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diretto da Romano Luperini

Educare alla mondialità e alla pace

Insegno al Liceo Archimede di Acireale, dove, ormai da qualche anno, sono la referente di un progetto di Educazione alla mondialità e alla pace. Il progetto nasce a partire da un’idea forte di scuola come luogo di formazione di una coscienza civica responsabile e consapevole.

Che la scuola lo sia non è ovvio, come non lo è che in una società sempre più complessa e chiamata alla multiculturalità nasca l’esigenza di educare i giovani ad una cittadinanza globale che metta al centro i diritti umani, i beni comuni e la sostenibilità. I nostri giovani sono chiamati a vivere in un mondo globalizzato e interdipendente e ad interagire con soggetti, culture e ambienti molto diversi, ma nonostante siano continuamente connessi con il mondo, non sempre sono preparati a leggere l’informazione in modo critico e indipendente e a riconoscerne i condizionamenti culturali. La scuola dovrebbe potenziare il pensiero critico, razionale e riflessivo, ma il rischio di uniformarsi al pensiero unico e alla omologazione culturale è alto. La sfida che siamo chiamati a raccogliere, come docenti ed educatori, è di gestire efficacemente la differenza culturale attraverso la mediazione dei saperi. Ma ciò che vale per i giovani vale anche per gli adulti. Educare alla mondialità e alla pace impone un forte investimento sull’educazione e sulla formazione dei docenti, affinché possano ripensare ad una narrazione globale dei fenomeni umani, riconoscendo che i libri di testo straripano di stereotipi etnoculturali e che occorre riorientare le proprie scelte operative in campo didattico, nella consapevolezza che la costruzione della conoscenza è un processo continuo.

Cercherò di sintetizzare la genesi, le diverse fasi e i molteplici sviluppi di questo progetto in brevi paragrafi, raggruppati in tre sezioni che corrispondono, grossomodo, ai punti di forza dell’esperienza messa in atto:

  1. Un intervento educativo trasversale e permanente – L’idea di un contesto formativo non isolato, ma inserito nella più ampia realtà sociale e storico-politica attuale, ha inevitabilmente orientato la progettazione al dialogo con l’intero Piano dell’offerta formativa, ideando l’attuazione di interventi mirati su più versanti disciplinari e impegnando i docenti a operare scelte condivise;
  2. L’innovazione didattica, costituita principalmente da dinamiche e tecniche formative di tipo laboratoriale e interattivo – circle time, brainstorming, giochi di ruolo – atte a coinvolgere empaticamente le/gli studenti nel processo di apprendimento e in esperienze concrete di arricchimento del proprio vissuto relazionale;
  3. Una proposta di PCTO alternativa alle comuni logiche economicistiche e burocratizzate del mondo del lavoro che privilegiano il fare all’essere, il principio di efficienza al principio di realtà, la competizione alla cooperazione solidale.

1. Un intervento educativo trasversale e permanente.

Riconoscersi cittadine e cittadini del mondo, in una prospettiva critica e consapevole, significa rendersi disponibili ad incontrare ed accogliere l’altro, sperimentare che la multiculturalità e il dialogo interreligioso sono una risorsa e non un limite, promuovere diritti e doveri propri e altrui, creando i presupposti per una cultura della comprensione e del rispetto reciproco. In questa ottica, i Dipartimenti di Storia e filosofia e di Lettere proposero un percorso di formazione per docenti e studenti sui temi della interculturalità e dell’etnocentrismo, da inserire nel P.O.F. per l’anno scolastico 2015-2016. La formazione fu affidata al CoPE (Cooperazione Paesi Emergenti).

CoPE, cooperazione Vs Competizione

Singole iniziative ed esperienze isolate con il CoPE erano già state avviate da alcune docenti negli anni precedenti, con l’ausilio di formatori esterni. Io stessa avevo partecipato ad una serie di percorsi di formazione promossi dal CoPE che cercavo di replicare nelle mie classi, con tutti i limiti di un intervento formativo chiuso tra le quattro pareti dell’aula e privato di un contesto allargato entro cui attuare la critica e il confronto. Il progetto comune di Educazione alla mondialità e alla pace diede dunque respiro a quanto ciascuna di noi operava nelle proprie classi e ci permise di radicare sul territorio limitrofo proposte concrete di intervento sociale.

