Il famoso incontro tra il cervo e lo scarafaggio
Gli incontri bizzarri mi sono sempre piaciuti. Nelle mie lezioni ce li infilo spesso, non tanto per stupire o incuriosire i ragazzi, quanto perché confrontare delle storie implica leggerle con attenzione e mi piace pensare che questo sia un allenamento per guardare, poi, il resto del mondo. Quello tra il cervo di Ovidio (Le metamorfosi, III, 138 – 255, tra il 2 e l’8 d.C.) e lo scarafaggio di Kafka (La metamorfosi, 1915) è un incontro non estraneo ai percorsi didattici tesi a suggerire rimandi letterari attraverso secoli e culture. Il salto spazio-temporale è enorme ma, per ragazzi pluridimensionalmente connessi, certamente non arduo. Inoltre la descrizione (in questo caso, lirica la prima e prosastica la seconda) delle trasformazioni di un essere in un altro, attira sempre gli adolescenti, mutanti per definizione. E allora, quando ne ho occasione, mi piace condividere con gli studenti liceali (al biennio se insegno Italiano, al IV anno se insegno Latino), due o tre ore di riflessioni intorno alle metamorfosi (glielo ricordo subito: dal greco μετὰ, indicante mutamento e μορφή, forma) di Atteone e di Gregor.
La storia di Atteone ci trasporta chiaramente in una dimensione lontana lontana dalla nostra e, per tutti, quel mito assume subito un valore universale, pedagogico e sacro. La dea «Diana, dal corto vestito», si spoglia in una caverna e si bagna in acque cristalline, ma Atteone, vagando nella selva meravigliosa, compie un atto sacrilego: la vede. Nelle espressioni degli studenti c’è la serenità dell’ascolto di una favola. Chiedo ad alta voce “«Che crimine c’è in un errore», secondo voi?”. E non posso non far venire il dubbio che ci sia qualcosa di autobiografico in questa domanda dello stesso Ovidio (poco male se i suoi Tristia li studieranno più avanti, con tutte le ipotesi intorno all’error, intanto getto loro un amo). Non mi trattengo neanche dall’accennare che l’alternativa tra errore e colpa era già stata sviscerata dalla tragedia greca.
La trasformazione
Atteone ha visto la dea senza vesti, ed ora è punito. Subisce la sua metamorfosi in cervo, in diretta durante la nostra lettura, attraverso scandite, terribili ma fantastiche fasi che la dea gli impone dopo averlo schizzato: «regala le corna di un cervo longevo alla testa bagnata, gli allunga il collo e gli affila in punta le orecchie, gli cambia in piedi le mani, in lunghe zampe le braccia e tutto il corpo gli copre di pelo chiazzato». Il protagonista è stupefatto, spaventato, vorrebbe gridare «me miserum!», ma non può, e gli altri non lo riconoscono. Fugge nella macchia, i suoi cani e i suoi compagni lo inseguono; solo per un momento, dagli occhi silenziosi, come braccia imploranti, «similis roganti», traspare la sua umanità. Atteone è sbranato e gli studenti suggestionati.
L’approccio con il racconto di Kafka deve essere per forza un altro; non scopriamo poco a poco la vicenda, ma siamo subito dentro la stanza di Gregor Samsa che, una mattina, «si ritrovò nel suo letto trasformato in un insetto gigantesco». Il protagonista è già, dunque, con le sembianze di un non ben specificato artropode: «giaceva sulla schiena dura come una corazza e sollevando un poco il capo poteva vedere la sua pancia convessa, color marrone, suddivisa in grosse scaglie ricurve… le sue numerose zampe, pietosamente esili se paragonate alle sue dimensioni, gli tremolavano disperate davanti agli occhi». Non si tratta di un elegante o tenero animale che rimanda a passeggiate in montagna o a film eco-educativi, non è un cervo, è un atavicamente repellente scarafaggio, o qualcosa di molto simile. Non c’è spiegazione né enfasi in questo, soltanto gli studenti, fortunatamente, si fanno delle domande. In classe osservo che quella descrizione sortisce un effetto forte, tangibile sulle loro facce. Ogni volta chiedo “Quale sensazione provate, allora?” e la risposta predominante è “ansia”, poi “disgusto”. Così procede la lettura e inizia l’indagine, alla ricerca del perchè di queste impressioni. Tra passi indietro e ipotesi, ricostruiamo che l’ansia è data dalla claustrofobica scelta di Kafka di ambientare la storia quasi unicamente nella stanza da letto di Gregor, nella quale arriva l’eco di ciò che accade nel resto della casa; il disgusto per l’insettone è amplificato dal contrasto con l’assenza di esplicita repulsione nella trattazione, tant’è che Gregor semplicemente constata l’avvenuta trasformazione, senza orrore, paradossalmente crucciandosi solo per i minuti di ritardo al lavoro. “Perché Kafka ha scelto proprio una creatura che fa pensare a uno scarafaggio?”, più di uno si sbizzarrisce nel rispondere e di certo l’immagine di un animale sporco, “per di più religiosamente impuro” aggiungo, non è l’ultima a presentarsi.
L’incubo raccontato da Kafka risveglia i sensi degli studenti, che continuano a leggere anche spinti dalla voglia di capire le cause della metamorfosi, ma non le capiranno. Si snodano avvenimenti ai quali non è possibile dare una spiegazione logica, se non attraverso una lettura simbolica, sociologica o psicanalitica (il contatto indiretto tra Kafka e Freud apre una possibile, più o meno deragliante dal programma, digressione sulla scuola psicanalitica viennese…).
