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diretto da Romano Luperini

Dietro le quinte di un’amicizia letteraria: La vita dell’altro di Enrico Terrinoni

Entanglement

Nella fisica quantistica, si definisce entanglement il legame esistente tra le particelle di un sistema, in base al quale lo stato quantico di ogni costituente dipende istantaneamente dallo stato degli altri; tale legame si mantiene anche quando le particelle sono a distanze molto grandi. Con questa immagine Enrico Terrinoni, ordinario di Letteratura inglese all’Università per Stranieri di Perugia e traduttore di fama internazionale (sua la prima edizione bilingue dell’Ulysses per Bompiani), definisce l’amicizia tra due dei più grandi scrittori di inizio Novecento: Italo Svevo e James Joyce. Il testo di Terrinoni scava all’interno di questo legame di due scrittori «che vivono per scrivere e scrivono per vivere», sviluppando la tesi innovativa che «questi spiriti davvero affini si siano influenzati a vicenda e abbiano tratto, l’uno dalla vita e dalle esperienze dell’altro, tutta una serie di motivi, immagini e persino espressioni cruciali per lo sviluppo della loro arte» (E. Terrinoni, La vita dell’altro. Svevo, Joyce: un’amicizia geniale, Bompiani, Milano 2023, p. 9, da cui si cita). L’aggettivo geniale del titolo (che strizza l’occhio al celebre romanzo di Elena Ferrante) fa proprio riferimento alla poliedricità di questa amicizia, contraddistinta da dipendenza economica (dello squattrinato Joyce dal ricco triestino Ettore Schmitz), frequentazioni che coinvolgevano anche le rispettive mogli, lettere, contrasti e attriti, ma soprattutto caratterizzata da un’attrazione reciproca (è questo il filo rosso del libro) tra due giganti della letteratura moderna.

Nonostante la recente pubblicazione degli epistolari di Svevo (per cui si rimanda a un articolo di Federico Bertoni su «Le parole e le cose») e di Joyce, sin dalle prime pagine Terrinoni avvisa il lettore che racconterà una storia con molti buchi neri, primo fra tutti quello relativo alle modalità e tempistiche dei loro primi incontri; nel loro rapporto permangono misteri che nascondono «una verità oscura, che possiamo certamente avvicinare, ma solo a patto di sapere che rischiamo di venirne, tutt’a un tratto, inevitabilmente risucchiati» (p. 15). Al netto di questi “buchi”, che rappresentano piste per ulteriori ricerche, il volume di Terrinoni aiuta a superare l’ormai cristallizzata visione di Ettore/Italo allievo dell’insegnante di inglese Joyce, che ricambierà l’aiuto economico ricevuto negli anni triestini facendolo conoscere, nel 1926, ai critici francesi Benjamin Crémieux e Valery Larbaud, che gli spianeranno il successo oltralpe.

Vite letteraturizzate

Terrinoni sottolinea più volte, nell’Introduzione Una, nessuna e centomila vite, che sta per raccontare una storia, in cui vita e letteratura si mescolano; indicativo di ciò è l’alternarsi, nel corso del libro, dei cognomi Schmitz e Svevo per riferirsi all’autore della Coscienza di Zeno; se Svevo stesso, in un frammento, aveva scritto che «un letterato sa sempre di essere composto di due persone» (Italo Svevo, Racconti e scritti autobiografici, a cura di Clotilde Bertoni, in Tutte le opere di Italo Svevo, edizione diretta da Mario Lavagetto, Mondadori, Milano 2004, p. 784), è plausibile che egli avrebbe anche sottoscritto la seguente massima di Albert Thibaudet: «Il romanziere autentico crea i suoi personaggi con le direzioni infinite della sua vita possibile, il romanziere fasullo li crea con la linea unica della sua vita reale. Il vero romanzo è come un’autobiografia del possibile» (Albert Thibaudet, «L’Esthétique du roman», in Réflexions sur le roman, Gallimard, Paris 1938, p. 12).

Titoli joyciani

Il saggio di Terrinoni si snoda in 13 capitoli numerati preceduti da una Introduzione e da una Postfazione; a cinque (Parigi 1, Trieste 1, Trieste 2, Milano e Parigi 2) che fanno riferimento alla geografia sveviana e joyciana, se ne intervallano tre (Narravita, Senilitalia e Zenotipia) i cui titoli geniali testimoniano l’apprendistato di Terrinoni come traduttore dell’Ulysses e del Finnegans Wake. Approfondiamo ora le acquisizioni raggiunte dall’autore in due capitoli-chiave, che illuminano sull’influenza di Una vita e Senilità per lo scrittore irlandese.