I temi della formazione vertevano su consumo critico e finanza etica, offrendo ai nostri studenti una prospettiva alternativa alla dominante logica del mercato individualista e competitivo. Alle classi coinvolte nel progetto fu aperta la porta della bottega del commercio equo e solidale. La consapevolezza di quanto le nostre scelte possano incidere sulle dinamiche del mercato globale e su filiere complesse poté così tradursi in azioni concrete: sorsero a scuola campagne di solidarietà e di sensibilizzazione ai progetti di riscatto economico delle cooperative del Sud del mondo, gestite interamente dai corsisti e dalle operatrici del CoPE.

La mia scuola per la pace.

Consapevoli dell’importanza di lavorare in team, in fase di progettazione, decidemmo di aderire ad alcune delle iniziative del Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la pace e i diritti umani, che vennero inserite tra le finalità del progetto e grazie alle quali il liceo entrò a far parte della Rete nazionale La mia scuola per la pace. La Rete delle scuole di pace rispondeva esattamente al nostro duplice obiettivo: promuovere l’inserimento permanente dell’educazione alla pace e ai diritti umani nell’offerta formativa e sviluppare competenze trasversali, grazie al confronto con operatori della scuola di ogni ordine e grado, in una alleanza pedagogica tra tutti i soggetti responsabili (soprattutto in alcuni momenti topici come la marcia per la pace da Santa Maria degli angeli ad Assisi o il Meeting Nazionale delle scuole di pace). Ben prima dell’inserimento formale dell’educazione civica nei curricula scolastici, avevamo chiara la consapevolezza della funzione sociale, oltre che intellettuale, che la scuola dovrebbe svolgere. La possibilità di confrontarci con altre esperienze, simili alle nostre, dava nuovo impulso all’innovazione didattica e alla valorizzazione di un’azione radicata sul territorio.

Da Assisi a Lampedusa. La sinergia tra Educazione alla mondialità e Festa del libro.

Occorreva tessere una rete locale di finalità e obiettivi comuni. L’occasione fu data nel 2018 dalla partecipazione alla conferenza, in diretta satellitare, organizzata da Emergency per le scuole di pace, dal titolo “Nessuno escluso. I diritti valgono per tutti”. Il tema della conferenza insisteva sulla grave condizione dei migranti del Mediterraneo, troppo spesso senza accesso ai diritti fondamentali, e si legava saldamente alle attività che la scuola portava avanti per la Festa del libro di Zafferana (nota sul territorio etneo  per il suo impegno nella promozione della lettura): infatti fu ospitato nelle nostre aule Pietro Bartolo, medico di Lampedusa, perché presentasse il suo libro Lacrime di sale. Il percorso si inserì così anche nella celebrazione della Giornata in memoria delle vittime delle migrazioni, istituita, con legge 45/2016, nella data simbolica del 3 ottobre, per ricordare il 3 Ottobre del 2013, quando trecentosessantotto persone tra bambini, donne e uomini persero la vita in un naufragio a largo di Lampedusa[1]. Sulla questione dei migranti la Festa del libro allestì quello stesso anno una mostra dedicata all’albo Mediterraneo di Armin Greder e l’anno successivo fu la volta di Fabio Geda con Nel mare ci sono i coccodrilli.

2. L’innovazione didattica.

Una didattica interattiva fondata sull’empatia.

