Educazione civica. Riflessioni ottimistiche su una realtà difficile
Un quadro complicato
L’introduzione dell’insegnamento dell’Educazione Civica, coinciso casualmente con l’esperienza della didattica a distanza, costituisce per chi insegna una nuova prova di dedizione e flessibilità.
Mette infatti in gioco alcuni aspetti delicati della professione docente, sia sul piano organizzativo che nell’ambito dei valori e delle pratiche culturali e didattiche che abbiamo maturato nel corso degli anni.
Ci sembra di poter raccogliere questi aspetti intorno a tre parole-chiave del dibattito pubblico sulla scuola, argomento di appassionate discussioni e spesso motivo di divisione e conflitto: trasversalità, competenza, digitale.
La dimensione trasversale del curricolo di Educazione Civica è di per sé evidente: come per l’insegnamento della lingua, infatti, anche quest’aspetto della formazione spetta (ovviamente in modalità e misura diversa) ad ogni singolo componente del consiglio di classe, indipendentemente dal fatto che entri a fare parte di un percorso stabilito. La normativa sull’educazione civica, inoltre, esplicita l’idea di compiti e finalità condivise parlando di “contitolarità” dell’insegnamento. Nella concretezza delle scuole e all’interno dei gruppi di lavoro, quest’idea costituisce spesso motivo di discussione: da una parte, infatti, è debole la capacità e la volontà di programmare insieme, realizzando percorsi autenticamente interdisciplinari, non semplici giustapposizioni di “pezzi” a sé stanti; dall’altra, la struttura del curricolo, in particolare nei licei classico e scientifico, è chiaramente disciplinaristica, e la difesa della singola materia è spesso giustificata come forma di resistenza di fronte all’invadenza delle numerose proposte integrative, curricolari e extracurricolari, che affollano le scuole.
Il termine competenza, sul quale si è spesso discusso anche in questa sede, risulta un ulteriore elemento di vivace confronto, anche quando se ne faccia un uso libero da preconcetti e fraintendimenti. Assumendo il costrutto teorico dei più recenti documenti dell’Unione Europea, possiamo intendere la “competenza” come una combinazione integrata di conoscenze, abilità, atteggiamenti: è chiaro, da questo punto di vista, che l’Educazione Civica si propone la legittima ambizione di fornire una competenza civile, proiettata con forza nella sfera esistenziale, nel vissuto di ciascuno, compiendo tutto il percorso che dall’acquisizione di informazioni e contenuti già stabiliti e consolidati, attraverso lo sviluppo di abilità logiche di comprensione e rielaborazione critica, conduce all’utilizzo delle une e delle altre per affrontare scelte di vita e assumere posizioni come cittadino.
L’accordo semantico e didattico sul valore di un curricolo educativo del cittadino diventa se possibile ancora più complesso quando al termine “competenza” si associa “digitale”: entriamo infatti, in questo modo, in un ambito profondamente divisivo, segnato da diffidenza e confusione, soprattutto rispetto al valore innovativo dell’utilizzo delle nuove tecnologie (e dei temi ad esse connessi), e al significato delle resistenze che ad esse si oppongono. Tuttavia, proprio il fatto che l’introduzione dell’Educazione Civica sia venuta a coincidere con la didattica d’emergenza costituisce un’ottima opportunità per riflettere serenamente sui giusti termini entro i quali collocare quest’aspetto dell’insegnamento.
Esperienze che uniscono
L’esperienza che qui si espone è un tentativo di dare forma ad un’attività interdisciplinare di Educazione Civica, che coinvolge discipline tradizionalmente distanti (Italiano e Matematica). L’oggetto dell’attività è lo studio di alcuni aspetti della comunicazione online, attraverso la comprensione di testi e dati e la produzione di elaborati grafici e verbali. La finalità del percorso è l’acquisizione/ consolidamento di competenze (nel senso precedentemente definito) di cittadinanza digitale.