Narravita

Nel capitolo 5, Terrinoni si addentra nella relazione tra Joyce e il suo singolare alunno, partendo dalla lettura, avvenuta nell’autunno del 1907, del finale del racconto The Dead, inserito nei Dubliners; questo testimonia come lo scrittore irlandese si servisse delle sue opere nelle lezioni private, ma fa luce anche sulla conoscenza della lingua inglese da parte di Ettore, che non doveva essere così incerta, se era capace di intendere l’ostica prosa letteraria joyciana. In questi incontri, Svevo confessò di aver scritto due romanzi, Una vita e Senilità, con scarsissima eco; «la stampa e la rilegatura erano molto modeste, e con gli anni le pagine avevano assunto un triste colore giallognolo. Ma Svevo ebbe comunque il coraggio, e forse l’orgoglio, di allungarli al giovane irlandese, la cui prima reazione fu certamente di stupore» (p. 104).

Una vita, a cui Svevo non dedicò, a differenza di Senilità, alcuna riscrittura,si imprimerà però nell’immaginario joyciano; questa narravita è infatti incarnata nel protagonista del romanzo del 1892 che, «come Svevo e come in seguito Joyce, lavora nel reparto corrispondenza di una banca commerciale […] proprio perché è pratico di parecchie lingue» (p. 113). Dopo aver indagato il tema del suicidio, ricorrente nel romanzo, ma anche nella biografia e produzione dei due autori, Terrinoni si sofferma su un intreccio di nomi che lega Una vita alla biografia di Joyce: la figlia di Joyce ha lo stesso nome della Lanucci innamorata di Alfonso in Una vita; la madre di Lucia, Lucinda Lanucci, rimanderebbe «in maniera silenziosa e sotterranea persino al nome della madre di Molly Bloom, Lunita Lareto, nell’Ulisse» (p. 121); infine, per avvalorare l’influenza del primo romanzo sul capolavoro di Joyce, Terrinoni fa notare come l’espressione «cespite di rendita» (p. 122) passi dal romanzo del 1892 direttamente al capolavoro del modernismo, a distanza di ben trent’anni.

Senilitalia

Il capitolo, però, a mio avviso più interessante dell’opera è sicuramente Senilitalia, in cui l’autore indaga l’entanglement provocato dal romanzo edito nel 1898. «In primo luogo, è assai probabile che [Joyce] fosse rimasto colpito da una tecnica narrativa sveviana capace poi di dare i suoi frutti in tutto il modernismo: quella dell’inizio in medias res» (p. 127); in secondo luogo, lo scultore Stefano Balli, modellato sul pittore triestino Umberto Veruda, somiglia molto, non solo nella vicinanza del suono dei nomi, allo Stephen Dedalus di Portrait of the artist as a young man; in terzo luogo nell’Ulysses Joyce crea l’immagine di «marito cornuto ma non geloso che è Bloom» (p. 130), con debiti evidenti nei confronti di Emilio Brentani.

Tuttavia, è nel tema della gelosia e nelle aspirazioni al socialismo che si avverte l’eco più evidente di Senilità nella vita e nell’opera di Joyce; la gelosia, come «rimescolio di amore, passione e anche voglia di vendetta» (p. 131) caratterizza tanto i pensieri di Emilio su Angiolina, quanto quelli di Leopold Bloom sulla moglie. Emilio Brentani che, come si apprende dalle prime righe di Senilità, aveva «pubblicato un romanzo lodatissimo dalla stampa cittadina», ricorda Stephen Dedalus, «un giovane artista il quale da una donna veniva rovinato nell’intelligenza e nella salute» (p. 133). È inoltre il socialismo a legare Svevo, Joyce e i protagonisti delle loro opere; lo scrittore inglese, in esilio da Dublino, amava definirsi, come ricorda Terrinoni, un “artista socialista”, riecheggiando i contenuti del capitolo 10 di Senilità, in cui si racconta l’utopia socialista dello scrittore-impiegato Emilio.

Tuttavia, tanto il protagonista di Senilità, quanto James ed Ettore avranno una medesima evoluzione politica: Emilio Brentani avrà un fervore socialistico solo passeggero e «la stessa cosa avviene con Joyce che, dopo un periodo romano in cui si appassionò enormemente al dibattito all’interno del socialismo italiano, […] già agli inizi del 1907 avrebbe detto al fratello: “il mio interesse per il socialismo mi ha abbandonato”» (p. 134). Parimenti complesso è il rapporto di Svevo col socialismo: dopo aver letto testi chiave di critica marxista, aveva pubblicato nel 1897, negli anni di Senilità, il racconto La tribù; passato dalla banca al ruolo nella ditta di vernici sottomarine Veneziani, mantenne un sincero interesse per gli operai delle fabbriche di Trieste e Murano con cui trascorreva parecchie ore.

