Letteratura per giovani adulti /4. Intervista a Gigliola Alvisi
A cura di Morena Marsilio
Quando ha iniziato a scrivere narrativa destinata ai ragazzi e quale è stata la molla che l’ha spinta a scegliere proprio i giovani come destinatari privilegiati dei suoi testi?
In una realtà come quella italiana, poco formata e istituzionalizzata per la scrittura, spesso si inizia per caso. Ho vinto dei concorsi per inediti con storie per bambini (allora i miei figli erano piccoli e le loro voci mi risuonavano dentro) e poi mi ha contattato una piccolissima casa editrice veneta che voleva inaugurare una collana ad alta leggibilità adatta anche ai bambini con difficoltà di lettura. Abbiamo costituito un gruppo di lavoro che si è dato delle linee guida precise dal punto di vista grafico, sintattico e narrativo. Quell’esperienza per me è stata fondamentale perché mi ha insegnato a lavorare focalizzata sul lettore. I ragazzi mi affascinano, sono un mix di innocenza e saggezza, di entusiasmo e di pudore, di passione e di paura. Stanno decidendo che adulti vogliono diventare, osservano gli altri e giudicano il mondo, guardano avanti e sognano. Come lettori, inoltre, sono una sfida estrema: se a loro un libro non piace non lo leggono, molto semplicemente. Devi prenderli al lazo alla prima pagina e tenerli stretti fino all’ultima. Non ti concedono sconti: o ti amano e non esisti.
Quali sono i temi più ricorrenti nella sua narrativa e a quale bisogno comunicativo rispondono?
Non ti accorgi di aver frequentato alcuni temi fino a che non metti tutti i tuoi libri in fila e li analizzi. Ogni storia è a se’, eppure tutte parlano di te, dell’adolescente che sei stato e dell’adulto che sei diventato. Ero un’adolescente che pretendeva rispetto e giudicava severamente gli adulti. Nelle mie storie rispetto il lettore proponendo argomenti forti e non concedo sconti ai personaggi adulti. Parlo di famiglia, ovviamente, e di quanto sia difficile capirsi, di come l’amore e le buone intenzioni non sempre siano sufficienti. Parlo di scuola, di sogni e soprattutto di scelte e responsabilità personali. I ragazzi hanno bisogno di sapere che le loro scelte producono conseguenze, per se’ e per gli altri. Hanno bisogno di incontrare personaggi coraggiosi, che fanno i conti con le proprie paure e maturano scelte importanti. Da questo punto di vista raccontare Ilaria Alpi è stata una vera sfida. A chi vuoi che importi di una giornalista uccisa vent’anni fa? cercavano di scoraggiarmi alcuni amici. E invece ai ragazzi interessa, anche se Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sono stati ammazzati prima che loro nascessero. Li interessa, li indigna, vanno a casa e fanno domande ai genitori, si appassionano alle notizie del tg. Si scoprono cittadini, si informano, leggono altre storie.
Ritiene che sia cambiato il modo in cui la sua generazione ha vissuto l’adolescenza e quello in cui la affrontano i giovani di oggi?
I ragazzi sono sempre ragazzi, ma è cambiato il mondo in cui si muovono. I cinquantenni di oggi abitavano da adolescenti un mondo di certezze, in cui era facile capire anche come trasgredire. I ruoli e le scelte erano definiti. Sapevi che ti potevi realizzare sia studiando sia lavorando. Diventavi autonomo prima e prima avevi un ruolo nella società. E poi noi avevamo tempo. Tempo vuoto per pensare e pensarci. Per pensare i pensieri.
Adesso la società è più liquida, ci sono poche certezze, i ragazzi sono falsamente protetti e raramente, però, esposti alle conseguenze delle proprie azioni. Diventano economicamente autonomi più tardi, ma nel frattempo praticano cose da adulti già da ragazzini perdendone il valore e la responsabilità. In una situazione di questo tipo decidere di trasgredire o di inseguire sfide personali (un viaggio avventuroso, un’esperienza di forte volontariato ecc.) diventa difficile. Come si fa a trasgredire se tutto ti è concesso? La trasgressione diventa spesso l’apatia o l’assunzione di comportamenti poco sani verso se stessi. Inoltre l’uso della tecnologia e i social hanno cambiato le abitudini sociali e soprattutto la disponibilità di tempo per il pensiero. Nel momento della loro vita in cui i ragazzi sono un concentrato di energia, di passione e di capacità di inventare e fare sono appiattiti in una inutile apatia favorita dagli adulti.
Tra l’altro non conosciamo ancora quali saranno i cambiamenti dovuti all’esposizione precoce e continua ai media di tipo tecnologico su giovani cervelli plasticamente malleabili.
Quali sono state le letture che l’hanno “formata” e quali sono, oggi, i modelli letterari cui si rifà?
Sono stata una lettrice instancabile fin da piccola: i pochi libri per bambini che mi arrivavano erano regali sui quali non avevo alcuna possibilità di scelta. Sono quindi cresciuta con i classici, che ho letto decine di volte fino a ricordarne interi brani a memoria. Poi ho cominciato a saccheggiare di nascosto la libreria di mio padre: leggevo a caso romanzi storici o gialli o classici italiani e stranieri, mi bastava leggere e vivere quelle storie. Questa esperienza di lettrice bulimica mi ha portato soprattutto alla consapevolezza di quello che detestavo nelle storie. Le descrizioni inutili (non necessariamente quelle lunghe e particolareggiate, ma quelle superflue alla costruzione della storia e dei personaggi), i personaggi scontati e senza sfaccettature (i buoni da una parte e i cattivi dall’altra), la spiegazione di ogni singolo pensiero del protagonista, come se io lettrice fossi così stupida da non capirlo da sola, le trame copiate da libri precedenti, le voci dei protagonisti che si assomigliano tutte perché semplicemente sono la voce dell’autore. Ecco, credo che ciò che disprezzavo e la mancanza di rispetto per il mio ruolo di lettrice mi abbiano poi guidato nella scrittura.
