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diretto da Romano Luperini

stefano valenti

Narratori d’oggi. Intervista a Stefano Valenti

A cura di Morena Marsilio

1. Sui generi letterari

Negli ultimi vent’anni la narrativa italiana sembra essere stata egemonizzata da due generi dallo statuto ibrido, la non fiction e l’autofiction. Il primo sembra porre al centro del racconto, seppur con diversi “effetti di narratività”, la ricostruzione di fatti di cronaca, l’attraversamento in chiave saggistico-riflessiva di temi legati all’attualità, il diario di viaggio, la rielaborazione di un’inchiesta; il secondo, invece, è la risultante dell’operazione in parte mistificante da parte di un “trickster” (Siti), ossia di un io-narrante che mescida liberamente fatti realmente accadutigli e fatti inventati.

Come si pone rispetto all’uno e all’altro genere? Li sente consoni al suo modo di rappresentazione del mondo?

I generi hanno valore in funzione della critica portata all’ideologia dominante. Dunque non fiction e autofiction rappresentano per me, come qualunque altra forma di narrazione, strumenti da utilizzare in funzione del risultato. Ho utilizzato entrambi i generi nel mio primo romanzo, La fabbrica del panico, mentre nel secondo, Rosso nella notte bianca, ho fatto uso della più comune fiction per quanto contaminata. Il mio approccio al testo è in ogni caso  caratterizzato da un metodo unico, la ricerca documentaria e testuale che definisce il mio approccio alla rappresentazione del mondo. La documentazione dapprima e l’attivismo culturale poi sono parte integrante del progetto.

2. Sulla finzione

Non è tuttavia venuta meno la scrittura di romanzi e di racconti “tout court” in cui nel trattamento del tempo, nella costruzione dei personaggi e nel patto con il lettore agisce quella “sospensione dell’incredulità” che già due secoli or sono Coleridge aveva indicato come tratto distintivo dell’opera finzionale. Qual è la sua posizione in proposito? Crede che la finzione sia ormai colonizzata dall’intrattenimento o che mantenga viceversa un proprio potere di rivelazione e di verità?

La finzione è naturalmente contaminata, colonizzata, come tutte le forme del racconto, dall’ideologia dominante, la cui forma tangibile è appunto l’intrattenimento. E tuttavia la finzione mantiene un potere da utilizzare a buon fine per scardinare il racconto consumistico. Credo nel potere di rivelazione e verità della finzione, credo che il suo potere taumaturgico non sia ancora esaurito.

3. Passato e presente

Gli autori contemporanei tendono ad avere un forte legame con forme di espressione extraletteraria e non necessariamente italocentrica: i frequenti riferimenti vanno alla musica, ai fumetti, al cinema, alla fotografia oltre che alla letteratura straniera, specie nordamericana. Quali sono i suoi modelli prevalenti, letterari e non? Ritiene che la condizione visiva e multimediale dell’immaginario abbia interrotto l’eredità dei padri e la duplice tradizione del realismo e del modernismo?

È certo che la condizione visiva e multimediale dell’immaginario ha interrotto l’eredità dei padri e la duplice tradizione del realismo e del modernismo. E tuttavia, come altre interruzioni, anche questa rappresenta una fase del percorso narrativo. Evidenti indicazioni di una ripresa di questo percorso sono all’ordine del giorno.

La mia narrativa si nutre della grande tradizione italiana del racconto civile che nasce con Verga e arriva a noi attraverso il neorealismo e la letteratura industriale. Non amo in modo particolare la narrativa nordamericana né in generale quella di ascendenza britannica, tranne eccezioni preferisco cercare riferimenti nella narrativa europea continentale, quella alpina in particolare, la narrativa dell’Austria, della Confederazione Elvetica, ma anche quella delle aree prealpine del Nord Italia, la narrativa del Veneto, della Lombardia e del Piemonte, da Agota kristof e Peter Handke a Ottiero Ottieri e Ferdinando Camon e Nuto Revelli.

 4. “Scritture di resistenza”

Più di un critico parla, a proposito della postura di molti scrittori contemporanei, di una ‘partecipazione civile’ e di una ‘responsabilità’ che, seppure con sfumature difformi, lo porta a «prendere la parola sul presente» (Donnarumma). Ritiene anche lei che la narrativa italiana degli ultimi vent’anni si ponga come una forma di «scrittura di resistenza», come uno dei pochi modi possibili rimasti all’intellettuale per realizzare una «sfida  politica» che consiste non nella restituzione testimoniale dei fatti ma «nell’apertura di uno spazio altro, che sposta lo sguardo e complica le cose» (Boscolo-Jossa)?

