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Brexit. Considerazioni ai margini dell’Impero

 Alle 5.47 del 24 giugno 2016 il sole è sorto sul più piccolo e più meridionale avamposto dell’ex Impero Britannico. Alle 6.30 è arrivata la notizia del Brexit.

Al rumore di tutti i mezzi di informazione italiani qui è corrisposto uno strano silenzio. Il giornale nazionale si è mosso solo nel primo pomeriggio, attraverso interviste a passanti incontrati per le strade della capitale. Le reazioni in questa piccola isola costituiscono un microcosmo entro cui si rispecchiano le analisi che hanno attraversato i principali Stati. Ce ne sono diverse, tanto da permettere di creare delle macro-categorie:

a. Le reazioni protomarxiste-deliranti: quelle che insistono nel rappresentare l’Unione come un Leviatano senza volto, incarnazione dei mercati finanziari e del turbo-capitalismo. È la tipologia che ha avuto, però, il merito di spostare l’attenzione sulle classi meno abbienti, contestando la dicotomia vecchi/giovani che ha dominato il discorso dei media. Eppure, nessun intellettuale sembra disposto a volersi fare portavoce, o interprete, delle classi in cui è maturata la decisione dell’uscita.

b. La reazione strafottente: per cui la Gran Bretagna è sempre stata fuori dall’Unione e dunque che problema c’è? Gli effetti non saranno così devastanti. Tipologia che spesso si colora di sfumature irresponsabilmente nichiliste: alla fine è tutto un magna magna.

c. Reazione salottiera: che è quella, forse, più supponente, portata avanti dai molti che si rapportano all’Unione Europea solo quando vanno in ferie e prenotano una stanza su AirBnB. Raccoglie sia critici che ex-entusiasti dell’Europa, ma, in ogni caso, si tratta di gente che non ha una idea definita.

d. La reazione di rifiuto: l’uscita della Gran Bretagna non è ancora definitiva, si può fare qualcosa, indire un altro referendum, appellarsi a codici e codicilli, sperare che il parlamento blocchi questa follia, già, nel frattempo, ci sono due milioni di firme…

È strano scrivere qualcosa su ciò che è accaduto in Gran Bretagna da un luogo come Malta. Membro del Commonwealth, ex colonia britannica e isola in cui molte migliaia di inglesi vivono, sfruttando le condizioni favorevoli offerte dal Paese. È strano farlo dai margini di un impero che non esiste più, ma che, in queste ultime ore, è stato rievocato spesso dai commentatori di mezz’Europa. La sensazione di stranezza costituisce la nota di fondo delle ultime 72 ore, dominate da eventi che non dimenticheremo presto. Per chi ha vissuto fuori dall’Italia negli ultimi cinque anni, il risultato di questo referendum non è sorprendente, né inaspettato. Lo sappiamo da tanto, ce lo ripetono, in Italia, destra, sinistra e Cinque Stelle: quest’Europa non ha basi comuni, è un’alleanza finanziaria incapace di muoversi oltre le prospettive dei singoli Stati, è l’Europa dei forti e dei mercati, delle diseguaglianze e degli evasori fiscali. È anche un’Europa incapace di affrontare le grandi questioni sociali che la stanno investendo. Venerdì, a quanto pare, si è fatta sentire l’altra Europa, quella dei deboli e degli ultimi, e ciò che ha detto non è piaciuto. L’ultima volta che sono intervenuto su questo blog per parlare di questioni politiche è stato in occasione delle ondate migratorie provenienti dall’est e che avevano mostrato tutta la fragilità del sistema europeo [http://www.laletteraturaenoi.it/index.php/il-presente-e-noi/395-qualche-considerazione-su-formazione-di-compromesso-e-crisi-dei-migranti.html]. Ne è sorta una polemica interessante [http://www.laletteraturaenoi.it/index.php/il-presente-e-noi/413-una-risposta-a-valentino-baldi-sull-immigrazione.html] in cui ho avuto modo di sottolineare ciò che, mi pare, sia diventato realtà: gli intellettuali europei si rifiutano sistematicamente di interrogarsi sulle ragioni delle classi più povere e con un minor livello di istruzione, perché quello che hanno da dire – fuori gli immigrati, prima i locali, abbasso la cultura – crea sdegno e riprovazione. Ed ecco che quel rimosso si è ripresentato, lasciando l’Europa in balìa di sentimenti xenofobi. A Malta esiste una parola per indicare tutto questo: barra. Il lemma condensa una pluralità semantica: vuol dire fuori ed è la radice di barrani, cioè escluso, straniero, ma anche minaccioso, pericoloso. Racchiude, insomma, quell’idea fissa che, da diversi anni, molti europei condividono: siamo disposti ad aiutare, ma prima dobbiamo pensare a noi, italiani, spagnoli, inglesi, tedeschi. È una postura che, purtroppo, si confonde con il localismo, con l’esaltazione delle origini e delle tradizioni e, per questo, è più difficile da sradicare. Eppure Brexit sembra averci insegnato altre cose, che forse preferivamo ignorare.

Nel pomeriggio di venerdì 24 aprile sono iniziate a circolare alcune notizie strane: in Gran Bretagna i cittadini interrogavano piattaforme come Google per capire quali fossero le conseguenze del referendum e cosa significasse stare dentro l’Unione. Una cosa che ricorda quella spiacevole abitudine di controllare su internet i sintomi di un male che ci sentiamo addosso. Questa circostanza ha rafforzato la visione caricaturale del sostenitore del Leave come vecchio arrabbiato e ignorante e non ha permesso di riflettere sul fallimento di un’idea di coinvolgimento sociale e intellettuale che la sinistra occidentale ha perso da almeno vent’anni.

L’ultima cosa che possiamo constatare è, forse, la più inaspettata: la difficoltà, generalizzata, nell’accettare la realtà. È la reazione che porta a credere che il referendum possa essere annullato, invalidato, contraddetto; gemella di quella per cui l’uscita dalle Gran Bretagna non inciderà più di tanto sui destini condivisi. E non sono solo reazioni da tabloid: sabato 25 giugno, la mailing list di Italian Studies è stata percorsa da messaggi che millantavano la possibilità che il referendum venisse annullato e, a partire da domenica, i mezzi di informazione hanno iniziato a dare sempre più rilevanza all’ipotesi. Non è una reazione trascurabile e riunisce interlocutori seri e, spesso, preparati. Gente che non sembra rassegnata a credere che tutto questo sia vero. E non lo può credere perché Brexit è una catastrofe per chi si è rifiutato di trattare l’Europa come un fantoccio da agitare in aria, o come unione meramente monetaria. Per coloro che l’hanno vista come un contesto attraverso cui rifiutare retoriche populiste e xenofobe. Il cielo di carta che si è strappato è quello dell’accoglienza, dei progetti condivisi, del costruirsi una casa. Alcuni, molti, moltissimi hanno creduto che l’Europa (e la Gran Bretagna in primis) potesse costituire una realtà concreta e tangibile, ben al di là di Ryanair o dell’unione economica. Improvvisamente è diventato chiaro che simili ideali sono negoziabili: chi ha creduto che l’Europa fosse una casa, si è scoperto ospite temporaneo e piuttosto ingrato.

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