La classe coinvolta è una terza di un liceo scientifico, con un pregresso di collaborazione tra docenti già negli anni precedenti, durante i quali si è cercato di sviluppare in direzione trasversale e interdisciplinare le competenze specifiche di ciascuna disciplina coinvolta (di volta in volta Matematica, Latino, Italiano) partendo da tre abilità/ processi logici che la docente e il docente coinvolti considerano in buona misura sovrapponibili:
- argomentare, nelle due accezioni specifiche delle discipline: in questo senso, le domande poste alla classe durante il biennio erano state: “qual è il senso del termine argomentazione nelle differenti materie? quali specificità e quali affinità esistono fra la pratica argomentativa in Latino, Matematica, Italiano?”
- saper socializzare i risultati della ricerca e le ipotesi elaborate (in genere, in attività svolte a gruppi): si era chiesto al gruppo, in quest’ambito, “come spiego il percorso logico che porta ad elaborare, per esempio, un’ipotesi di soluzione, a partire dai dati e dalle informazioni che ho a disposizione? sono in grado di giustificare le scelte compiute, di correggere i miei errori e di rispondere alle possibili obiezioni?”
- elaborare strategie di pensiero complesso e di lungo periodo: la domanda chiave in questa prospettiva era stata “sono in possesso di solidi processi logici di analisi teorica/ previsione/ autocorrezione, in grado di consentirmi di affrontare questioni e scelte (dal problema matematico alle scelte legate ad una traduzione) con buone probabilità di successo?”
Già durante il biennio i docenti si erano posti l’obiettivo di utilizzare e fare utilizzare le tecnologie per l’apprendimento in modo critico e consapevole, ripromettendosi in particolare:
- di incrementare la capacità di comunicare efficacemente in forma scritta (sviluppata attraverso le attività svolte a gruppi e la stesura/ correzione di documenti condivisi) e orale (imparare a incrociare verbale e visivo in modo da ottenere effetti di potenziamento del messaggio)
- di sviluppare la consapevolezza critica dell’uso del digitale, in particolare rispetto all’individuazione e alla selezione delle fonti
- di esplorare le potenzialità didattiche delle tecnologie per costruire conoscenza in aula, documentare il lavoro svolto e metterne i risultati a disposizione della comunità (consiglio di classe, dipartimento, collegio dei docenti), anche attraverso app o software dedicati.
Costruire le basi per la cittadinanza digitale
Le indicazioni fornite dal MIUR sulla cittadinanza digitale specificano che “per Cittadinanza digitale deve intendersi la capacità di un individuo di avvalersi consapevolmente e responsabilmente dei mezzi di comunicazione virtuali” ed esplicitano la doppia valenza dello sviluppo di questa capacità in aula: da una parte consentire l’acquisizione di informazioni e competenze utili per un cittadino accorto, dall’altra mettere i giovani al corrente dei rischi che l’ambiente digitale comporta.
In accordo con quanto indicato dalla normativa il percorso per la terza è stato costruito a partire da una proposta operativa: “Cercate on line notizie, dati, informazioni sui vostri docenti di Matematica e Italiano. Quali informazioni avete trovato? Da quale fonte le avete acquisite?”.
Le risposte sono state differenti, indice di approcci diversi alla ricerca, non solo online. In particolare, è risultata evidente la distanza fra chi ha effettuato una ricerca sommaria e superficiale e chi ha individuato anche elementi non immediati, esplorando la rete in modo più approfondito. Questa discrepanza è stata in parte determinata dal pudore che alcune ragazze e ragazzi hanno mostrato, di fronte a un’indagine sui docenti che spingeva a ridefinire il confine fra “pubblico” e “privato”, formale e informale: un conto infatti è scoprire che la docente è granata e il docente nerazzurro, un altro è scoprire indizi di un matrimonio fallito in un post su Facebook. Per altri versi il differente lavoro di scavo può essere stato determinato anche dal contesto della ricerca (un obbligo scolastico costituisce per alcuni una spinta a non essere autentici, soprattutto quando si parla del proprio vissuto). In generale, però, è lecito pensare che vi si esprima una reale differenza di approccio e di competenza, anche all’interno dei giovani, spesso confusi dietro etichette banali (nativi digitali).
