Media del 6 e ammissione all’Esame di Stato. Che cosa è davvero in gioco?
Sì, ma che cambia?
Lo confesso: in un primo momento non mi sono appassionato affatto alla polemica molto internettiana sui nuovi criteri di calcolo della media per l’ammissione all’Esame di Stato, previsti da una delle deleghe alla legge 107. Non mi entusiasmava il derby tra “di questo passo dove andremo a finire?” e “basta con la solita mastrocolite”. Non basta una legge per aprire gli abissi infernali e, d’altra parte, diffido per principio delle accuse di conservatorismo. Soprattutto, liquidavo istintivamente la questione come irrilevante nominalismo.
Pensavo: che cosa cambia nella sostanza ammettere alla maturità con la sufficienza in ciascuna materia o con la media matematica del 6 fra tutte le materie? Il Consiglio di classe può già ora decidere di alzare uno o più 5 al voto più alto, per far tornare i conti. Arrivati alla fine di un intero percorso scolastico, prima di decidere di non lasciare a uno studente nemmeno la possibilità di tentare l’esame, ci si pensa bene.
Ma poi mi è capitato di leggere, su Facebook, il post di un ex-collega di matematica:
Ho ipotizzato, per l’allieva Rossi Mariolina, la seguente plausibile dettatura dei voti allo scrutinio finale: Italiano 4; Storia 6; Inglese 5; Diritto 6; Matematica 4; Scienze 5; Educazione fisica 8; Voto di condotta 10; Media dei voti 6,00. Rossi Mariolina è ammessa!
Meditando queste parole e approfondendo la questione, ho cominciato a ricredermi sulla sua irrilevanza.
Qualcosa forse cambia davvero
Noi insegnanti sappiamo che, con gli attuali criteri, l’ammissione di Mariolina non sarebbe garantita e, considerato il quadro dei suoi voti, non senza buone ragioni. Volendo invece ammetterla, si dovrebbero adeguare i voti verso l’alto: e sarebbe un’azione pedagogicamente magnanima.
Con i criteri proposti nella delega, al contrario, non potendo che calcolare la media effettiva, non solo si abbasserebbe la soglia della sufficienza, ma soprattutto si introdurrebbe una rigidità che prima non c’era: esclusa per principio la discrezionalità (no: libertà) del Consiglio di classe, l’ammissione sarebbe decisa per forza di legge. (Naturalmente a meno di non voler ritoccare i voti effettivi verso il basso, prima di calcolare la media, cosa che equivarrebbe a un falso in atti pubblici).
Quello che comunemente chiamiamo “voto di Consiglio” (in modo ambiguo, perché in effetti tutti i voti sono “di Consiglio”) è infatti di norma usato dai docenti per “ammorbidire” la rigidità di una valutazione basata su medie matematiche, per non condannare la realtà dello studente alle forche caudine della forma burocratica. Non è un male che ai docenti sia riconosciuta questa libertà.
Qualcosa cambia davvero, ma non da oggi (e in che direzione?)
Ma anche queste mie deduzioni sono troppo semplicistiche, parziali. Proviamo allora ad allargare l’orizzonte.
L’ammissione con la sufficienza in tutte le materie è stata introdotta, in effetti, solo nella esame del 2009/10 da Mariastella Gelmini. Con questa riforma si tornerebbe, quindi, allo stato precedente.
Lo scopo della Gelmini era di reintrodurre severità nella valutazione (o serietà, a seconda dei punti di vista politici); ma, come sappiamo, tale rigore è stato abbondantemente reso ineffettuale dalla discrezionalità (o libertà, a seconda dei punti di vista politici) dei docenti e dei Consigli di classe di emendare le insufficienze.
