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La riforma della prima prova dell’esame di Stato /3. Tra continuità e positive innovazioni

 

 Il Documento di lavoro licenziato dalla Commissione presieduta da Luca Serianni e pubblicato dal MIUR il 4 ottobre contempera la duplice esigenza di dare corso alle prescrizioni normative (D.lgs. 62/17) e di salvaguardare la continuità con la prima prova degli ultimi vent’anni: si coglie nel testo l’apprezzabile intento di valorizzare il lavoro quotidiano dei docenti, e di risolvere, allo stesso tempo, le incongruenze che in questi anni hanno connotato in una direzione del tutto artificiosa alcune proposte di scrittura. Del resto, nel Documento è esplicitamente dichiarata la volontà di salvaguardare gli studenti dal rischio di una compilazione centonaria e acritica, connesso soprattutto con la vecchia tipologia B.

La lettura complessiva del Documento rivela alcuni riferimenti concettuali ed operativi che, credo, hanno orientato il lavoro della Commissione; i più significativi mi paiono due: la testualità e la stretta interrelazione, in ogni ambito in cui si esercita la padronanza linguistica (quindi non solo nella relazione con il testo letterario), tra competenza ricettiva e competenza produttiva.

Competenza testuale

Il primo aspetto, la testualità, viene richiamato in più luoghi del Documento, come requisito (o, più propriamente, obiettivo da perseguire) di una padronanza linguistica consolidata, che non sia limitata ai livelli formali o di superficie del testo (pur necessari), ma ne investa la strutturazione concettuale complessiva e profonda. Dominare la testualità non significa semplicemente saper individuare dei requisiti propri delle diverse tipologie discorsive: il Documento stesso puntualizza che va evitata una «astratta classificazione della tipologia testuale», nella consapevolezza che la maggior parte dei testi, soprattutto complessi, non si può ascrivere semplicemente ad una unica tipologia. Ciò che si attende alla conclusione del secondo ciclo è una capacità di lettura del testo che ne sappia riconoscere l’organizzazione interna e gli snodi strutturali in relazione allo specifico contenuto.

Ricezione e produzione

Analoga capacità di dominio della testualità non può mancare nella parte di produzione, cui lo studente è tenuto in tutte e tre le tipologie. Anche nelle tipologie A e B, infatti, nelle quali c’è una prima parte di comprensione e analisi, la seconda parte (commento interpretativo, o commento argomentativo) deve essere elaborata, «in forma discorsiva», «secondo una progressione tematica efficace e coerente», facendo ricorso a «mosse argomentative specifiche», o in forme meno vincolate ma comunque compiutamente sviluppate. Nella tipologia C la capacità di controllo della testualità dello studente si può esprimere anche attraverso una corretta paragrafazione, e l’attribuzione al testo di un titolo coerente.

Esame finale e curricolo: didattiche disciplinari, competenze, scrittura

Sono proprio questi due aspetti che indicano l’intento di legare strettamente la prima prova conclusiva con l’intero percorso scolastico quinquennale: le competenze richieste sono infatti “a lunga gittata”, non si costruiscono se non sui tempi lunghi e dunque attraverso una programmazione mirata che investe l’intero curriculo.

Mi inoltro in qualche considerazione di approfondimento, partendo dal secondo aspetto, la connessione stretta tra ricezione e produzione, in sostanza tra lettura e scrittura. Esplicitare questo significa promuovere, finalmente, una svolta che faccia chiarezza sulla didattica delle discipline e sulla questione delle competenze, ancora oggetto di polemiche e fraintendimenti, sia tra i docenti che nel dibattito pubblico. Il rinnovamento della didattica in direzione laboratoriale, che si sta affermando in molti settori disciplinari, non solo nell’area scientifica, punta ad un coinvolgimento attivo dello studente nell’apprendimento, inteso non più come semplice trasmissione intergenerazionale delle conoscenze, ma piuttosto come ricerca e rielaborazione. L’attività di scrittura in questo modello di apprendimento costituisce, a mio avviso, uno snodo formativo fondamentale, che qualifica una concezione della competenza saldamente ancorata ai saperi, anzi, sui saperi stessi fondata. Prevedere dunque, per tutti gli indirizzi di studio, una prima prova che richieda con chiarezza la costruzione di un testo inteso come organismo coerente e coeso, dotato di una precisa articolazione concettuale, rispondente agli specifici statuti disciplinari, mi pare un passo decisamente importante, soprattutto se, con altrettanta chiarezza, l’esame finale è sganciato dalle prove INVALSI (alle quali, sia detto per inciso, io non sono affatto contraria), che valutano, in modo diverso, competenze diverse.

