Quattro settimane di didattica a distanza alla scuola secondaria di primo grado
Domenica 15 marzo: inizia la IV settimana
Sono uscita sul balcone, quello ancora si può.
C’è un silenzio pesante, di quelli che fanno rumore. Pensavo capitasse solo nei romanzi: non l’ho mai sentito un silenzio così. È domenica, di solito a quest’ora ci sono le urla della partita di calcio del vicino stadio comunale, i bambini che giocano, i vicini che tagliano il prato, la siepe o la legna, o forse tutti e tre insieme visto che iniziano alle 8 del mattino.
Una gazza si è lanciata dal tetto: sono saltata per aria, ha letteralmente bucato il silenzio. Poi è diventato di nuovo un grumo vischioso, si è richiuso su se stesso. Ed è lo stesso grumo vischioso che ho dentro.
Sta per iniziare la IV settimana virtuale, con qualche consapevolezza in più: la prima è che non devo uscire di casa, nemmeno per fare una passeggiata, la seconda è che torneremo a scuola tra molto molto tempo.
La nostra scuola ormai si fa in rete ed è la sola possibilità. La realtà è questa e va trasformata in virtù, in prassi. Senza dimenticare limiti e problemi.
Prima settimana: zona gialla
Non avevamo capito niente. “Ma su, cosa vuoi che sia lo stop di una settimana! Tenendo poi conto che ci sono in mezzo le vacanze di Carnevale: insomma si tratta di tre giorni in meno! Pensiamola come lo stop per una grande nevicata.”
Convinti che saremmo tornati presto, ci concentriamo su circolari, sanificazione dei locali, eventuali distanze da mantenere al ritorno. Chi come me ha una piattaforma da prima del coronavirus la usa un po’ di più, ma come integrazione alla didattica d’aula, come sempre. Vige il mantra: “torneremo presto, un po’ di riposo in più per tutti! Evviva”
Seconda settimana: zona rossa
Scuola chiusa, ancora. O meglio chiuse le attività didattiche. Pare quasi uno zelo di troppo, così a scuola andiamo mantenendo la debita distanza: facciamo i consigli di classe, parliamo di didattica a distanza, di attività da impostare. Di quello che faremo la prossima settimana quando, certamente, torneremo a scuola e alla vita di sempre.
Ci capita quello che succede davanti a un trauma: non ti fermi, lo rimuovi e come un forsennato agisci. Ecco che in un amen mi sono messa a cercare piattaforme che non si impallassero, a registrare quanti più video avrei mai potuto postare e ad indicare attività ai miei studenti, senza un vero criterio. Poi il cervello ha fatto click: la mia scuola ora è solo on line, ma questa non è la scuola che ho sempre fatto, se la travaso così com’è nella rete, esplode. Perché si tratta di due forme differenti.
Le mie lezioni sono al più lezioni interattive dialogate: la condivisione dei lavori è parte integrante del mio agire in classe ma fino ad oggi avevo caricato in piattaforma o video da me realizzati da guardare prima della lezione in classe o materiale per studiare e progettare a seguito del lavoro fatto in classe. Ora si tratta di fare senza classe, non c’è né un prima né un dopo lezione. Come si può fare bottega in rete? Luogo dove ciascuno è da solo e dove l’interazione è resa complessa da problemi tecnici?
A scuola abbiamo un motto: un problema, una soluzione. Questo è un problema grosso; è giusto, quindi, fermarsi, non farsi prendere da eccessi e superomismi e provare a guardare la situazione che abbiamo di fronte, la nostra realtà. Chi siamo. Perché non è vero che questo virus agisce come la livella di Totò, anzi le differenze si fanno marcate dalle quelle più piccole (se hai un frigorifero grande ti puoi permettere la spesa ogni tre settimane, altrimenti devi uscire) alle differenze più sostanziali(condivisione degli spazi, connessione, possibilità di essere seguiti nel lavoro a casa, strumenti informatici). Insieme ai genitori abbiamo analizzato la nostra realtà, ecco qua la sintesi, la fotografia da cui siamo partiti:
Le famiglie hanno spesso un solo pc che devono condividere tra fratelli e, ora, anche con i genitori a casa in telelavoro. Sono pochi i ragazzi che possiedono un device personale, ad esclusione dello smartphone (e provate voi a scrivere un testo con il cellulare!). I fratelli maggiori sono alla scuola superiore e questo implica che abbiano 4-5 ore frontali di connessioni live. A noi della secondaria di primo grado cosa resta?
