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diretto da Romano Luperini

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Un alfabetiere per la gemella

  Scrivi tutto l’alfabeto con cura, come costruissi una capanna dove rifugiarti.[…] Dentro le lettere c’è in potenza tutto ciò che vedi nella stanza, devi fare una scelta, ogni cosa entro il limite del foglio bianco, basta appoggiare la punta della penna e incominciare, in principio lenta, impacciata, poi sciolta, quasi automatica, presa da te stessa nell’ingranaggio. (G. Falco, La gemella H, Torino, Einaudi, 2014, p.59-60).

Ragioni per un alfabetiere

A più di due anni dalla pubblicazione de La gemella H (2014) e alla luce del dilagare in Occidente di forme di populismo che cercano di intercettare l’accresciuto scontento della classe media, può essere interessante una rilettura del romanzo con cui Giorgio Falco ha rappresentato la connivenza della piccola borghesia con la dittatura di Hitler, resa omologa, nell’opera, alla lenta ma inarrestabile espansione del mito della merce e dei consumi.

Ne La gemella H si racconta l’epopea di un «un nazista piccolo piccolo dal Terzo Reich a Rimini» (R. Saviano): si tratta di una saga familiare sui generis perché la vita del clan si configura ben presto come una “tana esistenziale” che permette al padre Hans, esponente della zona grigia di leviana memoria, di riciclare la sua identità sulla riviera romagnola del boom, celando le  responsabilità con il passato regime. Il romanzo, caratterizzato sia da una narrazione digressiva che rompe la linearità temporale della vicenda sia da una pluralità di voci e punti di vista, è percorribile per lemmi-chiave o per dettagli esemplari, volti a far emergere la rete di figure, temi e motivi soggiacenti. In tal modo il libro di Falco può essere riletto secondo il principio che anima l’ idea di scrittura di questo autore: «la letteratura dovrebbe  dislocare, slogare la prospettiva, creare vertigine, mostrare ciò che non si era visto prima».

Inoltre l’alfabetiere è un omaggio a Hilde, la gemella vigile, lucida, consapevole: la voce “vertiginosa” di questa storia.

 

AUTOMOBILI

Le automobili che fanno la loro comparsa ne La gemella H e che apparterranno alla famiglia Hinner rispondono a un bisogno di distinzione sociale: sono dapprima una Opel Olympia che, per quanto modesta, segna nella Bockburg degli anni Trenta, il paesino bavarese dove la vicenda prende avvio, uno scarto sociale tra Hans e i suoi concittadini.

All’utilitaria presto l’uomo affianca la prestigiosa Mercedes Benz 500 K Autobahnkurier, frutto di una grave speculazione perpetrata ai danni di una coppia di ebrei, i Kaumann, suoi vicini di casa. Giunto in Italia, sarà a bordo di un Maggiolino Volkswagen che Hans intraprenderà la sua “rinascita” nella riviera romagnola:

Hans Hinner parte da Milano con la sua nuova auto, il Maggiolino acquistato in una concessionaria milanese. Auto tedesca e targa italiana: combinazione perfetta. Ricorda la prima volta, il pieno di benzina alla Opel Olympia targata Monaco, la corsa in autostrada, Hilde appoggiata con l’orecchio al sedile posteriore, per captare le minuzie dei grani d’asfalto. (G. Falco, La gemella H, cit., p. 189)

Il romanzo di Falco attesta, dunque, come fin dalla sua comparsa l’auto diventi, da oggetto funzionale, bene simbolico, status symbol dotato di quel sex appeal dell’inorganico (M. Perniola) che Walter Benjamin aveva già colto nei Passages parigini.

CINEMA

La citazione posta in esergo al romanzo – «Vuoi vedere che ci compriamo pure il salotto?» – tratta dal film Grandi magazzini (1939) del regista Mario Camerini, è esemplare per la raffigurazione degli albori del commercio su ampia scala. Quest’ultimo trova il suo sviluppo, ne La gemella H, nelle pagine dedicate all’apertura della Rinascente a Milano, dove Hilde lavorerà per qualche tempo come commessa, alla ricerca di una sua autonomia dalla famiglia. Una breve sequenza del  film (https://www.youtube.com/watch?v=gWlCGPoAAXw) mostra rilevanti consonanze tematiche con il romanzo relative a quella vertigine dei consumi fondativa della narrazione di Falco.