Ho fatto intenzionalmente cenno agli statuti disciplinari, poiché il Documento raccomanda di far riferimento agli ambiti «artistico, letterario, storico, filosofico, scientifico, tecnologico, economico, sociale» (come previsto dall’art. 17 del d. lgs. 62/17). Questo passaggio non solo basta a chiudere le polemiche sull’esclusione presunta della storia dalla prima prova, ma addirittura risulta dirimente, nel contesto in cui viene eliminata la terza prova, per il recupero di un ruolo forte delle discipline nell’esame e dunque nel curriculo. Di questo si sono già resi conto i docenti più avvertiti anche di ambiti diversi da quello linguistico-letterario. E questo comporta una più esplicita corresponsabilità di tutto il consiglio di classe rispetto alle competenze di scrittura: si tratterà non solo di insistere sull’acquisizione dei linguaggi specifici, ma anche di lavorare sulle differenti modalità e procedure argomentative.

Mi si perdonerà se osservo, a margine di quanto fino ad ora scritto, che da tempo la nostra associazione disciplinare è impegnata (sia nella formazione degli insegnanti che nella sperimentazione didattica) in un processo di innovazione basato sulla complementarità dei diversi aspetti di competenza dell’italiano, che non si possono perseguire separatamente, nonché sulla necessità di un dialogo sempre più fattivo tra le discipline. Non posso non guardare con favore, quindi, a tutto ciò che incoraggia una “postura” didattica e professionale aperta alle trasversalità e all’integrazione per lo meno metadisciplinare, come insegna Morin.

Testualità, argomentazione, pensiero: un unico modello?

La riflessione sulla costruzione dell’argomentazione riconduce al primo dei due aspetti precedentemente evidenziati, cioè la testualità, nodo problematico sul quale si addensano non poche cruces nel lavoro quotidiano dei docenti. Il modello che noi abbiamo nel nostro DNA si fonda sui procedimenti argomentativi codificati dalla retorica classica, che hanno funzionato lungo l’intera nostra tradizione culturale e sono stati riattivati e rinnovati anche dalla nuova retorica di fine millennio. Oggi gli scenari che abbiamo davanti si stanno trasformando, soprattutto per la diffusione della rete, che ha mutato le modalità e i canali comunicativi, ma sta investendo anche i criteri ordinativi del pensiero, che non funziona più esclusivamente in maniera sequenziale e lineare, ma si sviluppa secondo modelli reticolari non sempre riconducibili entro le strategie argomentative classiche. Non sono apocalittica nel guardare al futuro, né ritengo che la scuola, nel timore di restare indietro, debba farsi prona verso qualsiasi cambiamento nella elaborazione e diffusione del sapere. Alla scuola, anzi, spetta anche un compito di resistenza culturale, e di costruzione dello spirito critico; dunque condivido del tutto l’insistenza sulle competenze testuali. Ma con l’avvertenza che, se scrivere significa principalmente dare espressione al pensiero, si tenga presente che non esiste un unico modo di sviluppare il pensiero, e le varianti non sono dovute soltanto ai diversi statuti delle discipline, ma anche alle trasformazioni che le menti dei nostri studenti stanno con tutta evidenza vivendo. Spetta, come sempre, all’insegnante attento, non solo sanzionare, o pretendere che il risultato del lavoro corrisponda esattamente al proprio progetto, ma anche “ascoltare” con attenzione le voci dei propri allievi. Del resto, aprirsi ad eventuali modalità impreviste di organizzare il pensiero non significa derogare al rispetto delle convenzioni linguistiche: lavorare con sistematicità, ad esempio, sui connettivi testuali, è un ottimo allenamento per educare gli studenti al dominio della propria scrittura ma anche all’esercizio metacognitivo.

