Marriage story, o del raccontare una separazione.
Sintesi del film (contiene spoiler): lui giovane e talentuoso regista di teatro, lei bella e valente attrice che lui valorizza e porta alla notorietà; loro vivono in una New York al centro del mondo e di ogni opportunità professionale, si amano e hanno uno splendido bambino, ma si separano. Difesa da una avvocatessa rampante lei ottiene di trasferirsi a Los Angeles, costringendo lui a spezzare la vita tra due città lontane pur di fare il padre. Tristezza e solitudine assoluta di lui, riappropriazione della bella famiglia di origine e nuove opportunità lavorative per lei.
Questa è la sintesi spiccia che con pochi orpelli critici si potrebbe abbozzare dell’ultimo film di Noah Baumbach. Charlie e Nicole sono i due protagonisti di una crisi matrimoniale che sembra insolubile. Interpretazione ineccepibile (rispettivamente di Adam Driver e Scarlett Johansson), che permette di far spazio a tensioni, propensioni, desideri, detti e non detti dei due coniugi. Si viene trascinati nel vortice della crisi matrimoniale, nella sofferenza che la contraddistingue, nell’irrazionale impossibilità di trovare una via di riconciliazione laddove il rapporto sembra godere delle migliori premesse. Due, che non potevano che stare insieme, finiscono per lasciarsi. Perché? Se si risponde leggendo la sintesi sopra proposta se ne ha una risposta scontata: lei incattiva e fomentata dalla sua avvocatessa, lui buono e un po’ scemo. Saremmo all’ennesimo film che dipinge la crisi della famiglia, distante dai toni dell’American beauty di Alan Ball e San Mendes (1999) solo perché le crisi coniugali passano oggi ben più attraverso le abilità della giurisprudenza e (come si vede nella scena iniziale del film) attraverso la disciplina della mediazione familiare.
Tenterò un’altra risposta, che contesta la sintesi riduttiva che sopra ho riportato (e che ho sentito ripetere da non pochi). Se fosse l’unica possibile, anni di pensiero femminista sarebbero stati inutili e Marriage story non potrebbe comunicare altro. Per impostare la risposta proverò a scegliere un punto di vista, che tenga conto della coppia, non come mera somma di lui e di lei ma come qualcosa che è più della somma delle parti, senza voler in nessun modo essere assoluto o indiscutibile. Scriveva nel 1949 la filosofa Simone De Beauvior (1908-1986) ne Il secondo sesso (ed. Il Saggiatore, Milano 2012, p. 622):
«In alcuni periodi della loro vita anche gli uomini hanno potuto essere amanti appassionati, ma non ce n’è uno che si possa definire come “un grande amoroso”; nei loro trasporti più violenti non abdicano mai completamente; anche se cadono in ginocchio davanti all’amata, quel che desiderano ancora è di possederla, annetterla; rimangono in seno alla loro vita soggetti sovrani; la donna amata è solo un valore in mezzo ad altri valori; vogliono integrarla alla loro esistenza, non inabissare in lei la loro intera esistenza. Per la donna, invece, l’amore è una completa rinuncia a vantaggio di un padrone».
Filtriamo questo passaggio e proviamo a ottenere un residuato un po’ più ottimista. Se l’essere umano in generale è combinazione di se stesso e della relazione con l’altro, e se la coppia è il di più che si ottiene da questa combinazione, potremmo dire che almeno per la coppia donna-uomo del film valgano inizialmente queste regole esistenziali:
- lei antepone l’essere per l’altro all’essere per se stessa, senza rinunciare a se stessa ma, anzi, credendo fortemente nelle proprie potenzialità;
- lui antepone l’essere per se stesso all’essere per l’altra, senza rinunciare all’altra ma, anzi, credendo fortemente alle potenzialità dell’altra.
Sono entrambi mossi da intenzioni più che buone: si amano, godono della felicità del coniuge, stanno costruendo qualcosa di comune. Qualcosa di comune che non è qualcosa “insieme”, in senso stretto. Non lo capiscono, nessuno li aiuta a capirlo e scoppia la crisi. Chi aveva ragione dei due? Si può dire che è più nobile la regola esistenziale di lei, anziché quella di lui? No. La tentazione buonista di dire sì è forte, ma è pericoloso lasciarsi ammaliare perché farlo ridurrebbe il rapporto all’annientamento della personalità di uno dei due. Non migliorerebbe la situazione se ciascuno annichilisse se stesso, perché si otterrebbe una coppia tutta chiusa in se stessa e, diciamolo, noiosa. Certamente anteporre l’altro al proprio io è non solo utile, ma spesso necessario perché un matrimonio duri. Non può però essere l’unico esito possibile, perché moralistico e insostenibile. Per stare bene insieme occorre armonizzare gli spazi dell’io con quelli della relazione.
Torniamo allora alla questione. Chi aveva ragione dei due? Nessuno dei due. Il fatto è che non trovano le categorie per comprendersi, lui per ascoltare i bisogni dell’altra e lei per capire il modo di amare dell’altro. Riprendo due aspetti del film per mostrarlo.