Dopo le polemiche sui nuovi criteri di ammissione, la responsabile della scuola del PD, Francesca Puglisi, ha scritto al Corriere della sera in loro difesa. L’argomento usato è interessante, perché va oltre il tema dell’ipocrisia dei voti artatamente portati alla sufficienza e introduce un ulteriore elemento, il criterio dell’equità:
È una scelta di buon senso non far perdere l’anno ad un ragazzo che ha un’insufficienza ma che va bene in tutte le altre discipline, ma un’ingiustizia vera per quei compagni di classe che quel 6 se lo erano meritato, invece di vederselo attribuire dal consiglio di classe. Cosa cambia con la nuova maturità? La pagella riporterà con chiarezza l’eventuale insufficienza, il credito sarà dato dalla media dei voti e peserà di più sul voto finale. Un criterio dunque senz’altro più trasparente per certificare conoscenze, abilità e competenze dei ragazzi.
Le cose si sono complicate. Proviamo a ricapitolare. La decisione di cancellare la norma della Gelmini sembra consistere nella semplice rimozione di un apparato barocco di stucchi che si è rivelato sia inutile (i 5 diventano comunque 6) che iniquo (gli studenti con il 5 portato a 6 sono indistinguibili da quelli che al 6 ci sono arrivati da soli, anche nel senso molto concreto che il loro credito scolastico è lo stesso). Tuttavia in questa operazione si corre anche il rischio, come spero di aver mostrato, di togliere uno strumento di flessibilità e di libertà dalle mani dei docenti. Soprattutto, non si tratta affatto di una norma di semplice buon senso, di una presa d’atto della realtà, ma di una norma che cambia passo, che nasce da un’altra logica della valutazione.
Non è un caso che la questione posta dalla presenza di insufficienze allo scrutinio venga di solito risolta ipotizzando il caso di uno studente che non ne abbia più di una o due (come facevo io prima di prendere sul serio la questione e come fa Puglisi: «È una scelta di buon senso non far perdere l’anno ad un ragazzo che ha un’insufficienza ma che va bene in tutte le altre discipline»): ma Mariolina, che viene promossa solo perché gli insegnanti di educazione fisica tipicamente ricorrono solo alla parte alta della tastiera dei voti e perché nella media si calcola anche il voto di condotta, che è sempre fuori scala?i
Non parliamo poi del fatto che sembra tutt’altro che pacifica l’interpretazione di che cosa si debba intendere per “equo”: per qualcuno promuovere Mariolina potrebbe non esserlo, proprio per la ragione che è ingiusto nei confronti di chi ha raggiunto la sufficienza. Di solito si obietta a questa considerazione che ogni studente deve essere valutato per se stesso e che il Consiglio di classe non fa paragoni. Ma in effetti, quando noi docenti valutiamo, cerchiamo di trovare il giusto equilibrio tra valutazione del caso singolo e irripetibile e valutazione equa all’interno del gruppo. Ed è una delle cose più difficili: applichiamo, a spanne, a volte un criterio a volte l’altro. Iniquo? Umano.
Insomma, se il dibattito è stato tra permissivismo e severità, bisognerà ammettere che discriminare tra criteri di ammissioni giusti o ingiusti, progressisti o conservatori, trasparenti o ipocriti, buonisti o rigorosi, non è così facileii.
Un nuovo paradigma della valutazione
Ma il nocciolo della questione non sta nemmeno qui, giace ancora più a fondo: nella nuova logica della valutazione che ho già richiamato. Le contraddizioni in cui si cade difendendo questa o quella posizione dipendono dal fatto che ci troviamo su quello che l’epistemologia kuhniana chiamerebbe «bilico di paradigma», ovvero una fase di transizione tra due paradigmi diversi. Tipico di questa fase è il fiorire di spiegazioni ad hoc per dare ragione di un numero sempre maggiore di incongruenze del paradigma di riferimento, incongruenze che il nuovo paradigma interpretativo risolve. Nel caso della scuola, siamo in bilico tra un paradigma “della selezione” e un paradigma “della certificazione”.
