Cliffhanger cammina con me: utilizzo e evoluzione nelle serie tv da Twin Peaks a Game of Thrones
Il cliffhanger è una tecnica scrittoria utilizzata dalla letteratura al cinema che consiste nel bloccare la trama abbastanza bruscamente in un momento saliente. L’utilizzo maggiore però è riscontrato in campo televisivo: essere lasciati sospesi, come letteralmente andrebbe tradotto il termine, è una sensazione che gli appassionati di serie tv conoscono molto bene. Infatti spesso la fine di un episodio o di una stagione è interrotta nel mezzo di un evento drammatico, creando una forte suspence. Il pubblico attende così con ansia una settimana se non un anno (nel caso della nuova stagione) per vedere il continuo della storia. Nella sua variegata tipologia, l’utilizzo più classico permette, quindi, di collegare una sequenza all’altra: un esempio riuscito è 24, in cui per creare continuità temporale (visto che la serie si svolge nell’arco di ventiquattro ore, senza interruzioni) ogni episodio si conclude con un cliffhanger, per poi riprendere la sequenza narrativa l’episodio dopo.
Il cliffhanger, perciò, è un elemento cardine della serialità televisiva e ha due funzioni principali: una commerciale, come ad esempio saper attirare lo spettatore (la tecnica può essere presente anche prima di una pausa pubblicitaria) e quella di contribuire a una prospettiva orizzontale della storia. Eppure la serialità televisiva senza cliffhanger, non è impossibile: le serie poliziesche, si pensi a Law and Order, le antologiche e in parte le sitcom hanno strutture episodiche del tutto verticali, che non necessitano nessun tipo di cliffhanger.
Il confine tra le due funzioni, quella commerciale e narrativa, è spesso labile anche quando il cliffhanger è presente nel finale di serie. Il caso di Twin Peaks è esemplare: la serie, madre di tutte le serie moderne, infatti, si conclude con uno dei cliffhanger più famosi. Era il 1991 e adesso da quel finale aperto (e quasi traumatico) se ne ricava una nuova stagione. A motivare il revival, oltre alla capacità di David Lynch di riuscire a parodiare le tecniche mainstream di genere, costante di Twin Peaks, inserendosi nella nuova tendenza del revival-reboot, c’è un particolare contenuto nell’ultima puntata. Infatti i venticinque anni che separano la seconda stagione dalla terza non sono casuali, come sanno i cultori della serie, ma si dovrebbero riferire a una frase della protagonista Laura Palmer: «I’ll see you again in twenty-five years». Tuttavia, volendo dare un’interpretazione più prosastica, la terza stagione di Twin Peaks nasce più da esigenze di share e dalla capacità del regista di essere riuscito a capire le tecniche seriali prima degli altri.
Perciò, quando abbiamo un cliffhanger niente si può dire concluso per sempre. Negli ultimi mesi lo stesso procedimento è stato usato dalla Sherman-Palladino, creatrice di Gilmore Gilrs. L’ottava stagione, che già è un revival prodotto da Netflix, si conclude con un cliffhanger inaspettato (soprannominato «final 4 words») che apre lo scenario, per quanto scongiurato dall’autrice, di una prossima nona stagione. Il ciclo della vita è eterno, ha motivato la sceneggiatrice, perciò le storie dei suoi personaggi non potevano che trovare un finale aperto e lanciato verso il futuro, senza che questo presupponga un ennesimo ritorno (noi non crediamo che Netflix sia dello stesso parere).
Il cliffhanger nella serialità ciclica
Come si può vedere gli esempi citati si riferiscono a una tipologia particolare di cliffhanger: il finale di stagione, probabilmente quello più importante per l’economia di una serie tv. Da questo punto di vista il cliffhanger ha subito una variazione negli ultimi anni, passando da semplice effetto di sceneggiatura per attrarre gli spettatori verso la nuova stagione, che risponde perciò più a strategie di marketing che a vere esigenze narrative, a tassello portante nell’evoluzione della trama.
Se in Desperate housewives, ma anche Dottor House, 24, il cliffhanger di fine stagione porta a piccoli cambiamenti della trama, il risultato a conti fatti non cambia: l’anno dopo ritroviamo la stessa struttura narrativa, stessi personaggi (escluse eventuali vittime) e stesse ambientazioni. Allo spettatore, come nelle Mille e una notte, per completare il ciclo narrativo è indispensabile solo la visione di qualche puntata della stagione successiva, ma in poco tempo ritrova la stesso amato format. Questo è tipico delle serie in cui ad ogni stagione corrisponde una storia indipendente dalle altre, molto comune a partire dagli anni duemila, ma di cui non mancano esempi anche di recente (The Knick).
