Il graphic novel: bricoleur di memorie
Parlare di graphic novel e memoria collettiva implica una serie di questioni legate sia alle specificità del fumetto e al suo rapporto con i generi sia ai meccanismi traduttivi e di costruzione delle identità che in esso si sviluppano.
La particolarità di questa tipologia di testi è da rintracciare nel modo in cui sono in grado di declinare i temi tradizionali – dalla Shoah all’immaginario coloniale e postcoloniale – attraverso strategie discorsive e narrative diversificate: dalla costruzione di una soggettività evidente alla sollecitazione di stati emotivi nel lettore e all’innesto di materiale fotografico, fonti documentarie, prefazioni, ringraziamenti, postfazioni, cronistorie e riferimenti bibliografici. Nel far questo, il fumetto definisce i propri limiti e traduce le caratteristiche proprie ad altri generi e forme artistiche: dalla fotografia al cinema, dal romanzo al giornalismo, dalla pittura alla poesia ecc., riprendendo quel concetto di girotondo delle muse che ben spiega il dialogo tra un linguaggio estetico e l’altro (Lotman 1998).
In alcuni esempi, la distinzione tra racconto di fiction, racconto storico, cronaca e diario di viaggio tende a dissolversi, secondo un processo che trova nel graphic novel uno dei terreni più fertili. Si tratta di riflettere sul modo in cui il fumetto è in grado di contribuire alla riorganizzazione della memoria condivisa e alla riduzione della complessità della materia storica. Nel narrare eventi scioccanti della storia collettiva, il graphic novel diventa luogo di rivalorizzazione del ricordo, attraverso il racconto di finzione, che dà nuova luce al già noto. Inoltre, laddove il lettore sia sprovvisto di conoscenze pregresse, il graphic novel è in grado di attivare meccanismi di costruzione della post-memoria. Lo fa mediante l’uso di strategie di scrittura che creano illusioni di realtà, tanto da indurre chi li legge a credere che i fatti di cui narra siano realmente accaduti.
All’interno di questo percorso, il racconto storico, la narrazione di testimonianza e pseudo-autobiografica fanno da sostegno alle storie di rifugiati, sopravvissuti vittime di tortura ed emarginati raccontate a partire da un’istanza individuale. Nel 1980, l’opera di Art Spiegelman – di cui la critica e la ricerca accademica si sono ampiamente occupate – fa la sua comparsa tra le pagine della rivista di arte grafica RAW, segnando un momento fondamentale della storia del fumetto mondiale. Maus si articola intorno a due linee narrative: da una parte ritroviamo la Storia del genocidio, ricostruita attraverso la messa in forma della testimonianza di un sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti, dall’altra assistiamo a momenti di una quotidianità che potremmo definire prossima al lettore, il complesso rapporto tra un padre sopravvissuto e un figlio, Art, simulacro dell’autore, desideroso di trasmettere la storia attraverso il fumetto. L’opera, raccolta in un unico volume, è infatti suddivisa in due parti: la prima parte, Mio padre sanguina storia, è composta da sei capitoli e mostra le condizioni di vita degli ebrei polacchi negli anni precedenti lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale; la seconda parte, E qui sono cominciati i miei guai, è divisa in cinque capitoli e delinea una spaccato della vita dei deportati durante il Regime Nazista. La narrazione del prima e del durante la guerra è interrotta dal racconto della vita quotidiana a Rego Park (N.Y.), che il lettore potrebbe riconoscere come familiare.
Tutto si svolge all’interno di un fumetto allegorico, che si serve della metafora degli animali antropomorfi per sviluppare un discorso secondo sul conflitto tra esseri umani di diversa nazionalità accostato a quello tra specie animali distinte e in “lotta”: gli ebrei hanno il muso di topi – elemento che riprende quell’immagine di topi di cui la Germania antisemita si avvaleva per qualificare gli ebrei come popolo sudicio da relegare nelle fogne – i nazisti sono rappresentati come gatti, i polacchi come maiali, gli americani come cani e i francesi come rane, salvo poi nei casi in cui il tema centrale sembra essere quello dell’inganno, grazie ad alcune figure come ad esempio la maschera del muso animale indossata dal personaggio.