CUOCO

Il tema del cibo e della cucina, come luogo di trasformazione di alimenti in pietanze destinate a  una clientela da fidelizzare, fa la sua comparsa nel romanzo con Franco Bergamaschi, futuro marito di Helga.

Alla perizia culinaria di questo giovane uomo, Falco dedica parecchie pagine interpretabili secondo un duplice ordine. Se a livello narrativo ritraggono a tutto tondo l’unico personaggio che riuscirà a modificare i rapporti di forza nella famiglia Hinner, a livello antropologico e sociologico incarna quel vettore d’interesse che conduce Falco a scandagliare l’esordio del turismo balneare e, in particolare, nell’americanizzazione alimentare. In questo specifico contesto, Franco presenta due volti: è, al contempo, il cuoco–artigiano il cui obiettivo è il “lavoro ben fatto” e il futuro cuoco-imprenditore, il self-made man che fa dei suoi manicaretti l’esca destinata a una clientela fedele: «Offrire cibo è una forma di potere, un vincolo» (p. 269).

Il cuoco-artigiano dà il meglio di sé nelle pagine in cui è instancabilmente all’opera come dipendente nel retrobottega della rosticceria del signor Gino; lì può lavorare anche per dieci-dodici ore al giorno, tra l’ammirazione e l’invidia dei colleghi. Falco ne descrive le azioni con precisione fotografica:

Se la sera Franco prepara l’insalata di nervetti – operazione da lui definita mi porto avanti coi nervetti – li toglie dal frigorifero, dove le parti del vitello riposano insieme agli avanzi del giorno precedente, insalata di riso, roast beef, lasagne. Spezzetta i nervetti e condisce con olio, sale pepe, aceto, una cipolla a fettine, sedano, peperoni rossi, e per creare l’effetto bandiera tricolore aggiunge prezzemolo tritato e, infine, qualche fagiolo intorno, a guarnizione. Sistema l’insalata di riso accanto all’insalata russa. Ogni giorno deve occuparsi di un’ottantina di polli. […] Alle dieci di sera, dopo quasi tredici ore di lavoro, Franco mette il primo pollo steso sul tavolo, le zampe in aria, lavora la pelle in superficie, la solleva, infila le dita tra la pelle e il coltello, affonda in orizzontale, estrae lo stomaco, il fegato, deve utilizzarlo per un’altra ricetta, non vuole rompere la bile, sciacquare a lungo è tutto tempo perso. (G. Falco, La gemella H, cit., pp. 235-236)

Quella del cuoco di Abbiategrasso è, insomma, la parabola esemplare di un individuo che incarna il segreto della mutazione italiana:

Carne, pesce, nessun problema, possiamo fare tutto, dipende dai desideri dei clienti, i desideri li creiamo noi. Voi avete aperto un albergo delizioso, dovete capire che un ristorante modesto non aggiunge nulla all’hotel, anzi, rischia di appannarlo. Invece, se mi darete fiducia, la mia idea è un ristorante bomboniera. (G. Falco, La gemella H, cit., p. 259)

Queste le parole con cui il giovane si presenta al colloquio con Hans Hinner che lo assumerà come cuoco dell’hotel e che, in seguito, lo accoglierà come genero.

ESEQUIE

Nel corso del romanzo assistiamo alle esequie di vari personaggi (la madre Maria, la gemella Hilde, l’amante di questa, Francesco Castelli), mentre il funerale di Hans Hinner, capostipite e perno della famiglia, subisce una rimozione. Dopo la sua morte, avvenuta in un tranquillo pomeriggio di fine estate, invece di rivolgersi a una ditta di onoranze funebri le gemelle ne caricano la salma sul sedile anteriore della loro Volkswagen perché Helga lo porti a Merano: è come se volessero fare sparire nel silenzio il responsabile di una colpa antica, di un crimine innominabile. Finché guida, la donna prende la parola – unica occasione in tutto il romanzo – e, rivolgendosi all’inusuale compagno di viaggio, rivendica finalmente le sue ragioni di figlia che, al contrario della sorella Hilde, ha scelto in silenzioso accordo con il padre la strada della rimozione del passato in nome di un’esistenza “normale”:

Hilde avrebbe voluto farti vivere con il senso di colpa per essere scampato a tutto. Io ho vissuto al tuo fianco un’esistenza normale, in albergo, con un marito, ti ho dato anche l’erede, la speranza del futuro, ho creduto nella vita. (G. Falco, La gemella H, cit., p. 343).