Per una precisa scelta progettuale la formazione per studenti e docenti è stata affidata, fin dal principio, a esperti esterni, operatrici e operatori del CoPE, che hanno attuato per noi un vero e proprio training formativo a partire dalla premessa epistemologica che la rivendicazione dell’universalità del diritto si fonda su un richiamo emotivo: è convincente se fa risuonare qualcosa in ogni persona. In accordo con tale premessa, il ricorso all’empatia è la strada che abbiamo scelto di percorrere. Per fare della scuola e della società un luogo concreto di pace, di dialogo e di rispetto, occorre produrre una consapevole e critica cultura dei diritti che pretenda, oltre che il riconoscimento formale degli stessi, anche e soprattutto il loro rispetto. E per ottenere questo risultato abbiamo cercato di insegnare ai nostri giovani a non restare indifferenti di fronte alle ingiustizie e alle diseguaglianze globali, che comportano il mancato accesso ai diritti di una sempre più cospicua parte della famiglia umana. La didattica interattiva ci ha mostrato quanto sia vitale saper fare uso delle proprie emozioni, oltre che della ragione, quando si lavora sull’ingiustizia. Le tecniche laboratoriali utilizzate si caratterizzavano per il coinvolgimento empatico, in particolare attraverso le testimonianze (abbiamo incontrato rifugiati politici, migranti economici, operatori del Servizio Civile Internazionale e volontari di ONG) e il controllo costante e ricorsivo sull’apprendimento, anche mediante l’autovalutazione. Tutti gli incontri erano mirati a sviluppare processi di apprendimento diversi e più autonomi, attraverso attività procedurali (eventi stimolo a partire dai quali pianificare un’esperienza) e dinamiche di gruppo (giochi di ruolo) che mettessero in gioco il vissuto concreto, le proprie convinzioni, ma anche i pregiudizi.

Le attività erano costruite secondo una precisa metodologia che, a partire dall’esperienza concreta, favorisse il confronto cooperativo (si impara lavorando insieme), la riflessione e l’attivazione (mettere in pratica quanto imparato). A seguito di ogni attività, ciascuno era chiamato a condividere con il gruppo le reazioni, a rivedere, discutere e valutare le dinamiche e le sequenze comportamentali, in modo da ottenere una comprensione più profonda dell’esperienza vissuta e di come essa si relazioni con il mondo reale. Un utilissimo supporto alla didattica laboratoriale così intesa e attuata è Compass, il manuale promosso dal Consiglio Europeo per l’Educazione ai Diritti Umani. Per incoraggiare l’attivazione sono state progettate anche visite sul territorio volte a conoscere le realtà associative e volontaristiche che operano nel sociale. Da qui è emersa l’esigenza di un impegno concreto da parte di moltissimi dei corsisti e di intere classi per le quali si è pertanto pensato ad un percorso di orientamento da declinare formalmente come Alternanza scuola-lavoro.

3. Una proposta di P.C.T.O. alternativa.

Mostra del pluriverso Mediterraneo.

Il Percorso per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (ex ASL) Il Mediterraneo in miniatura è stato ideato e attuato, in convenzione con l’associazione MetaCometa APS (impegnata da anni nell’accoglienza di minori stranieri non accompagnati e presente sull’intero territorio nazionale) e con il giornale online SudLife Magazine, per la prima volta nell’anno scolastico 2018-2019, come percorso di approfondimento delle tematiche relative al progetto di Educazione alla mondialità e alla pace, ed è stato riproposto per i due anni scolastici successivi, con specificità differenti, in relazione ai bisogni emersi. Il progetto mira, oltre che all’emergere di vocazioni e interessi personali che possano contribuire ad orientare le future scelte lavorative, soprattutto a motivare la riflessione e l’acquisizione di nuove capacità di ragionamento e argomentazione e a favorire la relazione e lo scambio interpersonale.

Per l’anno scolastico 2018-2019 abbiamo progettato e realizzato, con due terze classi, una Mostra permanente del Mediterraneo, presso Casa Nazareth, sede a Viagrande dell’Associazione MetaCometa. A questo scopo abbiamo proposto una serie di incontri formativi, condotti da docenti di storia, che riguardavano le relazioni interconnesse tra le sponde del Mediterraneo, i mutamenti di rapporto nel tempo tra le diverse aree geografiche e le cause storiche degli squilibri attuali. Siamo partite da una domanda: che cosa è il Mediterraneo? “Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma molte civiltà, disseminate le une sulle altre”[2]. Facendo ancora una volta uso di tecniche di didattica attiva e dinamica, abbiamo stimolato la riflessione sui concetti di identità e alterità, nel tentativo di disvelare e decostruire pregiudizi, stereotipi, luoghi comuni, immagini deformanti e categorie linguistiche etnocentriche. Ci siamo servite di operazioni di decentramento narrativo del racconto storico, nella convinzione che esso contiene in sé un antidoto all’intolleranza e al razzismo, per promuovere l’interculturalità, scardinando la tradizionale visione eurocentrica, di cui è imbevuta la didattica della storia e la cartografia convenzionale, e recuperando l’immagine di un Mediterraneo come luogo di incontro e non di frontiera.

