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Un bambino (e il pianeta) in affido – Su “Il ritorno è lontano” di Alessandra Sarchi

L’ultimo romanzo di Alessandra Sarchi evoca fin dal titolo, Il ritorno è lontano, una storia esente da facili e rassicuranti soluzioni: al centro vi è una famiglia “normale” e, proprio come succedeva in L’amore normale (2014) (qui la nostra recensione) , l’autrice assume i punti di vista dei suoi componenti per narrare una vicenda contemporanea verosimile. È una “trama” famigliare nella quale è assai facile immedesimarsi: i genitori – Sara e Paolo – hanno cresciuto Nina che, ormai ventenne, si trova a Amburgo per studiare; le videochiamate tra madre e figlia segnano da una parte il vivissimo senso di indipendenza di Nina decisa a prendersi i suoi spazi non solo fisici ma anche ideologici, e, dall’altra, l’acuirsi del senso di vuoto di Sara alla quale, lontana la figlia, sembra di aver perso l’ago magnetico del quotidiano. Il padre partecipa a questi scambi con parziale distacco emotivo e, forse, con il sollievo e la soddisfazione di aver consegnato al mondo una persona ormai adulta in grado di gestirsi: certo, non manca qualche preoccupazione per l’attivismo climatico cui Nina partecipa con tanta convinzione ma nell’uomo i timori vengono tenuti a freno dalla fiducia nella ragazza.

Fin dai primi capitoli del romanzo si delineano così i due binari lungo i quali filerà tutto il libro, e che costituiscono temi particolarmente cari all’autrice: da un lato la maternità, scandagliata non solo nel rapporto tra Sara e Nina, ma anche nella forma “altra” dell’affido familiare; dall’altro la cura per il pianeta che abitiamo, intesa etimologicamente sia come “preoccupazione” sia come “attenzione”, tema centrale già in Violazione (2012).

Il senso materno e l’affido di Pietro

Sara, archivista appassionata ma un po’ stanca della vita d’ufficio, vive lo snodo dell’autonomia di Nina con crescente difficoltà; la nota emotiva dominante nelle sue giornate è il rimpianto, la nostalgia: frequenti sono i momenti in cui un libro per bambini, una scena al parco, il suo stesso girovagare per la casa vuota la riporta a momenti della vita in cui il suo tempo migliore era quello trascorso con la figlia. Esemplare, in questo senso, l’incipit:

La stanza rimbombava, ora che era vuota. Come una conchiglia, come un osso cavo. Difficile dire se a risuonare fosse il residuo di ciò che l’aveva riempita o la sua assenza. Sara la teneva chiusa da settimane. […]
I muri erano spogli a parte un poster degli Arctic Monkeys appeso a un foglio di sughero e una grande riproduzione di Blue Marble, la foto della Terra scattata il 7 dicembre 1972 dall’ultima missione Apollo. Era stato un regalo di nonna Vittoria quando Nina aveva compiuto cinque anni, lo aveva portato già incorniciato e pronto per essere appeso. Sara ricordava di aver ricevuto alla stessa età un mappamondo di plastica; doveva ammettere che Blue Marple era infinitamente più bella e misteriosa.
Avevano passato molto tempo, Sara e Nina, sdraiate a fantasticare su quell’immagine – una biglia colorata di azzurro e verde con grandi creste di bianco – inventandosi storie che proseguivano da una sera all’altra. Quando Sara l’accompagnava a letto il blu e il verde del pianeta rimanevano illuminati dalle lucine di un filo che correva sulla cornice. (A. Sarchi, Il ritorno è lontano, Milano, Bompiani, 2024, p.7)

Il senso di vuoto della donna si amplifica in occasione della malattia che la costringe a una isterectomia: l’asportazione dell’utero sembra segnare anche nel corpo una mancanza non più sanabile.

Presto Sara sente crescere in lei il desiderio di avere un altro bambino a cui dedicare la sua energia, il suo tempo: scartata l’idea dell’adozione per i limiti anagrafici che porterebbero lei e il marito a confrontarsi oramai con un adolescente, la donna segue la strada dell’affido familiare. Paolo è alquanto perplesso rispetto alla proposta della moglie, ma non trova la forza di ostacolarla in un progetto che condivide solo in parte.

Sarchi torna dunque a confrontarsi con un tema caro alla sua scrittura, quello della maternità, che ama trattare in tutte le sue sfaccettature: già nel romanzo Il dono di Antonia (2020) l’autrice aveva affiancato allo scandaglio della “spigolosa” relazione  tra la protagonista e la figlia Anna il tema della maternità surrogata, incarnato da Jessie: il ragazzo, infatti, parte dagli USA, dove è nato grazie all’ovulo donato dalla donna, per venire a conoscerla in Italia, costringendola a confrontarsi con il giovano uomo frutto di quella donazione.