La lettera della Puglisi è un buon documento di questo stato di cose. Anche solo per ragioni di efficacia dell’argomentazione, essa tiene ad attestarsi dentro il vecchio paradigma (la scuola discrimina chi raggiunge gli obiettivi e chi no), cercando di dimostrare che la nuova norma è non solo più giusta, ma anche più rigorosa, essendo appunto in grado valorizzare chi ha raggiunto la sufficienza. Ma accanto a questi argomenti, in quella lettera si usano anche parole e concetti del nuovo paradigma, come «certificare conoscenze, abilità e competenze dei ragazzi».
Quale che sia il giudizio su questa trasformazione, la logica profonda della valutazione ormai è avviata su questa strada. Con la riforma dei criteri di ammissione siamo di fronte a un episodio dello sforzo – in atto da tempo e rispetto a cui la Gelmini rappresenta quindi una parentesi – di trasformare la scuola da sistema che seleziona a sistema che include, da sistema che sancisce (cioè distingue) a sistema che certifica (cioè constata), da sistema che dichiara adulti e “maturi” a sistema che si limita a certificare le competenze in uscita (con il correlato necessario – prossimo? – dell’abolizione delle bocciature e del valore legale del titolo di studio), da sistema centrato su valutazione formativa e sommativa a sistema che ricorre esclusivamente alla prima, salvo però introdurre un forte controllo esterno degli apprendimenti con le rilevazioni Invalsi.
Questioni enormi, che non affronterò. Però questa è la reale posta in gioco. Per scoprire chi sia stato il primo a lanciarla, bisognerebbe risalire fino al nome di Luigi Berlinguer, che infatti è intervenuto a dare il proprio sostegno alle deleghe con un’intervista. (Più che quest’ultima però, chi volesse approfondire può leggere alcune sue dichiarazioni del 2012, assai più eloquentiiii).
Rasoterra
Ma anche se tra qualche anno ci limiteremo a certificare le competenze degli allievi, il problema della valutazione, qui al rasoterra della nostra quotidianità, non cambierà poi molto.
Il voto infatti è un vero e proprio dispositivo sociale dai molteplici strati, perché agisce sullo studente in quanto persona (aumentandone o diminuendone autostima ed autoefficacia, fornendogli una descrizione di sé e delle proprie capacità, …), sullo studente in quanto soggetto sociale (tramite il voto si sancisce se l’acculturazione è avvenuta in modo completo e se lo studente è pronto per la società e il mondo del lavoro), sul rapporto tra studente e docente (il voto è una sanzione del raggiungimento degli obiettivi che il docente ha stabilito, dunque è uno strumento di potere, nel senso neutro del termine; è un feedback che l’insegnante dà allo studente per migliorarsi, dunque ha valore formativo; è un premio e uno stimolo, dunque è uno strumento di motivazione).
Già oggi, anche se di fatto il voto è per legge uno strumento di sanzione e selezione (promuoviamo e bocciamo), ne facciamo un uso che è pure orientativo, formativo, constatativo (a beneficio interno però, degli studenti stessi e delle loro famiglie: la certificazione vera e propria cambierebbe radicalmente questo stato di cose). Così domani, anche se “certificheremo le competenze”, la valutazione continuerà ad essere uno strumento che noi adulti usiamo per pungolare, motivare, premiare, punire, facendoci carico del peso umano della relazione educativa, della sua contraddittorietà, della sua asimmetria, della sua, se necessario, durezza: tutte cose che nessuna logica della mera “constatazione” o “certificazione” degli apprendimenti potrà mai cancellare. Noi insegnanti, ieri oggi domani, non siamo né mai saremo una variabile esterna e algida della valutazione.