1) Nicole chiede di collaborare maggiormente con il marito nella sua compagnia teatrale: la donna nota che lui apprezza le sue idee, facendole sue e parlandone con altri senza ammetterne la fonte (peccato assoluto, vile frode di copyright); ne desume che lui la stima ma non capisce perché però, a conti fatti, non le dà vero spazio creativo e decisionale nella compagnia e tende a sottolinearle solo gli aspetti in cui deve migliorarsi. Alla fine del film, lei gli comunica di aver intrapreso un’attività di regia, ammettendo di capire solo adesso certe ossessioni dell’ex marito: e lui si complimenta. Sovviene la domanda: Charlie, non potevi darle valore prima, anziché complimentarti adesso? Vero che lavorare insieme è la cosa più difficile del mondo, ma forse il rapporto, la situazione e le vostre risorse chiedevano ormai questo salto. E una domanda a Nicole: non potevi trovare un tuo spazio indipendente da lui prima di separarti? Di fatto viene perseguita questa via: lei trova un ingaggio remunerativo, si trasferisce a Los Angeles in un momento di crisi acuta e le cose esplodono, divenendo irrecuperabili. Alla fine, anche Charlie andrà a vivere a Los Angeles procurandosi una posizione universitaria là: solo dopo che il matrimonio si è rotto lei ottiene ciò che chiedeva fin dall’inizio del matrimonio e che lui non le aveva concesso, troppo preso dalle sue convinzioni. Conseguenza paradossale del non essersi capiti bene prima. Bastava che lui ritirasse di poco il suo ego, non per svanire ma per collaborare più profondamente, per fare spazio all’altra e ai suoi desideri: bastava che lui rovesciasse la propria regola esistenziale.
2) Charlie vola a Los Angeles e le cose per il suo lavoro si complicano. Le spese per gli avvocati succhiano tutto l’onorario di un prestigioso premio che la coppia avrebbe potuto far fruttificare a vantaggio di entrambi. Charlie sente suo il premio, pur dicendo che anche lei ne è parte e ne ha merito. Ma a Nicole questa ammissione deve sembrare inconsistente e formale, lui non fa alcun cenno a come insieme avrebbero investito il premio (nominalmente era il suo…). E comunque lei ormai ha deciso che lui non l’ha mai capita e che non la sa accogliere davvero: è stanca, vuol riprendersi se stessa (peccato assoluto: perché solo ora?). Non condivide più con lui la gioia, se non in un primo rapido momento. Teme che il “Charlie del suo intimo” la possa fagocitare di nuovo. Nicole rovescia distruttivamente la sua regola esistenziale, adotta brutalmente quella di lui e si indurisce, impedendo di fatto a Charlie di proseguire serenamente con il suo progetto. Domanda a Charlie: non potevi ammettere che avevi bisogno di lei anche professionalmente e dirle che la stimavi, non solo che la amavi, dimostrandoti disposto a ragionare insieme? A Nicole: non potevi per una volta in più ammorbidirti e dare a Charlie un’altra e ultima opportunità, mentre continuavi a fare le tue cose a Los Angeles? Bastava che lei si concentrasse più su se stessa, che acquisisse più capacità di autodeterminarsi senza chiedere autorizzazione a lui perché l’altro si sentisse meno fagocitato da lei: bastava che lei rovesciasse benevolmente la propria regola esistenziale.
Charlie ha reso celebre Nicole, dandole ruoli importanti nei suoi spettacoli. Lei è talentuosa, ha contribuito al suo successo. Ma tra le due genialità non c’è interazione intenzionale. C’è solo interazione spontanea e affettiva, che funziona finché le emozioni si allineano ai sentimenti, e si spezza quando le emozioni diventano contraddittorie, io-e-noi vanno in direzioni opposte e le due personalità confliggono. È quanto può accadere oggi nel mondo della mobilità lavorativa e dell’emancipazione femminile (nel mondo del lavoro) e maschile (nel rapporto con la propria mascolinità). Forse è il caso di innovare il nostro punto di vista sulla famiglia, senza ripetere formule che andavano bene fino a 50 anni fa, oggi troppo riduttive.
L’aspetto più cogente del film è che per integrare bene le due diverse regole esistenziali i protagonisti le avrebbero dovute innanzitutto capire e, poi, imparare a usare correttamente, quando necessario, la regola dell’altro. Se la coppia è più che la mera somma di due parti, occorrono regole per la relazione che tengano conto di entrambi e la coscienza che fare qualcosa per noi è anche fare qualcosa per me e per l’altro. Per tutto il film sembra che fosse necessario dare voce al bene e al bello che entrambi vedono nell’altro e che continuano a vedere per tutta l’intera vicenda, fino al commovente esito. Allora il problema diventa chiaro, drammatico e tipico del nostro tempo e sta nell’incapacità di mettere la bellezza prima della brutalità; di ammettere che, se impostate bene, le regole del legame offrono più opportunità di regole e ragioni individuali. Nicole e Charlie dovevano essere aiutati affinché non prevalesse né l’io personale né quello dell’altro, affinché imparassero ad armonizzare l’io-e-il-noi: solo così la complessità del loro rapporto poteva farsi leggerezza e complicità.
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