La ricerca è stato lo spunto per aprire la discussione, anche al di fuori dei ruoli istituzionali: quanto siamo connessi con il web? Quali informazioni rendiamo pubbliche, volenti o no? Siamo sempre consapevoli di fornire nostri dati a terzi? Quale potrebbe essere il valore economico e sociale delle informazioni che si ricavano su di noi da quel che scriviamo?
Attraverso l’analisi dell’utilizzo di informazioni e la riflessione sul senso della differenza fra “pubblico” e “privato” nella comunicazione online, si è preso confidenza con i Big Data, nelle loro implicazioni matematiche e sociologiche. In questa fase, è risultato importante l’apporto di un contributo saggistico molto significativo: le ricerche della studiosa statunitense Shoshana Zuboff[i]. Del suo pensiero sono state comprese e discusse alcune idee cruciali, proposte alla classe sia per il tramite dei canali social sia, in particolare, attraverso la lettura integrale del primo capitolo del libro “Il capitalismo della sorveglianza” (“Casa o esilio nel futuro digitale?”).
Dalla banale constatazione che l’impatto dei Big Data nella vita quotidiana è costante e significativo, nasce per insegnanti ed educatori l’esigenza impellente di aiutare le ragazze e i ragazzi a abitare in modo consapevole e critico il mondo digitale, al cui interno trascorrono una parte spesso rilevante del loro tempo, vivendo esperienze formative molto significative. In particolare, a questo punto del lavoro è risultato importante richiamare l’attenzione sul concetto di “gratuità”, sbandierato sovente come tratto democratico del web, in relazione al vastissimo mondo delle App. Ci si è quindi chiesti se questa “gratuità” sia reale o apparente.
Il percorso ha previsto anche una ricerca statistica sull’uso dei Social Media: la statistica è stata utilizzata come strumento per capire e per confrontare: se ne è però sottolineata la potenzialità come mezzo di lettura e interpretazione del reale, e soprattutto dei comportamenti individuali e collettivi. In questa fase del lavoro, la consegna è stata la seguente: “Scegli un social con il quale hai familiarità. Immagina di dover condurre un’indagine psicometrica (il concetto di psicometria era stato a lungo dibattuto in sede teorica) su un campione di utenti del social che hai scelto: in altre parole, devi ricavare dai loro comportamenti sul social indicazioni sulle loro idee, preferenze, inclinazioni, atteggiamenti mentali. Quali criteri di rilevazione sceglieresti? (Naturalmente, devono essere criteri che ti permettano di ricavare dati quantitativi/statistici). Perché li sceglieresti? Quali informazioni pensi che potresti dedurne?”
Anche in questo caso il prodotto è stato ricco e articolato, con differenze sostanziali all’interno del gruppo che si è destreggiato tra dati, grafici, ipotesi interpretative. Qualche ragazzo ha provato a realizzare una statistica in autonomia, analizzando l’uso dei social di una singola persona ed ha provato a cercare relazioni tra post pubblicati e numero di like, catalogando i post in tre categorie a seconda del loro contenuto: condivisione di messaggi altrui, riflessioni teoriche su temi svariati, impressioni di vita quotidiana. Si riporta qui come esempio il grafico relativo all’attività su Facebook dell’insegnante di Italiano nell’arco di alcune settimane, con l’incrocio del diverso gradimento degli utenti/ “amici” (asse delle ordinate) nell’arco del tempo (asse delle ascisse), a seconda della tipologia di contenuti pubblicato (indicato dal diverso colore).
