile all’utopico, il gradualismo delle trasformazioni a una sempre rinviata trasformazione radicale del «sistema».
Oggi il mandato ricevuto dall’assemblea il 25 maggio è a vostra disposizione; mandato ricevuto in un altro momento storico, senza alcuna consapevolezza di quello che accadeva a Perugia. Eravamo convinti di dovere avviare una fase nuova di revisione della proposta politica e di riorganizzazione dei lavori del gruppo, dopo l’esperienza dolorosa delle due ultime elezioni al C.S.M. (il mio pensiero va a Francesco D’Alessandro e a Carmelo Celentano, forse inconsapevoli vittime sacrificali di queste trame). Né io né la segreteria nazionale potevano immaginare quanto di lì a poco sarebbe accaduto. Ho vissuto questi giorni durissimi, assumendomi la responsabilità insieme ad Enrico e ai vicesegretari nazionali, di decisioni e comunicati che erano doverosi, doverosi a prescindere dalla tutela dell’immagine e della credibilità di Unità per la Costituzione.
Oggi mi assumo ancora una volta davanti a voi questa responsabilità, augurandovi buon lavoro. Sia questo primo momento assembleare un momento di confronto tra tutti i colleghi, senza limiti, vincoli di ruolo o posizione e senza ricette preconfezionate da nessuno
Ringrazio sinceramente tutti, i colleghi che hanno in massa partecipato alle assemblee sezionali dell’A.N.M., ringrazio le sezioni – sperando di non scordare alcuno – di U.p.C. della Corte di Cassazione, della Puglia, Toscana, Brescia, Reggio Emilia, Molise, Marche e del Triveneto, di Reggio Calabria, Salerno, Catanzaro, Bologna, Milano, Roma, Napoli, Palermo, Messina, Milano, Catania che ci hanno fatto giungere il loro sostegno.
Così come non posso non plaudire al lavoro dei colleghi del C.D.C. e dei nostri rappresentati nella Giunta Esecutiva Centrale dell’A.N.M. che hanno saputo tenere la barra a dritta tra i marosi e le tempeste di questi giorni.
Da loro, già da domani, ci aspettiamo un quotidiano, significativo impegno nella diretta gestione di questa fase associativa, a testimone che Unità per la Costituzione si sente investita in prima persona dai fatti di Perugia e intende assumersi tutte le responsabilità che su di noi gravano.
Grazie a tutti, cari amici, siete stati bravissimi. Avete onorato la fiducia dei colleghi che vi hanno eletto.
Concludo.
Sono fortemente e irrevocabilmente convinto che la mia generazione deve progressivamente cedere il passo alle generazioni di colleghi più giovani, presenti oggi qui o rimasti a lavorare anche di sabato in ufficio; generazioni che devono tornare all’impegno associativo negli uffici, giovani che devono essere chiamati a responsabilità anche di guida del gruppo con una visione più distaccata e realista da quella che noi siamo riusciti a testimoniare, colleghi che sappiano adottare un nuovo linguaggio improntato a rigore, concretezza, modernità e coerenza.
L’impegno associativo, iniziato sin da quando ero uditore giudiziario accanto a Peppuccio Gennaro, continuerà, se mi sarà consentito, instancabilmente convinto che A.N.M. e C.S.M. sono le uniche mura dentro le quali chi fa il magistrato può essere magistrato senza speranza e senza paura.
Fedeli solo alla toga e alla Costituzione italiana. Sine spe ac metu.
Grazie a tutti.
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