Non sono solo questi i momenti di rottura della sintassi narrativa, poiché a un livello in cui ritroviamo la figura del narratore esterno al racconto delle vita in Polonia, che coincide con l’immagine dell’autore e che tenta di impressionare il lettore appellandosi al pathos; vi si rivolge coinvolgendolo in una sorta di svelamento del pensiero intimo, tormentato da un senso di inadeguatezza nei confronti della memoria genitoriale e dal lavoro di traduzione e trasmissione di una testimonianza al limite. Inoltre, nel volume integrale, tale rottura passa dalle pagine di Prisoner on the Hell Planet, un micro-racconto autonomo, poiché presenta delle caratteristiche che lo distinguono dal resto del volume. L’inizio, ad esempio, è segnalato dai bordi di quella che altro non è che l’immagine di un libro – ne riconosciamo i contorni, ma anche le mani di colui che legge – mentre la fine è indicata dalla firma autografa. La particolarità di questa tavole è data anche dalle figure che oltrepassano i bordi delle vignette. Inoltre i personaggi non conservano le sembianze di animali antropomorfi, elemento costante nel resto del volume, ma sono caratterizzati da un uso più marcato del chiaro-scuro e da un maggiore investimento nelle linee del volto, che ricorda il tratto espressionista, manifestando uno stato emotivo privato, quello della sofferenza del lutto per la perdita materna. L’opposizione tra il bianco e il nero, le linee irregolari e frastagliate rimarcano la drammaticità della storia e il suo essere autentica in quanto espressione del vissuto del personaggio, come evidenzia l’uso della foto della madre di Art, e l’immagine della mani di colui che la osserva.
L’autenticazione del reale
La complessità di Maus e la sua eccezionalità risiedono anche nell’innesto di elementi dissimili che irrompono nel testo, pur non determinando una rottura della continuità narrativa. Sono, ad esempio, le rappresentazioni topografiche della Polonia, la mappa degli edifici dei campi di concentramento e le immagine fotografiche. L’uso di deittici spazio-temporali è infatti accompagnato dalla presenza di indicazioni riguardanti eventi socio-politici precisi, che attraverso espedienti figurativi (ad esempio la svastica e il numero delle SS tatuato sul braccio del padre Vladek) costruiscono un’isotopia della verità e testimoniano una ricerca di autenticità dei fatti narrati. Inoltre il passaggio tra i racconti di primo e secondo livello, quello ambientato a Rego Park negli anni Settanta/Ottanta e quello ambientato in Polonia durante gli anni dell’ascesa del Regime Nazista, presentifica il passato dell’esperienza della Shoah, anche qualora questa si intende distante dall’universo del lettore contemporaneo. Tale avvicinamento si realizza anche nelle vignette in cui il simulacro dell’autore si rivolge al lettore, confidando le proprie incertezze, e nei cambi repentini dei modi del discorso: si passa dal racconto doloroso dell’esperienza traumatica delle deportazioni al un discorso ironico, ad esempio nelle vignette in cui Vladek incarna in modo beffardo il tipo comune dell’ebreo avaro.
Ecco che la distinzione tra il racconto della Storia e il racconto di finzione non può dirsi netta proprio a partire dalla trasformazione del patto che si stabilisce tra testo e lettore e che riguarda le attese di quest’ultimo. Se è vero, infatti, che dinanzi al racconto storico il lettore si pone con fare indagatore, poiché si aspetta che i fatti narrati siano veri, nel caso del racconto di finzione, e nello specifico del graphic novel, abbandona la posizione vigile, carente di coinvolgimento emotivo, per entrare in un universo immaginario in cui la veridicità dei fatti dipende dalla sua volontà di accoglierli come realmente accaduti, non guardando alla finzione come a un inganno.
Dal bricoleur verso l’esperienza fusionale
L’eccezionalità di questi graphic novel non riguarda unicamente la capacità di fornire indicazioni precise al lettore pur servendosi di un racconto di finzione, ma ha a che fare con il modo in cui riprendono delle questioni già note, o delle storie di cronaca, oltrepassando il limite dei generi nella loro stessa fusione. La pseudo-autobiografia si fa allora parte di un diario intimo, che è al tempo stesso reportage giornalistico. Oppure prende avvio, come in On les Aura ! Carnet de Guerre d’un Poilu di Barroux, dal racconto del ritrovamento del diario, per riportare, attraverso il pensiero intimo del soldato sconosciuto, più che gli eventi, gli stati emotivi che lo attraversano nel viaggio verso la Grande Guerra. Oppure, come il reportage a fumetti o il graphic journalism – da Palestine di Joe Sacco a Le Photographe di Emmanuel Guibert, Didier Lefevre e Frederic Lemercier – narrano fatti di cronaca attraverso lo sguardo del testimone oculare che si reca nei luoghi del conflitto. Anche qui, pur costituendosi come incontro tra i generi, il fumetto mette alla prova le proprie potenzialità espressive distinguendosi da qualsiasi altro discorso, giornalistico o meno, sui fatti di cui riporta.