Anche grazie a espressioni così originali, il lavoro è stato mosso da un continuo confronto, in cui la funzione della scrittura è stata soprattutto quella di trovare una formulazione chiara e incisiva (la richiesta di sintesi nella produzione scritta ha caratterizzato l’intero percorso di attività), e durante il quale sono state costantemente intrecciate logiche e linguaggi. Dal confronto tra pari e con i docenti si sono manifestate, a livelli e con modalità differenti, competenze digitali non banali: gli studenti sono stati liberi di cercare materiale, di giudicarne la validità, ma sono cresciuti soprattutto nella ricerca di criteri per validare il materiale e le ipotesi formulate da altri (singoli o gruppi).
Prendere decisioni, argomentare le proprie scelte per condividerne, trovare criteri condivisi di giudizio: requisiti fondamentali per una cittadinanza attiva e consapevole nel mondo digitale.
Un senso profondo per la tecnologia nella scuola
L’attività è stata realizzata utilizzando circa 20 ore complessive (tratte dal monte ore complessivo dei rispettivi insegnamenti) e si è fondata su tre convincimenti radicati da due decenni di esperienza d’aula.
Il primo è che la sola tecnologia non risolve i problemi, men che meno quelli legati alla didattica: non è certo sufficiente la tecnologia, infatti, per rendere “moderna” o accattivante una lezione, sebbene una robusta retorica tenda a cercare di convincere chi insegna (e l’opinione pubblica) del contrario.
Il secondo è che un uso accorto della stessa costituisce una potente risorsa da utilizzare in classe. I software dedicati e le app sono veicolo di conoscenza e supportano in misura significativa il percorso di apprendimento. Naturalmente, a partire dalla consapevolezza da parte del docente che l’uso di qualsiasi strumento (nuovo o antico, tecnologico o no) come mediatore didattico nei processi di insegnamento/ apprendimento non è neutro: gli strumenti devono cioè essere criticamente studiati e consapevolmente utilizzati per favorire l’evoluzione dai sensi personali degli studenti (preconcezioni, immagini mentali, significati posseduti dagli studenti prima dell’attività didattica, ipotesi) verso i significati istituzionali e gli obiettivi di apprendimento individuati dall’insegnante.
Il terzo è che sia necessario superare la contrapposizione fortemente ideologica che si è consolidata negli ultimi anni, fra la considerazione della tecnologia come finalità del percorso di istruzione (intorno alla quale si costruisce il mito della cosiddetta scuola digitale) e il confinamento del digitale nell’ambito ristretto dei metodi (che nega a questa sfera dell’esperienza culturale giovanile la dignità di oggetto di studio, finendo per consegnarla ad ambiti in cui se ne dà un’interpretazione puramente tecnica, come l’insegnamento di Informatica).
Attività ad ampio respiro come questa, invece, dove gli studenti sono liberi di porsi domande, di ipotizzare risposte, di conoscere e affrontare a modo loro i “grandi” problemi a partire dal loro “piccolo” vissuto, aiutano a sviluppare le competenze necessarie per essere cittadini digitali.
Costituisce inoltre un passo verso l’incontro costruttivo fra le discipline, e verso il rifiuto di una sterile contrapposizione fra sapere umanistico e sapere scientifico, in accordo con le belle parole dell’Unione Matematica Italiana: “l’educazione matematica deve contribuire, insieme con tutte le altre discipline, alla formazione culturale del cittadino, in modo da consentirgli di partecipare alla vita sociale con consapevolezza e capacità critica”.
Comunicare adeguatamente informazioni, intuire e immaginare, risolvere e porsi problemi, operare scelte, sviluppare la capacità critica e argomentativa utilizzando differenti linguaggi specifici: si può godere di questi piaceri intellettuali in ogni singola ora di ogni singola disciplina.
Ma è bello, talvolta, assaporarli con una classe insieme ad altre e altri docenti.
[i] Il video va visto a partire dal minuto 7.34, per un difetto nel caricamento
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