Non tutti hanno una connessione efficiente, la fibra non è molto diffusa e per alcuni ci sono solo i giga del telefono che finiscono (“prof. Ho finito i giga e mia mamma non può uscire a fare la ricarica”)
I bambini e i ragazzi si trovano a vivere con adulti spaventati, in una realtà capovolta. Molti hanno a che fare con la malattia e un lutto che non può essere celebrato, con genitori che tornano distrutti e terrorizzati la sera, o sono in casa chiusi come loro a cercare di distrarsi: possiamo non tenerne conto? Cosa possiamo fare per questa emergenza emotiva?
La didattica prevede l’interazione, la negoziazione dei significati, la costruzione in classe di contenuti e poi di competenze, la didattica on line richiede un livello di autonomia che i ragazzini delle medie ancora non hanno, come possiamo mediare tra questi due estremi?
Noi stessi ci troviamo a vivere una situazione al limite: chiusi tutti insieme in casa a gestire una realtà che non ha precedenti e che, come è naturale, ci trova totalmente impreparati. Come possiamo resistere anche noi? Come possiamo mettere in gioco competenze e professionalità in questa emergenza? Come possiamo mettere da parte diversità e spigoli per trovarci uniti in questa sfida?
Siamo partiti da qui, non dal programma e dalla valutazione: cosa vogliamo che sia questa scuola a distanza, questa didattica on line non integrata a quella in presenza, ma unica e totale. Totalizzante oserei dire?
Un modo per sentirci vicini e darci una routine, un senso: ho sempre creduto che senza routine difficilmente ci possa essere apprendimento, la pretesa è di riuscire a fare vicinanza nella distanza. Senza chiedere ai ragazzi l’impossibile e considerando la situazione: provate voi a dover stare chiusi in casa a undici anni quando hai appena mosso i primi passi verso l’indipendenza! O a studiare con un tuo familiare che sta male e non sai dov’è, come sta e se e quando lo rivedrai? Credo che la parola ansia debba essere bandita e considero, quindi, questo tempo un tempo non richiesto e dilatato per fare scuola con quello che ho. La didattica a distanza diventa un modo per imparare a usare strumenti informatici. In classe ci siamo interrogati più volte sull’uso critico della rete, su come stare nei social responsabilmente, ma qui c’è da riprendere l’abc: mandare mail, allegare un file, formattare un test, salvarlo con un nome. Ricordiamocene dopo, quando li metteremo davanti a scratch e al pensiero computazionale dando per scontato che sappiano cos’è un’icona o un browser. Non che avessi bisogno di questo compito di realtà per rendermi conto della gigantesca mistificazione del concetto di nativi digitali, a dire il vero. So bene che sono competenze digitali previste nel programma, certo credevo di poter avere tre anni di tempo per realizzarle.
La didattica a distanza impone ai ragazzi di essere autonomi e a noi di dare indicazioni chiare, snelle e brevi, di coordinarci quanto non abbiamo fatto mai: non è possibile né sensato replicare in rete l’orario scolastico in toto, ma è doveroso guidare i ragazzi in una routine giornaliera, coordinarci per gli interventi, darci misura. Fare dipartimento a distanza che, nel caso della mia scuola, è diventato aperitivi a distanza, perché anche noi avevamo bisogno di sostenerci a vicenda.
La didattica a distanza cancella tutto il grande lavoro di inclusione e di relazione che avevamo iniziato a settembre: non è certo una videolezione che lo può mantenere. A questo problema non siamo riusciti a trovare soluzione.
Terza, quarta settimana: misura, ragione e umiltà
La vera riflessione non è stata tanto quale strumento usare ma quale didattica fare e quali obiettivi perseguire. Una delle caratteristiche della didattica a distanza, basata su videoconferenze e preparazione di materiale ad hoc è la sua immobilità, la mancanza della variabile. Invece di spiegare giorno per giorno ho preferito progettare unità di apprendimento che prevedessero la lettura autonoma di un testo, la video lezione di spiegazione, alcuni lavori di analisi, una riflessione personale e la produzione di un elaborato, come vedete in questo esempio su “cose che fanno domenica” di Govoni. Insomma qualcosa di analogo al lavoro che faccio in classe, è così che i ragazzi leggono, mettono in pratica, producono, inviano: tutto è già stabilito, fisso e, indubbiamente, più veloce che in classe. Qualche studente preferisce anche avere il feedback solo da me, la correzione solo da parte del docente. Ma a me manca la discussione in classe: come si fa? Ma anche qui l’insegnante sa che il suo super potere è la caparbietà. La videoconferenza finora è stata un disastro (problemi tecnici, eccessiva timidezza, difficoltà di connessione) così mi “invento” la chat di letteratura. Ore 16 tutti connessi, prima un paio di regole su come si sta in chat e poi via domanda e risposte
17/03/2020 16:10
Prima domanda: “avete letto la poesia e spero abbiate ascoltato la mia spiegazione, partiamo dal titolo: perché dice LA domenica e non UNA DOMENICA?…quale nuovo titolo dareste?