FOTOGRAFIE

Hilde scatta numerose istantanee ai clienti in partenza; la donna cerca in tal modo di fissare «l’esattezza del mondo», la smorfia che rivela il senso, il tratto caratteristico di una vita:

Deve stancarli con gentilezza, guidarli dove vuole, verso un logorio rigenerante, lì accade l’esattezza del mondo, al terzo, a volte al quarto scatto, quando il sorriso turistico muore e resta un accenno, la costruzione di una smorfia, della propria vita, tanto che, quando le persone guardano le fotografie di Hilde, ripetono: noi non siamo così. (G. Falco, La gemella H, cit.,pp. 295-296)

Sono foto nelle quali difficilmente i clienti si riconoscono, ma con queste Hilde  cerca di carpire la personalità autentica di coloro che soggiornano all’hotel Sand: la clientela è, infatti, in gran parte tedesca e la domanda taciuta cui la donna cerca di rispondere è relativa alla possibile connivenza di questi pacifici turisti con il nazismo.

Nel romanzo di Falco esse sono, inoltre, il barlume di quell’istanza fotografica che guida la poetica di questo scrittore: «ogni buona fotografia è uno strappo, la lacerazione di ciò che ancora non si vede, stupore sommesso dello sguardo», ha scritto a proposito delle immagini di Diane Arbus.

GIORNALE

Hilde non rinuncia mai alla lettura del giornale e durante questo suo “rito” quotidiano appunta metodicamente su quaderni dalla copertina arancione l’addomesticamento del Passato in cui si imbatte:

I giornali celebrano gli anniversari della guerra per farla scomparire nella memoria affollata da decine di altre commemorazioni alternate a curiosità belliche e inezie quotidiane: rievocazioni del processo di Norimberga scritte come i dialoghi di un romanzo poliziesco […], gerarchi trasformati in rappresentanti di commercio; rivelazioni improvvise del cameriere o dell’autista di Hitler, tutti pronti svelare lo scoop, il segreto banale che dovrebbe spiegare la Storia (G. Falco, La gemella H, cit., p. 273).

Come ai tempi del giornale di provincia diretto dal padre Hans, Mutter, la carta stampata offre al lettore una verità confezionata,volta a alimentare stereotipi e ad addormentare le coscienze.

HITLER

Martellanti, ritmiche, veloci, sintatticamente scarnificate sono le pagine digressive che Falco dedica a Hitler. Si tratta di un ritratto espressionistico e straniante del Fürher, il cui corpo viene passato in rassegna come una macchina biologicamente imperfetta e sofferente:

Partiamo dalla testa. Dalla bocca. Cinquanta chili d’oro in banca per le otturazioni. L’origine è trentadue denti. Molti di meno. Gialli. Cariati. Nei punti più remoti già anneriti. Attaccati dalle cattive digestioni. Da cronici stati costipativi. Aggrediscono reni, fegato, cuore, occhi. Le gengive erose. L’infiammazione sanguigna. L’arcata dentaria disarmonica.[…] L’arteriosclerosi. L’indurimento delle arterie coronariche. Lo scarso nutrimento del cuore. Affanno. Palpitazione. Aritmia. La possibile degenerazione. L’angina pectoris. L’infarto. Altre pillole per evitare la fine. (G. Falco, La gemella H, cit., pp. 153-156).

INTERMEZZO

La seconda parte del romanzo è un breve intermezzo, ma si colloca al centro dell’opera e contiene un’importante prolessi narrativa, il suicidio di Hilde.

Falco ha dichiarato come l’episodio gli sia stato suggerito da un caso di cronaca occorso a Merano: la non fiction viene trasfigurata nell’invenzione narrativa, come nella migliore tradizione del novel (http://www.lavoroculturale.org/intervista-giorgio-falco-gemella-h/).

