Vanni Santoni – Storia delle mie copertine / 4
Comincio con un ringraziamento a Morena Marsilio e a “La letteratura e noi”: mi fa molto piacere essere invitato a raccontare la storia della mia ultima copertina – quella, quindi, dell’Impero del sogno – perché per arrivarci devo raccontare anche la storia di tutte le altre, ed è stato utile anzitutto per me fare il punto in merito. Credo inoltre che questa vicenda possa risultare di un qualche interesse anche per i lettori, essendo la storia di due avvicinamenti: quello di uno scrittore al mondo editoriale, e quindi anche a quel “peso autoriale” che permette di aver voce in capitolo rispetto all’aspetto che avrà il volume, e quello dei miei romanzi a dei paratesti che li rappresentassero veramente.
La prima parte di questa storia è, parafrasando Mako in Conan il barbaro, “una storia di dolore”, solo che ero troppo giovane e ingenuo per rendermene conto: il mio libro d’esordio, Personaggi precari, esce nella sua prima versione nel 2007, grazie alla vittoria di un concorso per debuttanti, e si ritrova addosso una copertina con due scarpe simil-Converse sciupacchiate, a simboleggiare, immagino, il fatto che era un libro scritto da un “giovane autore”. Non ci feci granché caso, sia perché non sapevo molto di editoria e narrativa contemporanea – venivo da una rivista autoprodotta e fin lì avevo letto solo classici – sia perché ero già abbastanza contento di esordire, dopo una vittoria precedente tradita (ne racconto la storia qui), e svariate porte sbattutemi in faccia successivamente. E facevo bene, possiamo aggiungere oggi, a non crucciarmi, sia perché Personaggi precari avrebbe avuto successive incarnazioni con copertine più dignitose, sia perché il peggio doveva ancora arrivare, e ancora una volta non me ne sarei accorto se non quando era troppo tardi.
L’anno successivo, infatti, arrivò la chiamata di Feltrinelli per Gli interessi in comune e dato che almeno una cosa, dell’editoria, avevo fatto in tempo a capirla, ovvero che esordire era difficile ma passare a una major lo era ancora di più, la gioia era anche più intensa che all’uscita di Personaggi precari, ma in quel caso non fu la felicità a obnubilarmi. Quando infatti arrivò il “quartino” del romanzo, in cui era riportata quell’immagine del mio volto “cheguevarizzato” e poi psichedelizzato, non osai neanche pensare che potesse essere una effettiva riproduzione della copertina a venire. È vero che era il periodo – mai veramente terminato – dei “faccioni” in cover, frutto del successo della Solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano, il cui modello di copertina veniva copiato in tutti i modi possibili, ma un’immagine del genere era così lontana dal carattere del libro da sembrare, semplicemente, inconcepibile. Il libro era corale, con sette protagonisti mentre lì si dava l’impressione che ci fosse una figura centrale; il libro era un romanzo e la foto dell’autore in copertina suggeriva l’autofiction; il libro aveva un titolo in parte criptico e quell’immagine non faceva niente per chiarirlo. Insomma, era tutto così sbagliato che credetti si trattasse di una semplice prova di stampa, un “doodle” fatto dal grafico a partire dalla mia foto giusto per riempire quello spazio bianco in attesa della vera copertina. Così non dissi niente. Va da sé che invece quella era la vera copertina. Se non altro – consoliamoci così – non era la cosa peggiore che capitò a quel libro: non solo venne messo fuori catalogo un giorno prima dell’uscita del mio successivo romanzo Se fossi fuoco arderei Firenze (2011), che andò bene, rilanciando le richieste per il precedente, che però rimasero insoddisfatte, ma anche quando, negli anni successivi, vari miei libri ottennero risultati importanti, e divenne richiestissimo – con vicende assurde, dai faldoni fotocopiati che giravano per le università, alle raccolte di firme, dagli appelli dei librai ai furti nelle biblioteche pubbliche, fino ai samizdat, copie pirata realizzate in tipografia da lettori appassionati – mai fu ristampato. Da tutto questo uscì almeno un fatto positivo: la fortunata, e oggi anche assai copiata, veste grafica della collana Romanzi che curo per Tunué, in cui è l’autore a decidere il colore e il logo del proprio libro, nasce proprio dal desiderio di evitare ad altri quello che avevo dovuto subire io.
Le cose, per fortuna, cominciarono a girare meglio, anche dal punto di vista delle copertine, proprio con Se fossi fuoco arderei Firenze. Uscito, benché fosse un po’ più “romanzo” della maggior parte dei suoi compagni, nella collana Contromano di Laterza, si giovò di una copertina firmata dal grafico Centonze, che ebbe la sensibilità di contattarmi per chiedermi se avessi qualche idea in particolare. Gli dissi solo che non dovevano esserci la Cupola del Duomo, né Ponte Vecchio, né Palazzo Vecchio, monumenti ormai svuotati di senso per eccesso di rappresentazione. Lui ebbe anche la sensibilità di leggere il libro, scegliendo – e mettendo in fiamme – il Battistero per la copertina, e San Miniato al Monte per la quarta. Scelta direi perfetta, sia per la coerenza col romanzo, che si avvia in piazza San Giovanni e si chiude al Cimitero delle Porte Sante, sia per l’idea di inizio/fine connesse ai due luoghi, sia per la loro “fiorentinità”, per certi versi più pura e trascendente di quella dei tre monumenti di cui sopra.