17/03/2020 16:12
Secondo me LA domenica perché intende la domenica come giorno unico non uno qualsiasi
17/03/2020 16:12
perché si riferisce alla domenica perfetta per lui
17/03/2020 16:13
perché per lui la domenica è un giorno speciale
17/03/2020 16:14
Il mio nuovo titolo è: “il giorno perfetto”
17/03/2020 16:14
nuovo titolo:”non un giorno qualsiasi”
Abbiamo passato in rassegna i versi, le parole, le immagini alla fine abbiamo scritto per un’ora e mezzo e per un totale di 390 messaggi: per molti è stato più facile che intervenire in classe. Sono stati corretti, disciplinati e hanno fatto un grande sforzo: questa volta dovevano scrivere per farsi capire da tutti. Non era una verifica tra loro e la professoressa, era la loro forma di comunicazione.
Il chat sul brano “Come si divertivano” di Asimov racconta di quello che stiamo vivendo:
MMM
12/03/2020 13:46
Sì sarà anche meglio avere un robot come insegnante, ma così non puoi divertirti, cioè se adesso dovessimo fare così a me non piacerebbe per nessun motivo perché il bello della scuola è proprio quello di avere dei compagni di classe con cui puoi imparare ad usare la porta sul retro.
Fine modulo
MMM
12/03/2020 13:56
Sarà anche meglio avere un robot come prof. ma le persone hanno delle emozioni, dei sentimenti: i robot no.
16/03/2020 11:24
Poi mai come ora capiamo quanto siamo fortunati ad avere persone con dei sentimenti che ci insegnano…mai scambierei il mio modo di fare scuola con la tecnologia del futuro. Anche se i robot sono più facili da comandare, non penso che ridano e questo non mi piace l’idea di avere dei robot come insegnanti!
Di settimana in settimana, di chat in chat i commenti sono diventai più corretti e sagaci, a grande richiesta ho ripreso la lettura ad alta voce di Pinocchio: registro e condivido e loro commentano partendo da una mia domanda.
Certo non tutti partecipano ed è il mio cruccio, anche se ci siamo spesi in molti modi per coinvolgerli. Gli alunni più difficili, quelli che hanno bisogno costante di tutoring in classe sono i più persi: li abbiamo chiamati uno per uno, alcuni sono irrintracciabili, altri sebbene iscritti non intervengono mai, non compaiono: sarà opportuno prevedere un piano di recupero ad hoc per loro al ritorno. La scuola non può non tenerne conto.
Le nostre video chat si aprono tutte con “Come state ragazzi come va?”, cosa avete fatto oggi? E spesso finisce che chiacchieriamo, ridiamo, scherziamo: fingo di sgridarli per le stesse cose fatte a scuola (chi si alza e fa cadere tutto, chi disegna, chi manda bigliettini e via dicendo). Non manca mai il saluto ai genitori: stiamo facendo una diversamente scuola insieme.
In questi giorni ho visto la mia scuola farsi rete (sì anche rete che va a “pescare” chi non si trova): telefonate, messaggi e vocali whatsapp, consulenze ad hoc. Scambi e ascolto coi genitori che come noi sono frastornati e scossi da questo mondo ribaltato. Abbiamo scelto di fare poche cose: attività medio lunghe in cui possano dimostrare quanto valgono, video lezioni registrate brevi in cui ci siano istruzioni chiare e semplici, video chat che hanno il compito di chiarire dubbi, ascoltarci e salutarci.
Abbiamo dato la piena disponibilità all’incontro via chat, telefono, mail: all’inizio significava essere sempre connessi, ora, lentamente ci avviamo alla quotidianità nell’anormalità. I ragazzi piano piano rispondono, anzi sono loro quelli più ansiosi di inviare materiale e di diventare autonomi. Quella autonomia che iniziavano a intravedere e che gli è stata tolta la ricercano in rete. Certo non è scuola, la scuola a cui sono abituata, ma ci si avvicina molto, nello spirito e nell’intenzione. Il resto verrà.
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