Quello che sembra aver colpito Falco, in questo caso, è la prospettiva “slogata” tra il fatto e la notizia di cronaca; infatti  la stampa avrebbe riportato quanto successo falsandolo –la donna sarebbe annegata per salvare il cane- rispetto alla versione reale di un anziano testimone oculare:

Il giorno seguente le cronache cittadine e nazionali dei quotidiani riportano le iniziali H.H. e mi descrivono come un’anziana di ottant’anni, di origine tedesca. I tg trasmettono servizi di centottanta secondi, la versione del mio sacrificio diventa ufficiale: morta per il cane.

[…] Un pensionato con due sacchetti in mano ricolmi di frutti protetti dalla plastica aggiunge, non è vero quello che dicono e scrivono. […] Credetemi, questa è la storia, conclude il pensionato testimone. Tutti gli restituiscono uno sguardo di rimprovero. Be’, ecco, voglio dire, posso anche sbagliare aggiunge il pensionato. (G. Falco, La gemella H, cit. pp. 204-205)

Anche per Hilde i giornali offrono una verità confezionata.

JINGLE

«Noi mangiavamo le mele solo nello strudel, prima» – «Noi non parliamo mai di politica»: Falco semina nel romanzo queste frasi che tornano come leit-motiv e che costituiscono un “lessico familiare”  di cui offre  la chiave di lettura fin dalla prima pagina del romanzo:

Ogni famiglia rinchiude il passato in frasi significative, ritornano un paio di volte all’anno, pesano come un canto malinconico, a cui si dà voce con un duplice intento: la speranza che nella frase qualcosa possa mutare; la certezza che, anche per questa volta, nulla cambierà. (G. Falco, La gemella H, cit., p.7)

In queste espressioni si condensano i due poli de La gemella H, la memoria e la rimozione, rispettivamente incarnati da Hilde e Helga e rispetto ai quali si staglia un poderoso pronome personale, «noi»: la famiglia, per gli Hinner,  viene prima di tutto.

KAUMANN

Ne La gemella H i Kaumann sono comparse mute: la coppia di ebrei giunta senza strepito dalla Lituania nella villetta gemella antistante a quella degli Hinner emana quiete, eleganza, ricchezza e conduce la sua vita con riserbo e fiducia nel futuro. Tuttavia con l’ascesa del nazismo e l’emanazione delle leggi razziali, i Kaumann vengono violentati nella loro quotidianità e costretti a liberarsi dei loro averi per darsi a una fuga precipitosa. Sono proprio gli Hinner a partecipare, come invitati d’onore, al lauto banchetto imbandito loro dalla Storia:

La casa dei Kaumann è quasi regalata, piuttosto di farsi requisire i beni dal governo preferiscono svendere a noi e scappare: pochissimo è meglio di niente. […]

Due case uguali, una di fronte all’altra. Quando la mamma e il papà non ci saranno più, saranno vostre. Mia amate gemelle, se quest’istante si fermasse per sempre! Usciamo dalla casa di Kirschenstrasse numero 9, attraversiamo la strada ed entriamo nella casa di Kirschenstrasse numero 10. Grazie a noi la villetta ha un proprietario. (G. Falco, La gemella H, cit., p. 72 e p. 75).

LITORALE ADRIATICO

A fine guerra la costa adriatica si offre alla “colonizzazione” turistica, già avviata in epoca fascista. Per Hans Hinner riciclarsi nella gestione di un piccolo hotel è un modo per garantire stabilità economica e futuro professionale a sé e alle gemelle e, nel contempo, per occultare definitivamente le responsabilità legate al suo passato. La sua mutazione personale, dunque, si consacra sui lidi ferraresi del secondo dopoguerra grazie «alla ricchezza tramandata durante il fascismo e pervenuta incolume, se non accresciuta» (G. Falco, Condominio Oltremare, Roma, L’Orma, 2015, p. 15).

Hans Hinner assegna un ruolo sociale a se stesso. È l’imprenditore del nuovo decennio, del nuovo mondo nato dopo la guerra. Noi mangiavamo le mele solo nello strudel, prima. Questa frase è solo di Hilde, è vano esercizio, qualcosa che vorrebbe resistere al divenire e invece è meno di un ricordo, di un rimorso, solo passato che si trascina verso l’oblio. […] Esiste solo questa vita, adesso. L’insegna di un hotel, il registro degli ospiti, la riviera adriatica italiana. Non occorre fuggire. Hans Hinner è immobile alla reception, l’avvenire s’incammina verso di lui. (G. Falco, La gemella H, cit., p. 221).

