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Un maestro che parlava con le maestre

 Da quando il 5 gennaio è morto Tullio De Mauro molto è stato scritto sul significato che la sua persona ha avuto per la storia linguistica e culturale del nostro paese. Sarebbe qui ridonante elencare ancora una volta i suoi testi che hanno permesso una svolta nel modo di studiare le discipline linguistiche, in particolare la semantica, la storia della lingua italiana, la lessicografia. Tutti i ricordi, più o meno personali, che ne sono stati tracciati convergono nel tratteggiare la figura di uno studioso mai autoreferenziale e poco “accademico”, sebbene al mondo accademico, anche quello palermitano, ha lasciato una scuola –accademicamente intesa – e un nutrito gruppo di allievi che ne possono ben seguire le orme grazie al suo insegnamento.

Forse i suoi inizi all’Università, con professori poco inclini a capire opere innovative come la sua Storia linguistica dell’Italia unita, hanno in qualche modo condizionato il suo modo di essere professore. Benché nelle nuove generazioni di linguisti, che hanno avuto l’onore e il piacere di incontrarlo e di ascoltarlo, incuteva anche per il suo fare ironico un rispetto reverenziale – quello che si prova quando i libri che costituiscono le pietre miliari della propria formazione hanno anche un volto e una voce – il suo modo di rivolgersi anche ai colleghi più giovani e ai giovani in formazione era sempre connotato da una autentica volontà di comunicare in modo piano e senza autocompiacimenti. Era capace, infatti, di instaurare con gli interlocutori un dialogo maieutico, fondato sulla consapevolezza di quanto il ruolo di chi insegna sia fondamentale per la formazione dei cittadini di oggi e di domani, al pari di quanto lo sia rendere i parlanti reali padroni della loro lingua.

Una lingua che non può essere studiata nelle sue strutture senza tener conto dei parlanti e senza tener conto delle varietà e di quel plurilinguismo che arricchisce il repertorio individuale e comunitario.

Ecco perché, in sintonia con Don Milani, che aveva conosciuto alla metà degli anni Sessanta, De Mauro ha avuto sempre un’attenzione particolare per il mondo della scuola di ogni ordine e grado, ma soprattutto per la primaria, la scuola che è il luogo privilegiato in cui si dà inizio a quella alfabetizzazione senza la quale non vi è democrazia. E come dimostrano le sperimentazioni condotte a Scandicci dal 1978 sino ad oggi, proprio alla scuola primaria, e anche a quella dell’infanzia, ha rivolto sempre la sua attenzione con la partecipazione a programmi di educazione linguistica e di alfabetizzazione. Un filo rosso che ha intrecciato a tanti altri settori di ricerca ma che è rimasto sempre centrale proprio perché al valore della scuola ha sempre profondamente creduto (cfr. T. De Mauro – D. Ianes, a cura di, Giorni di scuola. Pagine di diario di chi ci crede ancora, Erickosn, 2011).

Un maestro che parlava con le maestre, perché proprio a loro si deve la trasmissione di quel lessico di base necessario per comunicare e di quel nucleo di grammatica esplicita che rende consapevole la grammaticalità innata nei parlanti. Parlava con le maestre, depositarie del compito più delicato, non con la supponenza di chi dall’alto di una cattedra ha qualcosa da insegnare, non per consegnare lezioni pedagogiche, ma con l’attenzione, l’impegno e la passione di un collega che condivide l’interesse comune per la formazione dei nuovi cittadini. Proprio a questa sua cura per la scuola – così intesa -si deve nel 1973 la costituzione del GISCEL (Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell’Educazione Linguistica) “intellettuale collettivo” che si propone di unire studiosi, ricercatori di linguistica e insegnanti di tutti gli ordini di scuola accomunati dall’interesse per lo studio ma al tempo stesso per l’intervento, per il risvolto che lo studio può avere nella concreta prassi didattica.

A lui si deve la stesura de Le Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica (1975), manifesto programmatico del Giscel, la cui attualità pur a quarant’anni di distanza è sorprendente. Questo documento, riletto oggi, può ben rappresentare in qualche modo il suo testamento spirituale per la scuola: una scuola a cui si riconosce l’alto valore nella formazione civile degli individui attraverso il possesso per tutti di una lingua, quella lingua che come affermava Don Milani «rende uguali», nello sviluppo delle capacità linguistiche nel loro insieme. Soltanto in questi termini, come recita la quarta tesi:

la pedagogia linguistica efficace è democratica (le due cose non sono necessariamente coincidenti) se e solo se accoglie e realizza i principi linguistici esposti in testi come, ad esempio, l’articolo 3 della Costituzione italiana, che riconosce l’eguaglianza di tutti i cittadini «senza distinzioni di lingua» e propone tale eguaglianza, rimuovendo gli ostacoli che vi si frappongono, come traguardo dell’azione della «Repubblica».

E ancora, letta in questa prospettiva, la nona tesi si pone un auspicio sulla formazione degli insegnanti, in funzione del delicato compito a cui sono chiamati, che sembra riassumere anche il senso profondo di quel dialogo tra scuola e università che De Mauro ha saputo ben incarnare sia da professore che da Ministro della Pubblica Istruzione:

Non c’è dubbio che seguire i principi dell’educazione linguistica democratica comporta un salto di qualità e quantità in fatto di conoscenze sul linguaggio e sull’educazione. In una prospettiva futura e ottimale che preveda la formazione di insegnanti attraverso un curriculum universitario e postuniversitario adeguato alle esigenze di una società democratica, nel bagaglio dei futuri docenti dovranno entrare competenze finora considerate riservate agli specialisti e staccate l’una dall’altra. Si tratterà allora di integrare nella loro complessiva formazione competenze sul linguaggio e le lingue (di ordine teorico, sociologico, psicologico e storico) e competenze sui processi educativi e le tecniche didattiche. L’obiettivo ultimo, per questa parte, è quello di dare agli insegnanti una consapevolezza critica e creativa delle esigenze che la vita scolastica pone e degli strumenti con cui a esse rispondere.

Al di là del patrimonio di conoscenze linguistiche che attraverso i suoi scritti De Mauro ha dato a chi a vario titolo si occupa di lingua ed educazione linguistica, questa «consapevolezza critica e creativa» è il testamento che il maestro De Mauro lascia non solo a chi opera tra i banchi di scuola ma anche a chi insegna nelle aule delle università, accomunati i primi e i secondi dall’avere tra le mani il delicato compito di crescere cittadini di una società democratica.

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