Teoria e Metodi/1. Scienze cognitive ed ecocritica: un’intervista a Marco Caracciolo
A cura di Alberto Godioli
Con questo testo inauguriamo una nuova serie di interventi, intitolata Teorie e Metodi. La serie si occuperà di prospettive di studio che hanno conosciuto un particolare sviluppo negli ultimi anni, e che ci permettono di riflettere in termini nuovi sulla letteratura. Siamo lieti di avviare Teorie e Metodi con un’intervista a Marco Caracciolo, assistant professor presso l’Università di Ghent (Belgio), la cui attività di ricerca si fonda sul dialogo tra studi letterari e scienze cognitive: ricordiamo in particolare le importanti monografie The Experientiality of Narrative: An Enactivist Approach (De Gruyter, 2014), Strange Narrators in Contemporary Fiction: Explorations in Readers’ Engagement with Characters (University of Nebraska Press, 2016), e A Passion for Specificity: Confronting Inner Experience in Literature and Science (con lo psicologo Russell Hurlburt, Ohio State University Press, 2016).
- Su cosa verte il tuo progetto Narrating the Mesh?
In inglese ‘mesh’ significa maglia, nel senso che una rete da pesca o una recinzione sono fatte di maglia. Timothy Morton, uno dei pensatori contemporanei che più hanno ispirato il mio progetto, usa l’idea di ‘mesh’ come metafora per quello che – parafrasando Carlo Emilio Gadda – si potrebbe chiamare il ‘groviglio’ di umano e non-umano, cioè il rapporto reciproco e costitutivo tra le società umane e processi biologici, geologici o climatici. Vista in questa luce, la specie umana è profondamente intrecciata a realtà non-umane. Il cambiamento climatico è un esempio lampante di questo groviglio, ma ce ne sono molti altri.
Il mio progetto si concentra su come questo senso di ‘enmeshment’ (o aggrovigliamento) può essere colto in forma narrativa: come, in altre parole, si può raccontare il non-umano senza ridurlo al ruolo di appendice o strumento dell’umano. L’idea è che ci sono una serie di resistenze culturali e concettuali da affrontare – resistenze che hanno a che fare, principalmente, con le limitazioni della nostra immaginazione. Nel caso del cambiamento climatico, facciamo fatica ad immaginare la scala della ‘mesh’, o come azioni quotidiane (prendere un aereo, usare centinaia di bottiglie e sacchetti di plastica) possano avere ripercussioni per generazioni e generazioni. La letteratura riflette le limitazioni della nostra immaginazione, ma al tempo stesso può fornirci strumenti per superarle. Questa, almeno, è la scommessa alla base del progetto.
- Qual è il legame fra il tuo progetto attuale e i temi di cui ti sei occupato in precedenza?
L’interesse per le forme e le strategie narrative è senz’altro un elemento di continuità. Ma c’è anche discontinuità, nel senso che sto cercando di estendere l’approccio cognitivo che ha caratterizzato i miei lavori fino ad ora, abbracciando tematiche più tipiche dell’‘ecocriticism’ e delle cosiddette ‘environmental humanities’. Esplorare la narrativa contemporanea da un’ottica cognitiva può arricchire notevolmente la nostra comprensione di come essa si confronta con il non-umano. Particolarmente promettente mi pare l’approccio ‘processuale’ di cui parlo in un testo scritto a quattro mani con Marco Bernini, Letteratura e scienze cognitive (Carocci, Roma, 2013): un approccio, cioè, che si concentra sulle dinamiche psicologiche della lettura. Adottare questa prospettiva ci consente di mettere a fuoco proprio le limitazioni dell’immaginazione di cui ho appena parlato, e di capire come funzionano – in termini psicologici – le strategie letterarie che mirano a superare quelle limitazioni.
- Quali sono i modi principali in cui la letteratura contemporanea cerca di rappresentare il rapporto tra l’umano e il non-umano? Puoi citare un paio di esempi che ti sembrano particolarmente significativi?
La letteratura contemporanea ha varie opzioni per rappresentare il non-umano. C’è un ricco filone di romanzi che mettono in primo piano, direttamente, il cambiamento climatico: esempi particolarmente significativi in inglese sono Flight Behavior di Barbara Kingsolver (in chiave realistica), The Windup Girl di Paolo Bacigalupi (in chiave fantascientifica), e Solar di Ian McEwan (in chiave satirica). In italiano, è uscito di recente Qualcosa, là fuori di Bruno Arpaia, un ottimo romanzo che porta in Europa il genere post-apocalittico – ed esplora anche temi cognitivi, perché il protagonista è un neuroscienziato.