NOTE
i L’impasse potrebbe essere risolta solo: 1) tornando a scorporare la condotta dalla media (altra decisione non solo sterile, ma controproducente rispetto ai propri stessi fini, della Gelmini: voleva mettere su il muso duro con gli studenti, ha finito per far loro un favore); 2) facendo sì che tutti gli insegnanti, anche i colleghi di educazione fisica, arte, … comincino a ricorrere all’intera gamma dei voti (ma come si scalfiscono le abitudini consolidate?). Così Mariolina sarebbe bocciata. Il punto in discussione però è proprio questo: ma la scuola deve davvero bocciare Mariolina?
ii A complicare il quadro, chi volesse potrebbe leggere questa analisi del 2007 (al Ministero c’era Fioroni). La Gelmini ancora era di là da venire, ma i conflitti di interpretazione sulle modalità di ammissione previste dalla legge vertevano già su questo problema: i voti insufficienti devono essere lasciati in pagella o portati a 6?
iii Andrà anche ricordato che nella sua riforma, che ha introdotto l’“Esame di Stato”, l’ammissione all’esame era vincolata alla sola frequenza dell’ultimo anno, senza scrutinio del Consiglio di classe (art. 2 della Legge n. 289 del 12-12-1997).
Immagine: Alessandro Piangiamore, La cera di Roma #5 (again), 2012-2014; La cera di Roma #12 , 2014.
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osservazioni sensate
Concordo con l’impostazione del pezzo, anche se per me le righe più importanti sono quelle contenute nella nota 1. Nella mia scuola i voti di condotta vanno in sostanza dall’8 in su (ma prendere 8 di italiano non è altrettanto facile! e 8 signifca che in classe non sei irreprensibile!), e quelli di educazione preferibilmente dal 9 al 10 (insegno anche in classi di liceo sportivo-sportivo e quindi il collega, a mia richiesta, ha giustificato dicendo che in generale sono tutti molto motivati alla materia: ma vale la stessa cosa allora per i licei classici col latino e greco?!). Complessivamente io sono più favorevole di te a questa razionalizzazione, dopo aver portato anche un 4 e un 5 insieme a 6 (3 punti regalati).
la vita di Mariolina
Non ho esperienza di Esami di Stato, lo premetto. Ma il caso di Mariolina mi ha appassionato: com’è possibile che questa ragazza, a 19 anni, prenda 4 a italiano e a matematica? Lo capirei di più a storia, dove invece ha 6. Cosa ha fatto la scuola per evitare di portare avanti fino a 19 anni un’alunna senza competenze in italiano e matematica (perché queste materie non è che le STUDI, le devi CAPIRE)? Dunque povera Mariolina.
Poi: almeno il suo certificato finale le dice che non sa ragionare. Che non prenda cioè strade impervie negli eventuali studi superiori (sottolineo: EVENTUALI, perché con 4 a italiano e matematica, dove pensi di andare, Mariolina?)…
Col vecchio sistema che cosa le sarebbe successo? Avrebbe ripetuto la 5^ classe. Bene, un’adeguata punizione per questa povera stupidella brava solo a ginnastica. E poi? Il 4 a italiano a matematica sarebbe diventato 6? Forse sì, perché i docenti avrebbero avuto pena per lei, non avrebbero avuto il coraggio di farle perdere l’Esame di Stato una seconda volta. Ma in un anno, tra i 19 e i 20 anni di età, Mariolina avrebbe colmato queste carenze gravi a italiano e matematica? No, io non lo credo. Non mi soprenderei, in un caso tale, della decisione di Mariolina di non studiare più, e di andare a lavorare senza nemmeno un diploma. Tanto, sciampiste, badanti e baby sitter servono sempre.