Il cliffhanger nella serialità orizzontale e la legge della penultima in Game of Thrones
Negli ultimi anni il cliffhanger viene utilizzato come vero e proprio colpo di spugna o risoluzione dei nodi narrativi, capace di condensare in pochi minuti un evento eclatante. Game of Thrones, targata HBO, che gioca parte della sua popolarità sugli sconvolgenti finali (tanto da aver lanciato la particolare moda degli spettatori che riprendono le loro reazioni) non poteva sottrarsi a un uso sistematico di cliffhanger, condensando quelli più importanti nelle ultime puntate. In serie come Game of Thrones, il cliffhanger di fine stagione non ha solo lo scopo di trasportare lo spettatore verso una nuova stagione con suspence e fluidità, ma modifica radicalmente la trama. La serie perciò, pur nel rispetto delle procedure seriali, acquista uno sviluppo orizzontale essendo costituita da un’unica storia e non da tante diverse di stagione in stagione.
La tecnica del cliffhanger in Game of Thrones subisce inoltre un’ulteriore modifica, capace di assecondare il ritmo narrativo. Nelle prime tre stagioni, tutte di dieci episodi, abbiamo un duplice finale con due rispettivi cliffhanger. La particolarità è che il vero colpo di scena viene spostato dall’ultima puntata alla penultima. Nella nona puntata insomma si conclude il vero tema portante della stagione, mentre nel decimo episodio viene ripresa la coralità della serie con un cliffhanger più breve e meno eclatante. Nella quinta stagione la situazione cambia. Nel finale di stagione, proprio nell’ultimo minuto della decima puntata, abbiamo il più classico dei cliffhanger: lasciamo un personaggio, Jon Snow, tra la vita e la morte. Il ritmo della narrazione, arrivati oltre la metà della serie, conosce un acceleramento che non permette più di condensare l’acme della tensione nella penultima puntata, ma presuppone un unico flusso che si stoppa nell’ultima puntata. Infatti la sesta stagione inizia nello stesso momento in cui l’avevamo lasciata un anno prima, con il protagonista pugnalato a terra.
L’autorialità nelle serie tv
Come scritto in precedenza la distinzione tra il cliffhanger “finto”, che non porta a cambiamenti strutturali nella trama, e quello “vero” si ricollega a due diverse tipologie di intendere e costruire la serialità. Un tempo c’erano gli episodi, poi vennero le stagioni, ora ci sono le serie orizzontali, in cui dall’inizio alla fine viene raccontata un’unica storia. Legate soprattutto all’ente HBO, sono arrivate serie come The Sopranos, The Wire, e in seguito Breaking bad dell’AMC, che hanno trainato la tendenza a dare maggiore spazio alla trama orizzontale. Questo focalizza l’attenzione nella strutturazione della trama e non sul format degli episodi: così serie nate con idee anche buone e originali, se non hanno uno sviluppo accattivante vengono cancellate nel giro di breve tempo. Di conseguenza l’autorialità delle serie tv finisce nelle mani dello sceneggiatore/creatore: è il suo nome ad essere associato ad una serie tv, gettando nell’ombra i registi. Una situazione abbastanza differente rispetto al cinema. Un segnale particolarmente rilevante fu lo sciopero degli sceneggiatori tra il 2007-2008, che consci del loro ruolo fondamentale richiesero un aumento dei compensi. Durato cinque mesi, lo sciopero portò alla sospensione di decine di serie tv e alla riduzione drastica degli episodi. Questo non significa che le serie siano girate male né che non esistano serie a forte autorialità registica (si veda The Knick e True detective girate da un unico regista), ma che la cura della sceneggiatura è una faccenda prioritaria quando si tratta di serie tv. Perciò i personaggi memorabili, i colpi di scena, la suspence e quindi i cliffhanger diventano fondamentali, lasciando lo spettatore in trepidante attesa del prossimo episodio e della prossima stagione.
Un’ultima riflessione andrebbe fatta per il cinema. Anche il grande schermo sta introiettando sempre più i principi della serialità. Per rimanere in tema di cliffhanger l’universo Marvel, che fa capo alla Disney, è riuscito a tenere gli spettatori in sala letteralmente fino alla fine: a collegare ogni film all’altro c’è una specie tutta speciale di cliffhanger, uno spezzone dopo i titoli di coda che presenta il villain del prossimo film o nuovi personaggi.
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