Ci trovavamo in un luogo, Casa Nazareth, adibito all’accoglienza di minori stranieri e italiani entro nuclei familiari non convenzionali, dove la multiculturalità è la norma, le esigenze di ciascuno sono messe al centro e le diverse abitudini culturali valorizzate. Nella prospettiva e nel progetto di vita delle famiglie MetaCometa le relazioni umane sono animate da accoglienza incondizionata, amore scevro da possesso (i genitori accudiscono e custodiscono i figli loro affidati) e apertura al territorio (il cancello di Casa Nazareth, per principio, è sempre aperto). Un’apertura che si traduce in progetti di rilancio culturale in senso ampio, dagli aperitivi letterari ai progetti con le scuole e i reparti Scout, dall’orto solidale (i prodotti sono condivisi o scambiati, non mercificati) all’asilo nel bosco.

Volevamo che la Mostra del Mediterraneo in miniatura mostrasse il mondo da quella prospettiva, abbracciando i valori di cui l’esperienza a Casa Nazareth era permeata. Occorreva rovesciare la prospettiva più comune e offrire un’alternativa migliore.  A tale scopo la maggior parte dei pannelli, realizzati grazie alla creatività delle classi coinvolte, rappresenta il tentativo di costruire una nuova memoria, decostruendo la memoria dominante, che è etnocentrica ma che si spaccia per planetaria.

Le diverse sezioni della mostra, ciascuna dedicata rispettivamente all’arte, alla musica, alle lingue, alle religioni, alle economie e agli stili di vita, aiutano a rileggere il pluriverso Mediterraneo come la sintesi di quanto è avvenuto nel corso dei secoli sulle sue sponde prima della grande divergenza[3], dove le diverse culture, incontrandosi, mantengono le loro caratteristiche distintive pur lasciando il proprio segno in un insieme vivo, senza supremazie o censure. All’attuale concezione del Mediterraneo come frontiera di un’Europa fortezza, abbiamo voluto contrapporre una pluralità di rappresentazioni diverse. Non a caso uno dei pannelli più significativi, dal titolo emblematico “Come rappresentarci sulla carta”, rappresenta una carta fisica del Mediterraneo ruotata di 90 gradi, in modo tale da disorientare l’osservatore, affinché dallo smarrimento nasca la consapevolezza di dover ridefinire la propria visione, o quanto meno di doversi interrogare sulla legittimità di convinzioni/convenzioni che si basano su rappresentazioni relative e non assolute della realtà.

Le competenze stimolate sono state di carattere narrativo e comparativo. Abbiamo cercato di sviluppare la capacità autonoma dei giovani di raffrontare le vicende storiche da una dimensione locale a una dimensione globale, e viceversa, mettendo a confronto due o più narrazioni o sguardi o versioni su uno stesso oggetto. Il risultato è stato straordinario in termini di partecipazione attiva ed entusiastica a tutte le scelte di carattere operativo che sono state messe in campo: dai contenuti della mostra, alla realizzazione dei pannelli espositivi, fino all’inaugurazione, accompagnata da una degustazione di cibi etnici, tipici dei paesi di provenienza di alcuni degli ospiti di Casa Nazareth, che li hanno preparati insieme ai corsisti, loro coetanei.

Il giornale delle buone notizie

Per gli anni scolastici successivi (2019-2020; 2020-2021) si è inteso dare continuità al progetto ampliando le competenze acquisite e ideando un giornale scolastico on line.

L’idea era quella, da un lato, di creare uno spazio sul sito del liceo, dove trasferire, all’attenzione dell’intera comunità scolastica, i contenuti della Mostra, dall’altro, di portare fuori dal liceo, tramite lo stesso sito, i temi, le finalità e gli esiti del progetto di Educazione alla mondialità e alla pace, estendendo la tecnica del decentramento narrativo, utilizzata a proposito della storia e della storiografia del Mediterraneo, anche ai contesti di cronaca giornalistica.