MELE

Tre mele fanno nostra di sé nell’immagine di copertina, Natura morta di mele a Merano di Sabrina Ragucci e rappresentano la diversa reazione di questi frutti, acquistati da Falco e Ragucci nel medesimo giorno, agli agenti atmosferici e allo scorrere del tempo (http://www.lavoroculturale.org/intervista-giorgio-falco-gemella-h/). Allegoricamente possono rappresentare Hans, Helga e Hilde Hinner, i tre personaggi chiave del romanzo e il modo difforme con cui hanno risposto, nella vita, alla “piccola” connivenza con cui il padre ha dato inizio alla loro fortuna.

Tuttavia le mele richiamano anche l’espediente con cui Helga, innamoratasi di Bergamaschi, riesce a far cacciare la cuoca dell’hotel per far assumere Franco:

Helga infila tre mele nella borsa di Margherita, va dal padre e dice, papà. Ripete spesso papà nella sua imminente rivelazione, per rinsaldare il legame delle sue parole al vero. Non avrei mai voluto dirlo, papà, non ce la faccio più: Margherita ruba, lo fa da quando sono arrivata. [….] ruba poco ma ogni giorno […] adesso ha tre mele nella borsa. (G. Falco, La gemella H, cit., p. 255).

OGGETTI

Il romanzo di Falco rappresenta il crescente dominio delle merci e del consumo in età contemporanea. Gli oggetti entrano prepotentemente nella vita comune, facilitano la quotidianità, sveltiscono le procedure e, al contempo, creano nuovi bisogni, suscitano desideri impensabili fino a poco prima:

Abbiamo il frigorifero elettrico […]. Abbiamo l’aspirapolvere, risucchiamo briciole, capelli, insetti, i rifiuti delle bambole, i peli di Blondi, i petali dei fiori morti. Abbiamo il ferro da stiro a vapore, l’asciugacapelli che mi sorprende ancora, lancia un getto d’aria calda sui capelli bagnati, lo agito come uno strumento musicale […]. Abbiamo la lavatrice e la lavastoviglie, il tostapane automatico per il pane caldo e croccante, e tutto quello che ci serve. (G. Falco, La gemella H, cit., p. 74)

Tuttavia l’autore rappresenta anche gli oggetti non funzionali, abbandonati, spia del “ritorno del represso” che abita l’immaginario letterario: «parlare di antimerce significa pensare come ambivalente in qualche modo anche il feticcio della merce» (F. Orlando, Gli oggetti desueti nella letteratura, Torino, Einaudi, 1994, p. 19). L’accurata descrizione della villetta lasciata frettolosamente dai Kaumann suggerisce un dolente e inaspettato abbandono: dal giardino disseminato di erbacce alla mosca morta in mezzo ai maglioni, dal posacenere ancora ricolmo di mozziconi, alla foto che ritrae gli sposi speranzosi nel loro futuro, all’odore pervasivo di naftalina. La medesima patina permea di sé anche la casa di Merano che gli Hinner eleggono a loro abitazione nel 1940; si tratta di un vero a proprio catalogo di oggetti non funzionali, desueti, opacizzati dalla polvere:

La carta da parati beige rende la casa un nucleo appassito di quiete e sembra assorbire i colori vivaci del mondo, stemperandoli nel silenzio. Sopra il tappeto svetta un orologio a pendolo, di fabbricazione tedesca. I mobili sono radunati senza un ordine preciso, come se la loro presenza fosse dovuta al timore del vuoto. Sopra i mobili, eserciti di ninnoli soffocati dalla polvere rendono sazio l’ambiente, invitano a un sonnellino pomeridiano. Le pareti sono sature di quadri mediocri, stampe, incisioni, banali dipinti di paesaggio e fotografie di parenti dall’aria familiare, potrebbero essere gli avi di tutti. (G. Falco, La gemella H, cit., p. 124-125).