Ci sono poi molti romanzi che affrontano il rapporto tra umano e non-umano senza un riferimento specifico a questioni ambientali. A mio parere c’è molto da imparare da questi testi. Romanzi ispirati da tematiche scientifiche – per esempio, Le particelle elementari di Michel Houellebecq o Gut Symmetries di Jeanette Winterson – evitano l’aspetto più chiaramente ideologico del movimento ambientalista, il senso che la letteratura deve per forza veicolare un ‘messaggio’. È questo un approccio più indiretto e metaforico alla ‘mesh’, ma è anche un approccio che dà agli scrittori più libertà espressiva e immaginativa.
- Ha senso, a questo proposito, fare una distinzione tra letteratura ‘alta’ e letteratura di consumo o middlebrow?
Ha certamente senso fare una distinzione tra letteratura che si confronta con il non-umano in modo profondo, cercando nuove soluzioni a livello formale e tematico, e letteratura che usa il non-umano solo come spunto, e finisce per costruire trame convenzionali. Ma è difficile mantenere la distinzione tradizionale tra letteratura ‘alta’ e letteratura ‘di genere’, perché in questo campo alcune delle idee più suggestive vengono proprio dalla fantascienza. In altre parole: siamo in un terreno in cui l’‘highbrow’ e il ‘middlebrow’ si fondono al punto da diventare, in alcuni casi, indistinguibili. Credo che questa apertura al ‘middlebrow’ sia solo un bene per la letteratura, a patto che non vengano meno la sperimentazione e il lavoro sul linguaggio. In Italia, Italo Calvino fu uno dei primi scrittori seri ad aprirsi alla fantascienza, e le sue Cosmicomiche sono un punto di riferimento importante per il mio progetto.
- Fino a che punto, a tuo parere, la fiction (letteraria, televisiva, cinematografica, ecc.) può influenzare l’opinione pubblica sul tema del cambiamento climatico?
Dati e modelli scientifici sul cambiamento climatico non mancano certamente, ma il fallimento dei molti tentativi di trovare una soluzione globale al problema dimostra che ci sono limiti a quello che la scienza può fare da sola. La fiction può contribuire a formare l’immaginazione dei lettori, esplorando la dimensione affettiva di teorie scientifiche e portando alla luce le loro implicazioni etiche.
Detto questo, non è ragionevole aspettarsi troppo da testi di finzione. Difficilmente un ‘climate change denier’ cambierà idea solo perché ha letto un romanzo o visto un film! Mi rifaccio qui a un libro importante di Suzanne Keen, Empathy and the Novel, in cui scrive: ‘La lettura in sé e per sé (senza relativa discussione, scrittura, o guida da parte di un insegnante) potrebbe non avere gli stessi effetti di una lettura accompagnata e potenziata da discussione’ (Oxford, Oxford University Press, 2007, p. 92). Per influenzare l’opinione pubblica, non basta prescrivere la lettura di alcuni romanzi; bisogna anche saper contestualizzare quei romanzi, e insegnare come leggerli e dibatterli con attenzione e passione. Questo rimanda al ruolo fondamentale della scuola e dell’università nell’educare i lettori e dare loro gli strumenti per comprendere pienamente la posta in gioco dei testi letterari.
- Quali sono i tuoi principali punti di riferimento nell’ambito dell’ecocriticism? Quali sono, secondo te, i limiti e i vantaggi offerti da questa prospettiva di ricerca?
Timothy Morton, come ho spiegato prima, è uno dei punti di riferimento fondamentali – anche se il suo lavoro si è progressivamente allontanato dagli studi letterari, affrontando tematiche più filosofiche (per esempio, con il suo The Ecological Thought, Cambridge, MA, Harvard University Press, 2010). Per approcci più testuali, mi sono spesso ispirato alle pubblicazioni di una studiosa italiana, Serenella Iovino (si veda il numero speciale della rivista Interdisciplinary Studies in Literature and Environment, curato da Iovino e Serpil Oppermann nel 2012). Anche Kate Rigby ha scritto lavori importanti; ho trovato particolarmente suggestivo il suo ultimo libro (Dancing with Disaster, Charlottesville, University of Virginia Press, 2015), che studia la rappresentazione letteraria della catastrofe come rivelazione del ‘mesh’.
Venendo ai vantaggi dell’‘ecocriticism’, mi sembra che questo approccio sia particolarmente adatto a pensare la letteratura in un contesto più vasto, planetario ma anche cosmico, con tutte le sfide concettuali che ciò comporta. Mi pare però che chi lavora all’interno di questa tradizione abbia fatto fatica a evitare due problemi: da un lato, limitarsi alla lettura di alcuni testi selezionati, spesso con un chiaro messaggio ambientalista o almeno naturalista (‘nature writing’); oppure – dall’altro lato – abbandonare la letteratura a favore di considerazioni più filosofiche, spesso distaccate da considerazioni e applicazioni pratiche. Il mio progetto cerca appunto di correggere queste tendenze, sviluppando un approccio sistematico e concentrandosi su strategie formali, ma anche mirando a capire concretamente ed empiricamente come possiamo usare i testi di finzione per coltivare l’immaginazione del non-umano.
Fotografia: G. Biscardi, Serranda, Palermo 2017
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