Tale accuratezza, in termini di riferimenti storici precisi, indicazioni spazio-temporali, innesti e sollecitazioni passionali, non è solo segnale di correttezza storica e di cronaca, ma tentativo di far rivivere al lettore epoca e luoghi messi in scena. Il fumetto lo fa attraverso il ricorso agli stati emotivi dei personaggi, e il cui racconto, non arriva come fredda cronaca, come comunicazione di un sapere, ma come possibilità di condivisione di un sentire; espediente che fa sì che il lettore si identifichi e che senta quell’evento come esistente, in atto e a sé presente.
Non siamo poi così lontani da Les passageres du vent di François Bourgeon, che realizzava i suoi fumetti con lo spirito di uno storico ed enunciava dinanzi al lettore l’intenzione di lavorare sui fondi d’archivio. Come un bricoleur (Lévi-Strauss 1966), il graphic novel adopera il già noto, lavora su ciò di cui dispone, ma lo rielabora e vi aggiunge elementi di immaginazione.
Nel caso specifico della rappresentazione della Shoah, così come di altri traumi collettivi esposti alla consuetudine delle commemorazioni collettive, il rischio maggiore risiede nella natura stessa di un fatto tragico che la ripetizione destina all’oblio, ancor più quando la memoria fa posto alla post-memoria. In questa direzione, un esempio interessante è sicuramente Anne Frank. The Anne Frank House Autorized Graphic Biography, prima biografia a fumetti ufficiale su Anne e la sua famiglia.
Le tavole frutto dell’adattamento a fumetti del Diario di Anne sono precedute da una ricostruzione fatta attraverso i documenti d’archivio, della sua vita prima che fosse confinata al nascondiglio. Anne Frank. The Anne Frank House Autorized Graphic Biography raccoglie e traduce, con i propri strumenti, un testo di partenza, il documento, portandolo al di là dei confini dell’archivio, e dunque rigenerandolo e rivalorizzandolo per mezzo dell’immaginazione. Anne Frank, infatti, non solo opera una traduzione tra archivio, Diario, fumetto e museo virtuale, ma al tempo stesso, come una metafiction (Waugh1984), si serve dell’immaginazione per completare una storia che giunge a noi incomplera. La parte finale dichiara il suo essere fittizio nelle tavole che mettono in scena il momento in cui Anne e la sorella sono prigioniere nei campi nazisti in cui perderanno la vita, per poi riportarci nell’illusione del presente della vita di Otto, il padre di Anne, unico sopravvissuto della famiglia Frank. La storia non si esaurisce con la chiusura del Diario, ma “va avanti” con il racconto della liberazione dei sopravvissuti, del ritrovamento delle memorie di Anne, del progetto di costruzione di una memoria condivisa, che passa per la pubblicazione del quaderno e la fondazione del Museo.
Un testo come Anne Frank. The Anne Frank House Autorized Graphic Biography rappresenta un caso interessante in una riflessione sulla post-memoria, proprio perché traduce il già visto troppo volte (della Shoah, della storia di Anne, del Diario), ma lo fa senza affondare nell’assuefazione delle commemorazioni collettive e superando la crisi delle testimonianze al limite, che si intendono straordinarie perché caratterizzate da un’inumanità che difficilmente incontra l’esperienza ordinaria di chi le riceve, come per Primo Levi ne I sommersi e i salvati.
Una risposta ulteriore è forse rintracciabile nella possibilità di coinvolgere il lettore nello sviluppo della storia, in un’esperienza dell’inatteso.
Il ritorno del tattile, in un momento di concentrazione sul visivo, sposta l’attenzione sulla soggettività e sulla composizione. Nascono nuove modalità di fruizione del fumetto realizzato appositamente per il web e per i dispositivi mobile, che portano a un rafforzamento del processo di fusione tra i generi discorsivi e attestano ancora una volta quella capacità di riorganizzazione della memoria collettiva. L’esperienza si fa immersiva e fusionale. Con il web-documentario, ad esempio, il fumetto sviluppa quella capacità già sperimentata di coinvolgimento del lettore, ma lo fa attraverso espedienti plastici e figurativi e sperimentando nuove soglie relazionali. Esemplare in tal senso è Anne Frank au Pays du Manga, un fumetto interattivo che ricostruisce il passato nel Giappone contemporaneo.
Lo fa attraverso l’impiego del visivo, del sonoro, del verbale, della percezione tattile, e mediante la graduale comparsa e trasformazione degli oggetti, la loro diversa resa plastica e figurativa, che produce un effetto di realtà e di partecipazione del lettore.
La storia di Anne è ricostruita in modo insolito, restituendogli il senso dell’autentico e prendendo le distanze da quel tergiversare proprio del rituale collettivo. Ciò avverrebbe mediante un’acquisizione della memoria condivisa, che passa attraverso un’esperienza individuale e un meccanismo di compartecipazione sollecitato da una dimensione interattiva dell’immaginazione, che ci restituisce un’immagine complessa e inedita della storia di Anne.
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