Ne Il ritorno è lontano, oltre alla relazione “biologica” tra Sara e Nina, nella quale non mancano le naturali tensioni, le gelosie, le incomprensioni, Sarchi indaga un altro modo di rispondere al bisogno di maternità: l’affido familiare, istituzione di tutela molto importante per i minori spesso però assai complessa nella sua realizzazione concreta per i traumi e i vissuti dolorosi che i bambini portano con sé. Pietro, infatti, entra nel ménage di Sara e Paolo incapace di manifestare pacatamente le sue emozioni, alternando momenti di indecifrabile inespressività a reazioni parossistiche e violente. L’arrivo del bambino in famiglia, dunque, porta a galla un groviglio di contraddizioni, a partire dalla possibilità di soddisfare davvero il senso materno di Sara: giorno dopo giorno il piccolo richiede una quantità di energie e una vigilanza costante che Sara sente di non poter sostenere; tuttavia il senso di colpa provocato dal fallimento della relazione la schiaccia e mette alla prova la compattezza della coppia. L’affido diviene sempre più “cura”, ossia affanno e tensione e riscatta ben poco il desiderio di maternità di Sara:

Si affrettò a dire che erano molto in difficoltà con il bambino e che gli episodi di violenza non diminuivano, anzi. Rompeva giocattoli, molestava gli animali, si accaniva sulle piante. Non sapevano davvero come fare. L’assistente sociale disse che la situazione si era già presentata altre volte e che era un caso un po’ estremo, ma non così infrequente. […]
Dall’altra parte del telefono Sara era sempre più incredula: Mi sta dicendo di riportarlo in istituto? (Ivi, p. 187)

L’attivismo climatico e il destino del pianeta

L’altro filone del romanzo, si è detto, è quello che riguarda il destino del pianeta Terra, di cui si fa carico con dedizione assoluta Nina.

Cresciuta con la piena consapevolezza dei danni che le azioni degli uomini arrecano all’ambiente, convinta della preponderanza delle logiche di potere e di dominio che stanno condannando la vivibilità del mondo, Nina trascorre il suo periodo di mobilità in Germania più all’insegna dell’attivismo politico che dello studio. Certo, non trascura quest’ultimo, ma trasferisce buona parte delle sue energie nei momenti di confronto e di azione che condivide con un gruppo di coetanei, tra riunioni in un’aula messa a disposizione all’università e manifestazioni nei boschi minacciati:

Era domenica, intorno all’ora di pranzo, Nina era appena rientrata da un sit davanti al municipio di Amburgo. Avevano dato sostegno a distanza agli attivisti che si erano calati nella miniera a cielo aperto di Garzweiler, nel cuore delle Ruhr. […] l’era del carbone non era ancora finita, nonostante fosse stato dichiarato il contrario ai livelli governativi più alti con l’adesione a protocolli internazionali. In Germania c’era ancora un mucchio di lignite da estrarre e bruciare. Un po’ come l’oro, un appetito difficile da estinguere. […] Tutto quel carbone estratto e l’atmosfera che si sarebbe sempre più infiammata, milioni di tonnellate di CO2 che bruciavano l’aria. (pp. 83-84)

Nina sembra, in qualche modo, trasfondere nelle sue azioni quotidiane volte all’accudimento del pianeta il medesimo impegno che la madre ha messo nel crescere lei e nel dedicarsi, ora, a Pietro. I boschi e gli alberi sono oggetto di un attaccamento viscerale e totalizzante: dai gusci di uovo che sminuzza per concimare le piantine domestiche alle azioni collettive intraprese con gli altri attivisti, la ragazza sembra non avere alcun dubbio sulla bontà delle sue decisioni. Tuttavia, l’incontro con Gregor, nipote di un industriale impegnato nell’attività estrattiva, costituirà una pietra d’inciampo importante, volta a incuneare una crepa nella sua visione assoluta del mondo:

Da quando sono piccolo vedo questa storia ripetersi: ragioni da una parte e ragioni dall’altra. Al liceo ho partecipato a un corteo di protesta contro le miniere, quando mio nonno è venuto a saperlo mi ha detto che non mi rendevo conto di quanta gente avrebbe perso il posto di lavoro se avessero chiuso. […] Nina rimase muta, Gregor riusciva spesso a stupirla (Ivi, pp. 86-87)

I limiti dell’azione

I due filoni del romanzo, sempre compresenti, si intersecano nella parte conclusiva del romanzo: Sara, Paolo e Pietro partono per Amburgo dove Nina li attende per una breve vacanza. Sarà l’occasione per tutti per fare, più o meno razionalmente, i conti con le proprie scelte e per misurare la temperatura delle reciproche relazioni.

La giovane, al loro arrivo, vedrà nei genitori i volti affilati dalla tensione e dalla stanchezza che l’affido di Pietro comporta; eppure, in un dialogo con il padre al quale chiede come stia andando quell’esperienza, lui risponde con un mezzo sorriso: “Ci si affeziona anche ai disastri” (p.207). Allo stesso modo Sara, proprio nel momento in cui riconosce l’impotenza del suo agire dialogando con Nina, sembra accettarne la natura imperfetta:

Tu e papà state già facendo molto per lui, disse Nina.
Molto potrebbe non essere abbastanza. Tu dici sempre che se si abolisse la combustione di carbone fossile si farebbe già molto, ma non abbastanza per impedire l’innalzamento della temperatura. Ho l’impressione che con Pietro sia la stessa cosa: facciamo molto ma non basta a salvarlo. (p.218)

È forse racchiuso in questo dialogo, che accosta il destino di Pietro – allegoria di un’ingovernabile natura leopardiana – a quello del pianeta, il nucleo vitale del romanzo: madre e figlia, ciascuna con il proprio tragitto di vita, accettano tutta la parzialità e l’insufficienza che l’affido, la cura, la sollecitudine, la preoccupazione per qualcuno e qualcosa – un bambino, il pianeta – comportano, tanto più se accadono eventi imprevedibili e fuori controllo come quelli che punteggiano la chiusa del romanzo. Il ritorno è lontano, fin dal titolo mutuato da “Canzone per bambina” (da Foglio di via di Franco Fortini ripresa nella citazione in esergo) sembra insomma suggerire la paziente, seppur faticosa, attesa che ogni azione di cura richiede.

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