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diretto da Romano Luperini

«Sporgersi»: Il realismo è l’impossibile di Walter Siti

Noi mentiamo tutti, più o meno, ma quali sono la meccanica e l’obiettivo della nostra menzogna? Io, per quanto mi riguarda, credo ancora di mentire nel senso della verità. Soffro di ipertrofia del dettaglio vero, il salto nelle stelle mediante il trampolino dell’osservazione esatta. La verità balza con un colpo d’ala su fino al simbolo.

L’affermazione che tutti gli scrittori mentono non sorprenderebbe, se fosse stata pronunciata da Manganelli, e non ci stupiremmo se leggessimo che per un ermetico il «dettaglio» esatto, colto dall’osservazione del vero, è utile per innalzarsi verso l’Assoluto: sarebbe ovvio leggere che un decadente cerchi il «colpo d’ala» che gli consenta «il salto nelle stelle», «fino al simbolo». Invece, a scrivere queste parole è stato Émile Zola, a proposito di Germinal, e le riporta Walter Siti nel suo Il realismo è l’impossibile (Nottetempo, 2013, pagg. 51-2) per dimostrare che la realtà è soltanto il punto di partenza, o meglio, «il trampolino» che consente l’accesso ad un altrove. «Chi sta sul trampolino / è ancora morto» nota Montale (Il tuffatore, Diario del ’71 e del ’72) e Siti forse non è molto lontano dal pensarlo. Certo è che la sua concezione del realismo scardina, attraverso delle folgorazioni, le certezze relative ad una tendenza artistica troppo spesso fraintesa tra i banchi di scuola ed ex cathedra: «Per come lo intendo io, il realismo non è una copia, ma un conflitto, una tensione irrisolta e ineliminabile.» (pag. 60). Il realismo, esattamente come una corrente, risulta essere «una tensione» dinamica, che ha ragione in sé, piuttosto che essere la statica fotografia, di cui solitamente si parla.

La tecnica realista è un inseguimento infinito a rappresentare zone sempre più nascoste e proibite della realtà, impiegando artifici sempre più sofisticati e illusionistici. (pag. 22)

Siti, perciò, in un vorticoso excursus, come si presenta questo non-saggio, guida il lettore a liberarsi di comode abitudini mentali, ed apre il discorso sul realismo alla teoria della letteratura (e dell’arte, in genere), approdando, infine, al suo modo di scrivere, al suo realismo ed alla sua identità reale di scrittore:

Ormai non mi scuso più se parlo di me, tanto è chiaro che il pudore è andato a farsi benedire e che questo non è un saggio sul realismo ma una bieca ammissione di poetica. (pag.48)

Leggere per la prima volta queste pagine o rileggerle – a distanza di un decennio dalla prima pubblicazione – può essere salutare per storicizzare la relazione tra la realtà e la scrittura attraverso il diaframma o la lente del realismo. Siti propone, così, una piccola gionta al «libro monumentale» (pag. 22) di Auerbach, ma, per distinguersi dall’impareggiabile precursore, in questo ‘libro piccolo’ «la precisione filologica non è garantita» (pag. 80).

La “realtà a contropelo”

La prima parte di questo libriccino (per dimensione) di estrema densità (per contenuto) si intitola Allo stato nascente.

Il realismo, per come la vedo io, è l’anti-abitudine: è il leggero strappo, il particolare inaspettato, che apre uno squarcio nella nostra stereotipia mentale […] (pag. 8)