Niente di nuovo sotto il sole
Nella mia vita di insegnante (ora fortunatamente pensionata) ho visto cambiare le regole dell’Esame di Stato e dell’ammissione al medesimo tante volte che posso dire come Qoèlet “Non c’è niente di nuovo sotto il sole”. Ai tempi di Berlinguer (primi anni 2000) si andava all’esame senza ammissione, era sufficiente avere i voti in tutte le materie, ma al di sotto della media del 5 non si aveva alcun punto di credito per il quinto anno. Ho visto ragazzi andare all’esame con 7 o 8 crediti totali e venire bocciati in quella sede. Mi ricordo di un mio alunno che mi telefonò per chiedermi come mai non avesse ottenuto il diploma e io, dopo avergli espresso tutto il mio dispiacere, gli dicevo: Ma, mio caro… tu avevi 7 punti di credito, hai fatto tutte le prove insufficienti e nemmeno l’orale è stato all’altezza…
Altri, grazie a un colpo di fortuna, la possibilità di scopiazzare gli scritti, una sufficiente disinvoltura al colloquio riuscivano a strappare il 60 pur essendo arrivati allo scrutinio con la media del 4…
Questo per dire che mi fanno ridere coloro che ora si stracciano le vesti per una norma che, certo, può essere soggetta a storture, ma che nel complesso è giusta (escluderai dall’esame un ragazzo che abbia qualche insufficienza?) e soprattutto evita l’ipocrisia di “alzare” le insufficienze (e di conseguenza la media, e di conseguenza il credito) per ammettere coloro che pur non avendo tutti voti positivi meritano comunque di affrontare la prova. La vera stortura, a parer mio, sta nel fatto che il voto di condotta faccia media: una regola introdotta da Gelmini con la faccia di chi vuol sembrare severa e rigorosa (finalmente il comportamento farà media!), quando chiunque operi nella scuola sa che il voto di condotta è sempre un voto alto, anche se, ad esempio, non si dovrebbe dare (e di solito non si dà) 10 in condotta a chi non ha un buon profitto.
L’ultima classe in cui ho insegnato era una quinta di un buon istituto tecnico. Dei 26 ragazzi che ho preso in terza solo 8 sono andati all’esame, insieme ad altri 8 che si sono aggiunti come ripetenti in quarta e in quinta. Smettiamo di dire che “la scuola non boccia più”, e poi: è bocciare l’obiettivo che dobbiamo principalmente perseguire?
risposta
Ringrazio Antonello, Mariangele, Marisa per la lettura e per essere intervenuti. Premetto alla risposta che, come io sono partito dalla liquidazione del dibattito come non-problema per arrivare a scoprire sotto di esso un putiferio di problemi, così le questioni che ponete sono suscettibili di sviluppo (quasi) infinito. Mi perdonerete se risponderò solo su alcuni aspetti, più strettamente legati al contenuto del mio pezzo, e se dovrò tralasciare le questioni più ampie che si intravedono dietro le vostre parole. Altrimenti dovrei scrivere molti altri pezzi.
@ Antonello. Mi pare che il problema del liceo dello sport sia duplice: è solo una scuola che accompagna la carriera sportiva o, anche, un liceo? Non ci ho mai insegnato, ma se questa ambiguità è reale, è un’ambiguità grave. Inoltre, in un liceo del genere educazione fisica è una materia caratterizzante e, come tale, dovrebbe essere più discriminante, non meno (che “discriminare” significhi bocciare o solo certificare). Se tutti hanno 10 non lo è.
@ Antonello e Marisa. Come ho cercato di spiegare, secondo me occorre andare oltre il tema dell’ipocrisia che questo provvedimento permetterebbe di eliminare, in questo senso: ok, togliamo il voto di condotta dalla media, togliamo il “voto di Consiglio” e lasciamo che i voti siano quelli “reali”. Ma lo facciamo perché vogliamo scoprire chi sia da bocciare e chi no o lo facciamo perché il problema ormai non ci riguarda più, perché la scuola certifica quel che si sa e quel che non si sa, e basta?
@ Marisa. Io credo che anche il problema delle bocciature sia stato mal posto, e lo è molto spesso quando se ne dibatte sui giornali.
Nei licei si boccia poco, nei tecnici un po’ di più, nei professionali, specie nel biennio, decisamente di più (anche se la situazione è variegata: ci sono professionali che scelgono la vocazione dell’inclusività sociale totale e quelli che scelgono la vocazione della formatività, che presuppone selezione). Se si guarda al sistema nella sua totalità, a me il problema più grosso e urgente pare quello di chi si trova “al fondo della rete”. Chi viene bocciato anche al professionale, dove va? Spesso a riempire le fila dei Neet. Questo è un problema di sistema.