Scrivere e riscrivere

C’è anche un altro elemento del Documento che trovo estremamente interessante, cioè, per la tipologia A, il ricorso a «esercizi di riscrittura del testo». Ancora nella prospettiva di una stretta interconnessione tra ricezione e produzione, la riscrittura del testo non solo è un momento di verifica della comprensione, ma è luogo anche di metacognizione, assai formativa e non fungibile. Riscrivere, magari cambiando modalità discorsive, cambiando punto di vista o contesto, adottando le strutture concettuali del testo di partenza ma applicate a diversi temi: tutto questo è un formidabile esercizio di apprendimento e di affinamento della padronanza linguistica. Il prof. Serianni ha suggerito in più occasioni di fare ricorso a testi ben costruiti (editoriali di qualità, articoli di analisi geopolitica, ecc.) da proporre come “modelli” per imparare a costruire un edificio testuale dall’architettura solida e coerente. Estenderei il suggerimento anche al testo letterario, attraverso il quale si possono raffinare, ad esempio, le strategie narrative, ma anche l’espressione dei sentimenti e delle emozioni, nonché le riflessioni su problemi esistenziali, sociali, politici.

Che cosa ci aspetta? Dal Documento di lavoro all’esame

In sintesi mi sento di dire che il Documento offre ai docenti un terreno ricco di spunti sui quali lavorare e sperimentare, non solo in vista dell’esame di Stato, ma anche della revisione del curriculo. Esprimo, tuttavia, anche alcune preoccupazioni. Diversamente dall’esame conclusivo del Primo ciclo, per il quale il Documento redatto dalla medesima Commissione offriva indicazioni ed esempi direttamente ai docenti chiamati a elaborare le prove, in questo caso la preparazione delle tracce è affidata ad una Commissione tecnica ministeriale. Dunque è inevitabile che ci chiediamo quale uso la Commissione farà di questo Documento e come esso verrà interpretato. Il quesito desta non poca preoccupazione tra i docenti, che, nel condividere la riflessione, auspicano anche che il MIUR fornisca degli esempi nei prossimi mesi, magari accogliendo poi le osservazioni che i docenti stessi, le Associazioni disciplinari, nonché, in primo luogo, gli esperti che hanno fatto parte del gruppo di lavoro, vorranno esprimere. È necessario insomma che si realizzi una saldatura, o, per lo meno, un’apertura di dialogo, tra chi si occupa di didattica e la pratica quotidianamente, e gli apparati tecnici del MIUR. Se ciò non accadesse, si perderebbe una preziosa occasione di ascolto delle istanze che provengono dalla scuola reale intorno ai cambiamenti normativi che stanno profondamente trasformando gli esami conclusivi.

Ultima notazione, non di poco conto, riguarda la valutazione. Nel Documento vengono date indicazioni molto puntuali, sia generali sia relative alle tre tipologie di prove. Corre voce che dal MIUR arriveranno, insieme alle prove, anche delle griglie. La mia raccomandazione (condivisa, credo, da molti colleghi) è che anche queste arrivino nelle scuole prima degli esami. E, soprattutto, che chi le compilerà (auspicabilmente la medesima Commissione che redigerà le tracce) tenga ben presenti le diverse finalità della valutazione formativa in itinere, e di una valutazione a conclusione del percorso. Sarebbe utile che una più articolata cultura della valutazione si affermasse nella scuola. Per raggiungere tale obiettivo è necessario che i due momenti siano ben distinti e, soprattutto, che si elaborino, per il lavoro curriculare, degli strumenti di valutazione (anche griglie, o rubriche) realmente efficaci per l’autovalutazione, che conducano cioè lo studente ad una comprensione dell’errore, dalla quale possa muovere un processo formativo virtuoso. Una diversa ratio deve presiedere alla valutazione in sede d’esame.

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