Il realismo, come strappo nel cielo di carta della letteratura, presuppone, secondo Siti, uno scrittore illusionista che guarda le cose da dietro, come fa Dickens, raccontato da Chesterton, che nella scritta della porta a vetri all’interno di un caffè, “moor eeffoc”, rivive la sua indigente giovinezza, mentre lo sguardo abituale dall’esterno legge su quella porta soltanto un insignificante “coffee room”. Il lettore di questo libretto, deve, perciò, avere una sensibilità ermeneutica e seguire esattamente l’ammonimento di Gadamer (Verità e metodo, 1983, pag. 316): «Chi vuol comprendere un testo deve essere pronto a lasciarsi dire qualcosa da esso», abbandonando tutte le abitudinarie certezze, lasciandosi guidare da Siti, per prendere coscienza «delle proprie pre-supposizioni e dei propri pregiudizi.» Ecco, allora, che bisogna lasciarsi trascinare dallo sguardo di sbieco di Siti e dalle folgoranti sue definizioni: «Il realismo è una forma di innamoramento» (pag. 8), «L’incomprensibile è una buona porta per entrare nella realtà» (pag. 9), «lo straniamento ha militato a lungo sotto le bandiere del realismo» (pag. 10). Punti di approdo di una serie esemplificativa, queste ed altre simili secche affermazioni assiomatiche, a volte, diventano punti di partenza per esempi che le giustifichino e le illuminino. Siti, narratore illusionista della sua poetica, sembra proporre formule che possano aprire mondi. E il sospetto è che nel dirle voglia metterle in crisi, già superate da un altro angolo visuale, da un nuovo esempio che dimostra la insussistenza di un’altra certezza. Lui lancia un sasso:

Da esempi puntiformi come questi, l’attitudine del realismo a sconvolgere gli stereotipi culturali può allargarsi a cerchi concentrici […]. (pag. 11)

Il lettore è già soggiogato dal prodigio e guarda l’increspatura che s’allontana e quella che gli viene incontro. Ma Siti lo riporta alla questione e ribadisce la tesi provando e riprovando

Parlare del realismo come trasgressione e rottura dei codici può apparire contraddittorio rispetto alla cantilena che nei secoli si è ripetuta, del realismo come copia del reale e dell’artista mimetico come scimmia della natura. (pagg. 12-3)

Invece, «più che una scimmia, lo scrittore mimetico è un mago» (pag.14)

Il realismo non è la storia di un rispecchiamento piatto e subalterno, ma di uno svelamento impossibile. (pagg. 15-6)

Poiché «Nel vero realismo la realtà non è mai qualcosa di ovvio» (pag. 20).

L’origine del mondoe l’impossibile

Nella seconda parte, Bisogno di mentire, scopriamo la ragione del titolo del libriccino. Pare che Picasso abbia visto nella casa di campagna di Lacan L’origine del mondo di Courbet e dopo un lungo silenzio abbia mormorato “La realtà, è l’impossibile”. Se la realtà è impossibile da rappresentare, si pone la questione antica del rapporto tra realtà e invenzione, tra vero e falso, per Siti evidentemente sbilanciato sul secondo elemento, in nome della credibilità dell’arte rispetto alla piattezza insulsa del dato concreto ri-prodotto. Se l’arte ha bisogno di selezionare ciò che nel realismo risulta credibile e fruibile, ha bisogno del verosimile, «repertorio di tutte quelle parti di realtà a cui il lettore può credere senza inciampo perché assomigliano a cose che ha già sperimentato.» (pag. 27) Ma «Realismo e verosimiglianza, in ultima analisi, si scoprono rivali.» (pag. 30) Lo scrittore realista dovrà perciò guardarsi dalla realtà, ma anche dall’invenzione, e giocare sull’equivoco dell’apparenza: ciò che appare vero è assolutamente falso, quello che è dichiarato falso, forse è vero, «Io mento, ma non credetemi quando vi dico che mento» (pag. 37). In un universo di segni impazzito si sposta il confine della mimesi verso zone oscure ed inesplorate, in zone che confinano con il misticismo ed intuiscono l’informe che giace nel profondo o che si sta organizzando per diventare l’esistente in un tempo futuro.