Al polo opposto (in mezzo ci sono altri problemi di genere diverso), c’è il problema della classe e del singolo docente. Se il voto è davvero uno strumento per pungolare e motivare (che sia sanzionatorio o certificativo da questo punto di vista, forse, non è così rilevante), se si crea davvero, al di là dell’intenzione della legge, l’idea che la soglia delle richieste sia più bassa, non pensiamo che questo possa davvero togliere forza alla motivazione allo studio? Questo problema però è anche relativamente indipendente dalle riforme degli esami, dei voti, delle bocciature, perché dipende dalla percezione sociale dell’importanza dello studio e della scuola (col problema, annesso, della significatività di ciò che a scuola si fa).
@ Mariangela. Poni il problema dell’efficacia della scuola e, quindi, della sua giustizia. E’ un problema grosso, ma dell’ordine di quelli che richiederebbe un altro pezzo intero (anzi, altro che uno). Sicuramente l’exemplum fictum (ma plausibile) di Mariolina ha un difetto: parla di un’ammissione all’esame in quinta superiore. In teoria, ammesso che la scuola debba selezionare (o orientare verso percorsi diversi), non dovrebbero darsi casi di Marioline addirittura in quinta. Al massimo in prima, o in terza. Ovviamente a me l’esempio serviva soprattutto per scoperchiare i problemi, io credo spinosi, nascosti sotto la querelle dei nuovi criteri di ammissione; dunque non potevo che parlare di quinta.
Ma immaginando invece che Mariolina non sia un exemplum fictum (come è plausibile che sia: di Marioline che arrivano in quinta ce ne sono davvero), hai ragione, sarebbe promossa per pietà, o sarebbe bocciata senza risolvere il problema.
Per affrontare la questione che poni tu, bisognerebbe aprire il dibattito: la nostra scuola riesce a rimuovere le disuguaglianze? Problema enorme, che non affronterò. Posso solo dire che non mi convince troppo l’idea che una scuola che si limiti a certificare avrà risolto questo problema, che forse è eterno.
Grazie a tutti
aspetto inquietante
Un altro aspetto inquietante di questa deroga è che se mentre prima, pur provvedendo il cdc a portare a 6 le insufficienze, c’era comunque la possibilità della non ammissione (che poi sarebbe la bocciatura e non ci vedo nulla di male nel termine), con l’entrata in vigore della nuova normativa i ragazzi, facendo i loro calcoli e sapendo che verranno promossi comunque, innanzitutto non studieranno certe materie non raggiungendo così competenze e saperi che servono loro per entrare nel mondo degli adulti, e inoltre saranno difficili da gestire sotto il profilo comportamentale perché sanno che tanto non possono nemmeno essere minacciati di bocciatura.
Ora, non sono un professore dalla bocciatura facile e appena posso e vedo nell’alunno una serietà, un impegno e anche un’educazione tali da aiutarlo lo aiuto, certo, mentre invece difronte a un alunno con gravi insufficienze in più materie e con l’aggravante di una condotta pessima se non inquietante, non me la sento di promuoverlo. Proprio per una questione di responsabilità sociale. Detto questo, e apprezzando quindi tutti gli sforzi che noi docenti facciamo per aiutare i nostri alunni ed evitare lo spauracchio dell’incattivimento e dello scoraggiamento del ragazzo, non posso però che temere una normativa del genere. Anche se, va detto, come spiega la Puglisi, i 4 resteranno 4, il voto in uscita sarà penalizzato da questo e per l’alunno potrebbero profilarsi guai per il futuro, o almeno credo: vuoi per l’assunzione a un lavoro, vuoi per l’ingresso ai corsi universitari.
Forse ci tocca vedere e poi giudicare, ma l’aspetto che temo maggiormente è il comportamento degli alunni davanti al fatto che tanto, che studino oppure no, che si comportino bene oppure no, verranno sempre promossi. Ops! …ammessi.