Manca la parola
Gregor e Atteone così si incontrano nella nostra aula, entrambi trasformati a livello fisico ma lucidi e consapevoli nella mente. Gregor non riesce più ad esprimersi umanamente, emette soltanto dei sibili inquietanti che non rivelano pensieri e sentimenti al resto dei familiari, ma non si dispera. Atteone invece piange, «lacrimaeque per ora non sua fluxerunt» perché conserva la sua «mens pristina». Per entrambi «verba animo desunt». “Vi succede mai di parlare e poi rendervi conto di non essere compresi?”. Qualcuno riporta che sì, certo, anche durante le interrogazioni…, e un altro si ricorda di aver provato in un incubo la stessa devastante sensazione; ecco, quello forse è l’effetto che l’autore sperava di ottenere.
La morte
Altro momento facilmente confrontabile è quello della morte. Questa sopraggiunge per entrambi i protagonisti, che però la accolgono diversamente. Atteone prova a scappare dai cani che lo inseguono, prova a ribellarsi a questo destino e ha drammaticamente paura, «vellet abesse quidem, sed adest». Tanti altri protagonisti di metamorfosi ovidiane sopravvivono al cambiamento delle proprie sembianze, Atteone invece muore, «finita per plurime vulnera vitae», nella compassione di chi legge.
Gregor non si ribella, semplicemente vuole starsene in disparte, fino a divenire apatico. Ascoltando la sorella che suona il violino, prova un’ultima emozione e per un istante dubita di essere «davvero una bestia se la musica l’afferrava come se potesse indicargli la strada per raggiungere un nutrimento ignoto e bramato». I ragazzi sono tutti con lui e afferrano l’idea della musica che riesce a risvegliare dal torpore, ma percepiscono anche la fine incombente. Il protagonista decide infatti di lasciarsi morire, «la sua convinzione di dover sparire era forse ancora più ferma di quella della sorella», per permettere alla sua famiglia di tornare alla vita normale. Qui arriva anche la rabbia degli studenti (e la soddisfazione della prof se li vede coinvolti). Allora forse è giunto il momento per riflettere se quella morte sia una condanna o una liberazione.
Giusto o non giusto
Alla fine delle letture, non posso non domandare agli studenti se Atteone e Gregor abbiano una qualche colpa per quello che accade loro. Ovidio, lo abbiamo visto all’inizio, ci lascia intendere che per il giovane cacciatore si è trattato di una fatalità aver scorto nella sua luminosa nudità Diana, sul cui volto, perciò, è comparsa «l’aurora di porpora». La vendetta della dea è stata equa? L’autore stesso si pone la domanda e ci riporta che «rumor in ambiguo est»: la dea potrà sembrare esageratamente spietata per alcuni, giusta nel proteggere il suo status per altri.
Gregor soffre per la sua metamorfosi, si vede come un parassita rispetto alla famiglia dalla quale viene logicamente emarginato. Anche in questo caso, i ragazzi non riconoscono una colpa, sono stati i familiari stessi ad essersi approfittati di Gregor, il quale ha lavorato per mantenerli economicamente (il fatto che addirittura desiderasse mandare la sorella al Conservatorio viene sempre notato).
Il giudizio degli studenti è dato, è netto. Vado oltre, attenzione permettendo: “È possibile che esista una colpa di cui l’uomo è inconsapevole ma che inesorabilmente lo logora?”. Silenzio. “Edipo era colpevole?”. Mentre alcuni fili si riallacciano, altri vengono appena intravisti: “Qualcuno di voi sa cosa sia la cabala?”. Azzardo questa domanda solo per far scorgere loro la possibilità di un’interpretazione alternativa, e l’idea che la vera realtà non appaia in evidenza, ma si nasconda dietro simboli e significati condivisi, ha comunque un grande fascino.
Altri incontri e riverberi
Naturalmente il percorso potrebbe ramificarsi in tanti approfondimenti, ma capiamo bene che in una lezione scolastica raramente è possibile farci rapire dal flusso degli spunti. Dalla biografia di Kafka con la sua Lettera al padre, che offre tanti agganci, all’immancabile, non in esclusiva per gli adolescenti, dissociazione tra quello che appare e quello che siamo, e ancora alla solitudine umana nel dramma, passando al rapporto tra uomo e caso… i confronti e le discussioni da provocare potrebbero essere davvero numerosi. Tuttavia, per me resta un momento prezioso quello in cui rintracciamo insieme evocazioni e permanenze di ciò che facciamo a scuola in ciò che vediamo fuori. Allora posso far osservare quanto spazio hanno le metamorfosi fantastiche anche in altri ambiti, come il cinema o la danza (ho spesso danzatrici nelle mie classi), e non considero tempo perso lasciar liberi i ragazzi di andare a caccia della trasformazione per loro più significativa e di presentarcela, magari utilizzando come categorie di analisi le stesse che abbiamo condiviso in classe per i testi di partenza. Si incontreranno in aula, oltre ad Atteone e Gregor, anche Hulk, Odette e molti altri, raduni strampalati quanto discutibili, ma chissà che da questi non nasca un amore per le storie, e da lì…
Citazioni testuali tratte da:
Ovidio Publio Nasone, Metamorfosi, Fondazione Lorenzo Valla – Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2007.
Franz Kafka, La metamorfosi e Nella colonia penale, Newton Compton editori s.r.l., Roma, 1991.
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