La rincorsa verso il profondo e l’appena intuito fa il paio con la rincorsa verso l’intero e il meglio articolato nel dettare la marcia del realismo attraverso la storia […]. (pag. 41)

Effetto di reale”

L’importanza e la funzione del “dettaglio” è l’argomento della terza parte, Il trampolino, nella quale viene ricordata la definizione di Barthes, “effetto di reale”, nel momento in cui un particolare realistico, un oggetto per esempio, viene descritto non per far procedere l’azione o per caratterizzare il personaggio, ma solo per affermare la realtà del luogo in cui è descritto: «Un trucco da prestigiatore, un effetto che l’autore ottiene per puro cinismo mimetico.» (pag.47) Attraverso il dettaglio realistico si raggiunge il “realismo elfico” di cui parla Chesterton a proposito di “moor eeffoc” di Dickens, o il realismo «liquido e pulviscolare» (pag. 53), che, secondo Siti, «evoca uno scatto, un’illuminazione improvvisa che dia senso al Tutto».

Molti scrittori realisti odiano la realtà, se no non dedicherebbero la vita a fabbricarne un surrogato e una parodia (all’inizio di questo saggetto ho sostenuto che il realismo è una forma di innamoramento, ma odio e amore evidentemente non si escludono). Il realismo oppone la realtà alla Realtà; lo scrittore realista è una scimmia della natura ma anche uno stolto demiurgo che cerca di mimare una Creazione che non conosce; se non temessi di apparire ridicolo, parlerei di realismo gnostico. (pag. 59)

Nella quarta parte, Tra archetipi e stereotipi, Siti prende in considerazione le forme di realismo contemporaneo, negando statuto realistico a tutte quelle scritture che, pretendendo di realizzare la rappresentazione realistica, cadono nella stereotipia di un riconoscibile filone narrativo di successo. I cliché impediscono che ci si sollevi da terra, la realtà non ci sorprende più, il dettaglio diventa inventario, perciò

forse l’immagine mediatica e spettacolare ha ormai talmente preso possesso del nostro cervello che chi vuole apparire credibile deve imitare quella e non la realtà sottostante. Il verosimile è l’irrealtà, l’impegno coincide espressivamente con l’evasione e l’identificazione scatta con il luogo comune. (pag. 70)

Sull’«onda del bisogno di mentire di un’intera società» (pag.75) fiorisce il narratore inattendibile dell’autofiction. Come risulta difficile, a volte impossibile, distinguere ciò che è accaduto nella realtà, da ciò che è costruito come evento spettacolare, rilanciato dai moderni media, che mescolano su una dimensione orizzontale il vero e il falso

L’io dell’autofiction oscilla tra empiria e letteratura: mentre si sforza di dare carne e sangue alle parole, si trova tra le mani un’entità cartacea e depotenziata. Sa che la sua mimesi è spesso mimesi di immagini virtuali, che il suo è un realismo nell’epoca della de-realizzazione. (pag. 76)

Ma, e Siti parla espressamente anche di sé, «il pericolo di insistere nell’autofiction è di ridursi ad uno stereotipo di se stessi» (pag. 78). La «morte del realismo è fare della propria scrittura (o vita) un oggetto reificato. Se dovessi trovare, per il realismo come lo intendo, un verbo riassuntivo, indicherei il verbo sporgersi» (pag. 79)

C’è evidentemente un’esigenza metastorica in chi si dedica al folle compito di dare senso al mondo con le parole: l’esigenza è quella di giocare col fuoco o, se si vuole, a nascondino con la realtà – stuzzicandola per trarne scintille che la realtà non sa nemmeno di avere, copiandola per negarla, cercando di sfuggire alla sua insensatezza ma nella convinzione che non ci sia senso senza mondo, come la colomba si illude se pensa di volare più veloce senza la resistenza dell’aria. In questo gioco pericoloso si brucia l’equilibrato compromesso aristotelico: il verosimile va in frantumi, schiacciato tra i due estremi della verità e della menzogna. (pag. 32)

Ed ecco a voi, signori, il realismo. Tela.

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