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diretto da Romano Luperini

Falso movimento di una Cina in trasformazione. Su “Generazione romantica” di Jia Zhange

Spazio e tempo

Datong, città mineraria nella provincia dello Shanxi, nel nord-est della Cina, anno 2001. Una città sospesa tra passato e futuro, tra la polvere del carbone e i primi centri commerciali. Si vive in quartieri grigi e fuligginosi, in vagoni ferroviari attrezzati come roulotte, si frequentano le case del popolo o il Palazzo operaio della cultura, dove giganteggia ancora un ritratto del presidente Mao e le donne che hanno perso il lavoro cantano l’opera tradizionale Shanxsi Banxi “La vita corre avanti, L’amore corre in profondità. Tutto passerà. Baratto la mia giovinezza per un futuro migliore.”

I protagonisti sono Qiao Qiao, giovane modella e ballerina e il suo compagno Guo Bin, senza un lavoro, attratto dai facili guadagni. Sullo sfondo un ambiente povero fatto di cantieri, palazzi in demolizione, squallide periferie, disordine urbanistico e tensione esistenziale. È il periodo della transizione politica da Jiang Zemin a Xi Jinping; dell’ingresso nel WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) e l’inizio del “grande balzo moderno”; delle Olimpiadi del 2008 per le quali creare un nuovo volto e della competizione con gli USA. La Cina è sul punto di un decollo tecnologico e tutto sembra in movimento. Anche Bin decide di partire e fare fortuna, Qiao Qiao dovrà raggiungerlo poi, ma lui non le darà più sue notizie.

Tre fasi di una storia individuale …

Così va una storia d’amore che si dipana in tre atti e attraversa un arco temporale di vent’anni. Tre fasi: la situazione iniziale, il viaggio, il ritorno. La situazione iniziale è quella descritta. Il viaggio è quello di Qiao Qiao, un’odissea sentimentale e geografica che la porterà a muoversi attraverso diverse zone della Cina, inseguendo le tracce di Bin, con il quale, dopo un fugace incontro, porrà fine alla relazione. Tra le tappe più significative, la diga delle Tre Gole sul fiume Yangtze, monumento titanico al progresso e simbolo di una modernità che inghiotte paesaggi, memorie e affetti. Qui Bin tenta la fortuna con un gruppo di palazzinari improvvisati, affaristi corrotti che cercano di farsi largo senza successo con le bustarelle.

Il ritorno di Qiao Qiao a Datong, molti anni dopo, è il ritorno in una città trasformata. I vecchi edifici sono stati rasi al suolo e al loro posto svettano grattacieli, insegne luminose, robot il cui vantaggio è che “non conoscono la tristezza” e una popolazione sempre più connessa ma sempre più sola. Lo scenario urbano è ipermoderno, ma anche spersonalizzante, dominato da logiche consumistiche. Nel frattempo è arrivata anche la pandemia a rendere tutto ancora più distopico e rarefatto.

… e collettiva, quale Cina?

Eppure, in questo lungo arco di trasformazioni, resta qualcosa di immutabile. C’è un che di gattopardesco in questa narrazione. La società cinese rimane sostanzialmente massificata, intruppata, anaffettiva, patriarcale. Il romanticismo evocato dal titolo è di maniera, estetico, con i cerimoniali di sempre e una colonna sonora fatta di canzoni popolari che si ripetono da vent’anni, mentre TikTok e altri social amplificano la vacuità dei sentimenti, riducendo l’intimità a grottesco spettacolo di bassa qualità. Un mondo ancora alla ricerca dei guadagni facili che ora arrivano dai social, si fanno creando il fenomeno online, sfruttando l’”effetto celebrità” e i soldi arrivano offline. Le relazioni uomo-donna rimangono sbilanciate. Le donne sono per lo più marginali, isolate, fanno gruppo a parte, ridotte a ruoli di supporto o sfruttamento: massaggiatrici, cantanti di karaoke. Racconta una di loro alle occupanti di un dormitorio: “Era estate, faceva molto caldo, gli facevo aria con il ventaglio. Lasciavo che si addormentasse prima di me”.  La scena forse più toccante del film – e certamente la più simbolica – è l’ultimo incontro tra Qiao Qiao e Bin, ormai zoppo, malato, fallito. Lei, visibilmente disillusa, si china in silenzio ad allacciargli una scarpa slacciata. Un gesto che mostra la malinconia e la dedizione non corrisposta di una vita. Ora Qiao Qiao di giorno lavora in un supermercato, di sera fa uscire le luci catarifrangenti dalla giacca e dalle scarpe e si unisce ad un gruppo di maratoneti che corre disciplinatamente dopo il lavoro dai turni sempre massacranti. Anche il corpo – prima esibito nei centri commerciali – ora si muove come l’ingranaggio di una macchina collettiva, spersonalizzata. Jia Zhangk, il regista, ci dice, in fondo, che la trasformazione tecnologica, come già la Rivoluzione culturale, non basta a cambiare i rapporti di forza e di potere.

Uno sguardo autentico, la sperimentazione visiva dal realismo alla digitalizzazione

Sono le riprese, tuttavia, a conferire profondità e complessità al racconto. Jia Zhangke, da esperto documentarista, si affida molto al linguaggio visivo. La prima parte del film è girata in 16 mm, con un taglio realistico, attento a particolari che catturano l’attenzione con primi piani e dettagli su oggetti, volti, aspetti del paesaggio. Il materiale raccolto in tempi diversi è poi digitalizzato e montato in formato 1:1. Una scelta che restituisce l’autenticità del tempo e dello spazio. Nella seconda parte, invece, si passa al digitale, con l’uso di effetti visivi che includono anche l’intelligenza artificiale nella post-produzione.

“Per raccontare la storia di Generazione romantica ho scelto una narrazione piuttosto convenzionale e lineare”, spiega l’autore nelle note di regia. “Per elaborare e assemblare tutte le immagini, però, ho dovuto affrontare un processo che mi è sembrato decisamente più simile alla creazione di un’opera d’arte contemporanea che alla realizzazione di un film. Ho sperimentato molto. Ho giocato molto. Tanto con le immagini, appunto, quanto con il suono e la musica”.

La struttura, quasi una cronologia diaristica scandita dalle didascalie, tuttavia non elimina del tutto un senso di frammentarietà, alimentato anche dall’esiguità dei dialoghi (in mandarino con sottotitoli), tanto che la storia in sé è suggerita più che narrata. Generazione romantica è un film stratificato, che si muove tra racconto sentimentale, cronaca sociale, saggio visivo e riflessione esistenziale. La sua forza sta nella capacità di catturare non solo la traiettoria individuale dei suoi protagonisti, ma anche quella collettiva di un paese in corsa verso la modernità. È un’opera malinconica e disillusa, che osserva con occhi lucidi un mondo in trasformazione, ma che forse, dentro, non cambia mai davvero.

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