Come se si fosse sollevata una maledizione – o forse, semplicemente, da autore mi ero finalmente guadagnato il rispetto di editori e grafici – da lì cominciò un rapporto decisamente armonico con le mie cover, che videro sempre la mia supervisione. Prima di arrivare a nuovi romanzi ci fu la novella Tutti i ragni (2012), che si avvaleva di una grafica standard, molto bella, per tutti i titoli della sua collana – ZOO, curata da Giorgio Vasta e Dario Voltolini – e dove ebbi voce in capitolo nell’indicare in una tegenaria il tipo di ragno che doveva esservi raffigurato, e il romanzo collettivo In territorio nemico (2013), dove lo street artist Agostino Iacurci interpretò le indicazioni nostre e di minimum fax in una copertina minimalista ed efficace nella sua aderenza al testo – le tre silhouette indicano evidentemente, grazie ad alcuni dettagli, i tre protagonisti Matteo Curti, Adele Curti e Aldo Giavazzi –.
Alla fine di quell’anno arrivò il fantasy di Terra ignota, dove feci espressa richiesta a Mondadori, e al suo grafico Fernando Ambrosi, di una copertina quanto più possibile classica rispetto ai parametri editoriali del “genere”. La ragione era per certi versi “politica”: dato che ai tempi – sembrano passati decenni – il fatto che un autore “letterario” che stava avendo buoni riscontri facesse un fantasy era considerato scandaloso (o imbarazzante, o frutto di delirio, o di una sopravvenuta necessità di denaro), come testimonia del resto il fatto che mi venne affibbiato quell’ “HG” a separare tale produzione, volevo almeno che il mio libro non avesse niente che suggerisse una postura intellettualistica o distaccata. Volevo una copertina che dicesse: sì, faccio un fantasy e lo faccio perché voglio farlo.
Si arriva così (Terra ignota 2 è del 2014 e si avvale dello stesso impianto grafico, con in più una interpretazione dei Cinque Serpenti da parte di Sasha Vinogradova, già illustratrice degli stemmi delle casate del Trono di spade) al 2015, e a Muro di casse. Con Laterza, dopo la positiva esperienza di Se fossi fuoco arderei Firenze, la sintonia è massima e troviamo subito un felice accordo nell’identificare in MP5, tra le massime street artist italiane, la persona giusta per illustrare la cover di un romanzo così radicato nella storia dell’underground e delle controculture. Inoltre lo stile di MP5, tutto giocato su bianchi e neri molto netti, è lo stesso della tipica grafica free tekno. MP5, da conoscitrice del contesto di riferimento, trova subito il taglio giusto: le chiedo solo una modifica, memore di quanto accaduto con Gli interessi in comune, pregandola di non mettere un solo personaggio sopra a quel muro di amplificatori, come aveva fatto nella prima versione, ma vari, essendo quel romanzo, pure, corale, e per di più volto a raccontare un movimento che più collettivo non si può.
Dopo il percorso esaltante di quel libro, viene naturale metterne in cantiere un altro con Laterza, ancora impostato come un ibrido romanzo-saggio, e sempre dedicato a una sottocultura. È la volta quindi della Stanza profonda: il soggetto sono stavolta i giochi di ruolo, e la scelta del copertinista cade, per continuità con il lavoro precedente, su un altro street artist italiano, Lucamaleonte, selezionato da Laterza tra varie ipotesi per il suo tratto a un tempo moderno e arcaico, e per l’avere, tra i suoi simboli ricorrenti, l’icosaedro, proprio quel “dado a venti facce” su cui si basano molti dei più diffusi sistemi di GdR. Attraverso la responsabile della grafica Laterza Lyda Alari ci coordiniamo con l’artista vagliando vari bozzetti e convergendo poi su quello che è divenuto la copertina: lo sfondo con un “dungeon” piranesiano, e la figura singola (qui assolutamente appropriata, essendo La stanza profonda anche un memoir di finzione) con elmo medievale e abiti anni ’90 – la camicia grunge, la t-shirt acid house – convincono tutti, e hanno convinto anche i lettori.
Eccoci infine all’Impero del sogno. Per quanto il romanzo uscito per Mondadori a fine 2017 sia anche un prequel dei due Terra ignota, sia io che l’editore avevamo ben chiara la necessità di sottolinearne lo status di romanzo autosufficiente – se è vero che vi si narra l’origine dell’Imperatrice, i collegamenti sono per il resto minimi, e a livello formale e stilistico la distanza è totale –, nonché la sua natura di “ponte” tra la mia produzione fantastica, costituita dai due libri suddetti, e quella realistica, ovvero tutto il resto. Il primo e più ovvio livello su cui rimarcare questi fatti era la copertina, che viene affidata al giovane illustratore e fumettista Vincenzo Bizzarri, scelto da Mondadori anche perché a loro avviso capace di rendere il taglio videoludico e “fumettoso” che assume il romanzo nella seconda metà.
Devo ammettere che quanto è arrivato il primo bozzetto a matita mi sono commosso, perché durante la lavorazione dell’Impero del sogno il mio dubbio più assillante era quello di aver ecceduto nel crossover e nell’accumulo di riferimenti: potevo essere sicuro, al di là delle rassicurazioni dei miei editor, di non aver fatto qualcosa di troppo delirante? Il primo a darmi la conferma che quello che avevo fatto aveva un senso è stato Bizzarri, con la sua bozza di cover rutilante eppure coerentissima col testo, capace di ricordare, come notava Francesco D’Isa , i Bhavachakra dell’arte induista e buddista, e includere in un quadro organico gran parte delle figure presenti nella prima metà del romanzo.
Anche quando sono arrivati due nuovi bozzetti,
pur entrambi evocativi, abbiamo finito per preferire il primo, che ci sembrava rappresentare meglio il carattere generale del libro; l’ultimo passaggio è stata la scelta tra varie possibili palette di colore, rispetto alle quali ci siamo orientati su quella più “acida” e möbiusiana, che è poi andata in stampa.
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