RINASCENTE

La gemella H  rappresenta il momento originario in cui il possesso delle merci diventa bisogno interiorizzato e dominante e le pagine sulla Rinascente sul ruolo delle commesse sono particolarmente eloquenti:

Potrei essere la figlia, la sorella, la cugina, la nipote, la bambinaia di molte clienti, potrei essere la fidanzata, la compagna di banco, la giovane amante di molti clienti. Sono una commessa della Rinascente, la somma potenziale di tutto, e in verità niente di questo. (G. Falco, La gemella H, cit., p. 179)

In questa sezione del romanzo, come nella descrizione delle spiagge affollate,  affiora la lezione di Pagliarani, il poeta della “pietà oggettiva” particolarmente caro a Falco. Il sorriso seducente delle commesse dei primi grandi magazzini milanesi, i corsi di dizione che la ditta organizza perché parlino un «italiano sorridente e radiofonic» (p.180) non può non ricordare l’invito rivolto alla “ragazza Carla”, quel «sia svelta, sorrida e impari le lingue»:

Il sorriso è l’elemento unificatore tra l’intimità del consumo personale, l’abitudine del corpo e la produzione in serie. È il piano di sviluppo industriale, la fisicità del fenomeno, di chi riesce a immaginare un abito per molti, quasi per tutti, eppure il sorriso non si rivolge mai alla folla generica, al pubblico anonimo, ma sempre a quel potenziale, singolo cliente che –  trasportato rigido sulla scala mobile – si trova isolato dentro la folla. […] Qui lavorano le più belle ragazze della città. (G. Falco, La gemella H, cit. pp. 181-182).

UOMO DI LENHART

Attraversare le frequenti digressioni del romanzo, girovagare tra le comparse che Falco inventa permette di carpirne il senso allegorico. In particolare l’Uomo di Lenhart costituisce una vera e propria mise en abyme: l’impiegato seriale che sostiene Mussolini per opportunismo e la cui immagine è mutuata dai cartelloni del noto disegnatore altoatesino Franz Lenahrt, prefigura l’uomo-medio del dopoguerra, che sogna a suon di canzonette come  Mille lire al mese (Cfr. p.109).

L’Uomo di Lenhart è inebriato da un desiderio di denaro e di merci che conosce in questa fase storica la sua prima incubazione:

L’Uomo di Lehhart, sbarbato, per un istante vittorioso nel manifesto, indossa il completo scuro dell’impiegato italiano, ha le braccia aperte in posizione da avanspettacolo, e la testa – reclinata all’indietro – si intravede appena, l’estasi sognante avvampa uno spicchio del volto, il corpo è circondato da soldi che planano dall’alto, dal soffitto distante duecento centimetri, e non esiste più montagna o neve fresca, un prato, un vigneto o il frutto di un lavoro, ferro, treni, trattori, non esistono animali assonnati nelle fattorie, campagne coltivate, industrie, mogli, figli, pannolini, compiti delle vacanze, colleghi di lavoro: il mondo è un soffitto di soldi, le banconote sono le ultime stelle disponibili e cadenti da un cielo che preme, e non esiste, i soldi si sedimentano a strati, diventano un piccolo grattacielo di banconote unite dall’elastico tricolore. (G. Falco, La gemella H, cit., p. 95).

ZONA GRIGIA

«Anche noi siamo così abbagliati dal potere e dal prestigio da dimenticare la nostra fragilità essenziale: col potere veniamo a patti, volentieri o no», scrive Primo Levi ne I sommersi e i salvati concludendo il capitolo sulla zona grigia di cui Hans Hinner è perfetto rappresentante. Lungi dal macchiarsi le mani con veri e propri crimini di guerra, l’uomo fonda pragmaticamente la sicurezza economica della sua famiglia su un «orrore a bassa intensità» (E. Trevi) lungo ottant’anni: non c’è bisogno, per Hans, di cercare una nuova identità in Sudamerica per sopravvivere al suo passato. Abbracciare il mito della villeggiatura nella smemorata Italia del boom è più che sufficiente per dimenticare di aver abitato la zona grigia, anzi non deve «nemmeno sforzarsi di dimenticare, è già tutto nel lento, inesorabile dinamismo del passato, che vive nella combustione di se stesso» (p. 221).

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