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Anatomia dell’irrequietezza (a Mohyeon). Lettere dalla Corea del Sud/4

Lo so che un’anatomia dell’irrequietezza è già stata scritta, però non vedo proprio come altro chiamare questo mio corpo che guizza da un luogo all’altro e da un’attività a quella subito precedente, per poi spezzarla di nuovo e riprenderla chissà quando e soprattutto chissà perché, visto che il problema è: la sindrome premestruale.

 Anatomia dell’irrequietezza è infatti un sinonimo di sindrome premestruale.

Le cause dell’irrequietezza possono anche essere altre, naturalmente, ma non importano perché adesso c’è da capire con urgenza come affrontare l’irrequietezza a Mohyeon.

Intanto come non affrontarla. La prima regola da non seguire è quella di restare chiuse nell’appartamento da sole e trasformarsi in una creatura Spam, un incubo della posta elettronica per amici lontani, abissalmente lontani. 

E che però forse, sottoposti alla pressione di tante parole provenienti da una Babele stipendiata, avranno iniziato a chiedersi: ma un fidanzato?

Ecco, il problema come già vi ho detto una volta – nel caso le leggiate queste mie mail, perché ne dubito, profondamente ne dubito – è che una coppia di esiliati qui a Mohyeon:

1) o coincide con le persone eccezionali di Lyudmilla e Ovidiu, che hanno passato il Giorno dell’Indipendenza coreana (mascherato da Ferragosto) al Nescafé, leggendo:

– Lyudmilla un libro di semiotica tutto giallo e molle, di cui non ho capito il titolo ma ho visto il disegno in copertina (di Escher);

– Ovidiu un articolo on line in rumeno sulle intermittenze del nazismo nel pensiero cattolico.

2) o non è una coppia.

Perciò alla domanda: ma un fidanzato? la risposta è: no.

Continuiamo con l’irrequietezza.

La seconda regola anti-irrequietezza da non seguire è quella di abusare del Kindle comprando nuove uscite su Amazon.com che abbandonerai dopo poche pagine, illusa dallo scintillio promettente dell’Anteprima.

E non potrebbe essere altrimenti, perché il destino di un’Anteprima è quello di essere promettente, di irradiare una luce di contagio su tutto ciò che ne segue la scia e che troppo spesso però non è altro che un’estenuazione di quell’Anteprima, o un suo totale rinnegamento.

E allora un’irrequieta che però non si accontenta dell’Anteprima (perché un’altra caratteristica dell’Anteprima è quella di essere insufficiente, ne vorresti ancora un po’, è impossibile saziarsi con lei) non può far altro che affastellare delusioni di nuove uscite.

E per arginare questo sperpero di sé e di denaro decide allora di uscire.

E questa è infatti la cosa da fare, la cosa che andrebbe fatta proprio dall’inizio, appena senti quel fremito muscolare, quella capricciosità del cervello, quello spezzatino di pensieri e movimenti.

Decidi di uscire: esci davvero. Bene. E ora passeggi per Mohyeon cercando un rifugio all’irrequietezza (anche se l’irrequietezza non tollera rifugi, come presto infatti vedremo, ma solo spazi smisurati da tratteggiare con falcate nervose).

Un rifugio anti-irrequietezza a Mohyeon: dove trovarlo? 

Al caffé Kappa. Il caffé Kappa è un incastro di livelli e di sedute diverse: cuscini, poltrone, sedie girevoli, mezzanino, pavimento.

Tu scegli il mezzanino per i cuscini, l’assenza di aria condizionata e il volume della musica più tollerabile, ma dopo un po’ che sei lì col tuo té freddo al crisantemo e la fetta di pane tostato con sopra uno sbuffo spray di panna, ti accorgi che l’aria condizionata è indispensabile e che quel ventaglietto di plastica con cui cerchi di riprodurla sta avendo il solo effetto di slogarti il polso.

Perciò decidi di scendere dal mezzanino, avventurandoti giù per le scale scalza e con il vassoietto tremulo di crisantemo liquido e di una panna sempre più floscia. Scendi, ti rimetti le scarpe che sul mezzanino stare calzati non si può, e scegli adesso una poltrona di pelle foderata di cuscini. Però qui fa troppo freddo e mentre ti metti il maglioncino di cotone e la sciarpa di seta cambogiana che Lyudmilla ha regalato a tutte le sue amiche in tonalità diverse – a te celeste – decidi che c’è anche qualcos’altro che ti disturba. Non c’è infatti solo il freddo che spira da quella malefica griglia sopra alla tua testa e al tuo té al crisantemo, ma c’è anche la musica, la musica pulsante di quella perfida cassa che sta appollaiata proprio lì, appena sotto la griglia malefica.

E adesso non puoi alzarti di nuovo per andare sotto al mezzanino (ecco, quello sarebbe il posto perfetto per leggere) perché lì ci sono già tre persone, ovvero una mamma, una zia e una bambina con le code e un vestito di tulle rosa, che hanno occupato i cuscini, l’aria condizionata moderata e la musica dal volume accettabile. E in quella tripla colonizzazione di ciò che sarebbe spettato a te se solo fossi arrivata prima che cosa fanno? Mangiano. Mangiano una fetta di torta al cioccolato striata di fragola e non la finiscono neppure, ma se ne fanno mettere metà dentro una capsula di plastica trasparente, dicendo Nomu mani eò, (‘è troppa’).

Ma quando il trio finalmente libera il tavolo e con la mezza fetta incapsulata esce dal Caffè Kappa, tu ti rendi conto che non starai bene neppure lì, lo sai prima ancora di provarci, e allora esci anche tu, togliendoti il maglioncino e la sciarpa e passeggiando ancora per Mohyeon. Ma nel riverbero del cemento fa così caldo che devi tornare al dormitorio, sederti un po’ su una panchina, dove però sbatte troppo sole, e allora su un’altra, ma a questo punto sei così vicina a casa che tanto vale. 

Tanto vale tornare dentro.

Ed eccoti qui, a seguire demente la regola da non seguire numero uno, trasformata in una Creatura Spam ossessa, in un incubo elettronico coreano, mentre i tuoi amici continuano a chiedersi: ma un fidanzato?

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