Quindi, secondo Terrinoni, tanto in Svevo quanto in Joyce, le idee socialiste, apparentemente abbandonate, prendono in realtà «sentieri carsici», riemergendo, curiosamente, in alcuni momenti di ubriachezza negli scritti sveviani dell’età matura e nel capitolo Circe dell’Ulisse.

Due finali

La vita dell’altro presenta due finali: il capitolo 13, Finizio, rievoca la morte di Ettore e si chiude con queste parole:

«Questa piccola grande storia ho voluto raccontare, affidandomi a eventi, affinità, impressioni, incroci e simultaneità che credo siano in grado di spiegare almeno in parte il modo in cui le loro opere continuano a scrutarci oscuramente, da un passato mal sepolto e con occhi attenti e divertiti, fissi sui nostri futuri. […] Tutti dettagli che ci dicono come l’esistenza sa a volte divenire letteratura, per poi tornare infine, inesorabilmente, a esser vita» (p. 222).

In realtà, dopo il cap. 13 si trova COINCIDENTIAE (ovvero, postfazione per lettrici o lettori superstiziosi): qui Terrinoni analizza numeri, cifre, date e orari che contraddistinguono le vite di Svevo e Joyce. I capitoli de La vita dell’altro sono 13, numero della morte secondo l’ebreo Leopold Bloom: tale numero si collega all’Ultima cena, alla Trinità e ai tredici attributi della misericordia di Dio secondo la Torah. Terrinoni nota come Svevo morì il 13 settembre 1928 e Joyce il 13 gennaio del 1941; il 13 agosto del 1903 morì la madre di Joyce e «un anno dopo uscì il primo racconto in assoluto di Joyce, Le sorelle, che ha al centro la morte di un prete chiamato…James» (p. 225).

Le loro vite sono quindi legate da date perturbanti, come il 15 giugno, giorno in cui vennero pubblicati, nel 1914, i Dubliners; per Svevo quella data è invece significativa perché proprio il 15 giugno iniziò la pubblicazione del Carnevale d’Emilio (primo titolo di Senilità) sulle pagine del quotidiano «L’Indipendente» e altri eventi interessanti delle loro vite girano intorno al 15 giugno. Si tratta, annota Terrinoni, dell’ossessione della sincronicità di cui parlava Carl Gustav Jung, che ci presenta vite e opere «connesse in un entanglement simil quantistico che in parte deve restare segreto» (p. 229).

Saggio o storia?

Leggendo La vita dell’altro non si può che rimanere catturati dalla prosa avvolgente di Terrinoni, che è in grado di condurre il lettore nelle vite e nelle opere di Svevo e Joyce, facendo rileggere episodi noti dei capolavori dei due grandi con occhi nuovi. Si veda, a titolo esemplificativo, l’episodio dello schiaffo del padre narrato nel cap. IV della Coscienza di Zeno che è modellato, come spiega bene l’autore nel capitolo Fratelli,su un fatto avvenuto a Umberto Veruda, amico e ritrattista di Svevo, oltre che ispiratore per il personaggio di Stefano Balli in Senilità: «La madre, in punto di morte […] lo colpì con uno schiaffo che svevo riprodurrà nel capitolo La morte di mio padre» (p. 91).

Anche se non si tratta di saggistica accademica, si rimane colpiti dalla capacità di Terrinoni di rievocare episodi anche minimi della vita e delle opere di Svevo e Joyce, intrecciando nomi, numeri, date, opere e luoghi. Un’altra caratteristica di questa che definirei “prosa ad accumulo” è l’aggiunta progressiva di contenuti a contenuti, di dettagli a dettagli, come a voler far formare nel lettore un’immagine sempre più nitida di questa amicizia geniale.

La percezione è, a mio avviso, quella di un volume che si presta a molteplici livelli di lettura e di fruizione: il livello base è la sua lettura da parte dell’appassionato di biografie, che si lascia immergere nel racconto di un’amicizia specialesullo sfondo della Trieste di inizio Novecento; a livello più avanzato ci sono invece letture che si soffermano su elementi di intertestualità marcati e innovativi, in cui Terrinoni dimostra una conoscenza tanto approfondita della produzione di Svevo e Joyce da fargli leggere le loro opere come una sorta di continuum.

Un libro, insomma, che può arrivare a un ampio pubblico di lettori, accomunati però dalla passione per quel côté mitteleuropeo che è stato terreno fertile per la coppia per eccellenza della letteratura di inizio Novecento, Svevo e Joyce, il cui rapporto viene riletto da Terrinoni sotto una nuova luce, non più solo come subordinazione dell’allievo al maestro irlandese, ma come illuminazione e condizionamento reciproci.

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