Definisco la mia la mia opera narrativa “civile” e al servizio di una politica testuale di resistenza, parte di un realismo affettivo, di protesta e di cambiamento. Una narrativa veicolo di conoscenza e riconoscimento intrecciata ai meccanismi della postmemoria, che favorisca la contaminazione dell’atto narrativo con quello dell’attivismo culturale. E constato che questo modo di vedere le cose ha cominciato a prendere piede.

5. Sullo stile e la ricerca linguistica

Studiosi della lingua come Giuseppe Antonelli o Maurizio Dardano parlano, a proposito della mancanza di  stile diffusa nella narrativa più recente, di “traduttese” o di “stili provvisori”. Eccezion fatta per quella narrativa di consumo poco incline a una ricerca espressiva di qualità, a noi sembra invece che sia in corso un’inversione di tendenza rispetto a questa visione piuttosto riduttiva. Quale ruolo attribuisce all’aspetto stilistico del suo lavoro? Quali sono gli elementi preponderanti su cui fonda la sua espressione linguistica (sperimentazione e/o pastiche linguistico, uso insistito di artifici retorici, mimesi del parlato o, al contrario, lo “stile semplice” di cui ha parlato Testa)?

Sono refrattario all’artificio retorico e narrativo postmoderno, una forma del kitsch ormai del tutto inadatta a raccontare la complessità del presente a appiattita su formule narrative estetizzanti, sulla ricerca della trasgressione gergale. La narrativa  di questi anni ha ricominciato a trovare dignità di forme oltre che di contenuti nel solco della migliore tradizione italiana, quella della semplicità.

6. Sui temi

Nei romanzi scritti a partire dagli anni Zero anni pare possibile individuare un nucleo di tematiche ad ampio spettro antropologico e al contempo fortemente radicate nella condizione presente. La sua sensibilità di narratore quali temi le fa sentire particolarmente vicini al suo modo di rappresentazione della realtà?

La storia d’Italia è un tema centrale nel mio racconto, così come le disuguaglianze sociali e il malessere psichico che queste determinano. E il racconto della nuova lotta di classe in epoca neoliberista, grande e imprescindibile tema nel quale convogliano inevitabilmente tutte le istanze narrative del presente, il ritorno dell’indicibile e l’assordante silenzio con cui è accolto da un sistema culturale asservito al dogma del capitale.

7. Sullo storytelling

Negli ultimi decenni la narrazione è stata “esportata” massicciamente, dando luogo a uno storytelling diffuso. Ogni “discorso” viene narrativizzato, dalla politica al marketing, per approdare alle «convergenze» che Ceserani ha segnalato tra le molte discipline, anche di area scientifica e tecnica, e la letteratura, capace di “prestare” loro potenti strumenti espressivi. Ritiene che questo sconfinamento della narratività sancisca un suo punto di forza o che, viceversa, ne riveli la crescente debolezza in un mondo sempre più assediato dall’immaginario?

Ritengo certamente lo sconfinamento una conferma di forza, a patto di tenere ferma l’importanza degli schieramenti: da un lato narratori del potere con strumenti conferiti loro dalle dinamiche del potere stesso e dall’altro, ben saldi, gli autori che a quel potere sono per costituzione di classe avversi, consapevoli dell’importanza del loro ruolo e della necessità politica oltre che etica di difenderlo.

8. Lettori in formazione

Nonostante la diffusa disaffezione delle giovani generazioni per la pratica della lettura, la scuola resta un importante baluardo per cercare di innescare un circolo virtuoso tra giovani e lettura, soprattutto facendo leva su quello spazio, insieme periferico e centrale, di libertà costituito dalle letture personali assegnate nel corso dell’anno scolastico. È in questo ambito, inoltre, che, accanto ai classici, si potrebbe utilmente mettere in contatto i ragazzi con la narrativa dell’estremo contemporaneo. Potrebbe indicare tre romanzi o raccolte di racconti italiani o stranieri degli ultimi vent’anni, a suo parere irrinunciabili, che proporrebbe in  lettura ad adolescenti tra i 16 e i 18 anni?

Numerosi e tuttavia ne cito tre presenti nei laboratori da me tenuti: Andrea Bajani, Un bene al mondo, Einaudi, Cormac McCarthy, La strada, Einaudi, Agota Kristof, Trilogia della citta di K, Einaudi.

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