L’assunto di base, questa volta, è stato offerto dalla sociologa di Casa Nazareth, che ci ha dato la possibilità di riflettere sulle buone pratiche di cittadinanza, di accoglienza e di integrazione che intorno a noi vengono quotidianamente attuate da singole persone o da gruppi di persone, senza che questo sortisca clamore giornalistico e particolare risonanza. Abbiamo perciò deciso di rovesciare la logica sensazionalistica dei giornali e dei social network, ideando un Giornale delle buone notizie per dare testimonianza dell’operato virtuoso di alcune delle associazioni di volontariato attive sul territorio acese e catanese. Casa Nazareth, ha messo a disposizione la propria esperienza nel campo della promozione sociale e del volontariato, mentre un tutor esterno, la responsabile della redazione del SudLife Magazine, ha offerto le proprie competenze professionali per affiancare le classi coinvolte.

Gli/le studenti non solo sono usciti da scuola per recarsi fisicamente, finché è stato possibile, prima dell’emergenza covid-19, nei luoghi dove le associazioni operano, per toccare con mano la realtà dell’accoglienza, ma hanno avuto anche la possibilità di raccontare la loro esperienza e di confrontarsi con la redazione di un giornale vero, acquisendo un ruolo attivo nel veicolare nuove forme di interazione sociale e di interpretazione delle responsabilità civiche.

Considerazioni (non) conclusive.

Nelle sue diverse sfaccettature e diramazioni, che ho cercato di sintetizzare fin qui, il progetto di Educazione alla mondialità e alla pace offre alla comunità scolastica la possibilità di aprirsi realmente al mondo da una prospettiva critica, priva di pregiudizi. Declinato in P.C.T.O., esso rappresenta un’alternativa all’adempimento meramente formale di un obbligo, presentandosi come veicolo di orientamento per l’emergere di vocazioni professionali non scontate, per stimolare la riflessione e il desiderio di essere motore di cambiamento.

Educare cittadini responsabili e attivi, operatori di pace che sappiano decentrare il proprio punto di vista per mettersi in ascolto dell’altro, inserendosi in modo critico e propositivo nella vita sociale, è il nostro modo di opporci con forza e con alternative valide all’imperante pregiudizio che studiare significhi solo acquisire informazioni teoriche, peraltro fondamentali, e non prassi consapevoli di cittadinanza.

Studiare, in realtà, quindi penetrare con la coscienza la conoscenza, oltrepassarla e al tempo stesso essere presenti in essa, vuol dire individuare un’etica che serva come bussola nella propria vita. Compito della scuola dovrebbe essere quello di costruire uno sguardo avvertito e critico sul mondo[4]; perché, se è vero che, per un verso, è necessario che i giovani imparino a rispondere alle richieste dell’attuale mondo del lavoro e dell’economia, per altro verso, essi devono poter sviluppare la capacità di diventare consapevoli dei problemi e delle contraddizioni e investire la propria sensibilità, potenzialità e creatività in favore di contesti più razionali e più felici[5].

Ringrazio le mie compagne e i miei compagni di viaggio e in particolare Silvana La Pinta, Teresa Vespucci, Agata Squillaci, Eliana Emma, Salvatore Adamo, Lucia Murabito.

[1] “Quel naufragio avvenuto poco lontano da noi non smetteva di restituirci i corpi. Non numeri. Corpi, storie di famiglie intere che stavano continuando a perdere i propri figli nonostante fossero scappati dalla guerra proprio per salvarsi. Come se spietati cacciatori mirassero al buio colpendo a caso nella massa fluttuante di migratori”. (P. Bartolo, L. Tilotta, Lacrime di sale, Mondadori, Milano 2016, p.35)

[2] F. Braudel, Il Mediterraneo, la storia, lo spazio, gli uomini, le tradizioni, Bompiani, Milano 1987 p. 7.

[3] K. Pomeranz, La Grande divergenza. La Cina, l’Europa e la nascita dell’economia mondiale moderna Il Mulino, Bologna 2000.

[4] cfr. Ripensare la scuola nella società di oggi. Punti salienti per una vision innovativa, concreta e lungimirante, Società Italiana di pedagogia (SIPED), 2014.

[5] cfr. H. Marcuse, Saggio sulla liberazione. Dall’«uomo a una dimensione» all’utopia, Einaudi, Torino 1969.

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