Attualmente credo che il settore young adult conosca un momento felice: storie coraggiose e importanti, temi spinosi, personaggi scomodi. All’estero più che in Italia, questo va ammesso. In Italia le case editrici per ragazzi in genere tendono ancora a smussare gli angoli delle storie, a non offendere nessuno, a non creare polemiche che potrebbero negare l’accesso di quel determinato romanzo nelle scuole. Il mondo dell’editoria (editori e autori) è ancora costretto a strizzare l’occhio a insegnanti e genitori perché acquistino i libri per i ragazzi. La lettura viene proposta e mediata dalla scuola, quindi dagli adulti. Se i ragazzi avessero l’educazione, l’abitudine e sentissero il desiderio e il bisogno di comprare i libri da soli forse le scelte editoriali sarebbero diverse. Non ho modelli letterari a cui rifarmi, ma subisco innamoramenti appassionati per un romanzo e poi per un altro, e poi un altro ancora.
La disaffezione dei giovani nei confronti della lettura è sempre più diffusa: quali pensa possano essere sono le ragioni principali e come le agenzie educative potrebbero operare per remare controcorrente?
La lettura deve restare la priorità dell’insegnamento scolastico, così come previsto dagli indirizzi del Miur. Se non si legge non si impara a scrivere, non si impara ad argomentare, non si impara ad approfondire e a fare collegamenti. Ci sono sperimentazioni interessanti come “Read on”, venti minuti al giorno di lettura libera in classe (progetto europeo al quale hanno aderito scuole italiane con risultati sorprendenti, ma che molti insegnanti della primaria hanno da sempre nelle pratiche quotidiane di buonsenso didattico). Ma la lettura non può essere delegata soltanto alla scuola. I genitori non possono pretendere che i figli si appassionino alla lettura in classe, se a casa la lettura non è un’abitudine condivisa e se, ad ogni richiesta da parte dei ragazzi di acquisto in libreria, rispondono lamentandosi della spesa. La disaffezione si combatte con la passione, con i buoni libri e garantendo ai ragazzi del tempo veramente libero, vuoto, non connesso. Non è necessario fare una crociata contro la connessione costante, bisogna garantire anche un tempo non connesso. Questo e quello, affinchè ognuno di loro possa scoprire la propria passione e il proprio talento.
La scuola resta un importante baluardo per cercare di innescare un circolo virtuoso tra giovani e lettura, soprattutto facendo leva su quello spazio, insieme periferico e centrale, di libertà costituito dalle letture personali assegnate nel corso dell’anno scolastico. È in questo ambito, inoltre, si potrebbe utilmente mettere in contatto i ragazzi con la narrativa dell’estremo contemporaneo. Potrebbe indicare tre romanzi o raccolte di racconti italiani o stranieri degli ultimi vent’anni, a suo parere irrinunciabili, che proporrebbe in lettura ad adolescenti tra i 16 e i 18 anni?
La scuola resta un importante baluardo a patto che non leghi costantemente la lettura con la “fregatura” dei compiti: i ragazzi non devono associare il libro di narrativa alla scheda di lettura, al riassunto o a qualsiasi altro lavoro collegato alla lettura. E a patto che la lettura non sia soltanto quella ad alta voce in classe. La lettura ad alta voce, se fatta bene (e qui potremmo aprire un capitolo a se’,) è un potente strumento a disposizione degli insegnanti ma non è l’unico e non può sostituire la lettura personale dei ragazzi. Spesso, tra l’altro, i tempi della scuola impongono una lettura parziale della storia, una scelta arbitraria di alcuni capitoli che non restituiscono ai ragazzi tutta la storia e tutte le sfumature dei personaggi.
Come ho già detto leggo molto, mi innamoro perdutamente di nuovi romanzi e rinnovo i miei libri preferiti con una frequenza scomoda. Anzi, per la verità, odio le liste di irrinunciabili, sono statiche e sempre troppo limitate. Non mi piace l’aggettivo irrinunciabile. Trovo che ci faccia pensare a un panorama statico. Invece la letteratura è in perenne movimento e soprattutto lo sono i lettori. Quello che piace oggi non è detto che piaccia anche domani.
Quindi i tre romanzi che ho letto, e riletto, con estremo piacere in questi ultimi tempi sono:
- “Non so niente di te” di Paola Mastrocola, che investiga quello scomodo territorio delle aspettative dei genitori e della necessità per i ragazzi di trovare la propria strada,
- “La grande avventura” di Robert Westall, pubblicato per la prima volta in Italia credo nel 1993 (lo so, è più vecchio di quanto richiesto, ma è stato ripubblicato recentemente da Piemme nella collana Vortici…), perché ha il coraggio di non essere conformista e di non offrire uno scontato lieto fine
- “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” di Marc Haddon per la capacità dell’autore di offrirci un punto di vista assolutamente diverso dal nostro che in poche pagine diventa il nostro. Alla fine tutti i lettori si chiedono: ma non è che anch’io ho l’Aspenger?
Detto questo, “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee tra i tanti libri preferiti resta sempre quello che sento più vicino per la voce precisa e affascinante della protagonista e per il suo punto di vista innocente e arguto.
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