Tradire Manzoni? Una proposta didattica su “The Betrothed” di Michael Moore
Manzoni…ancora per quanto?
Tra i bersagli preferiti nei dibattiti sulla scuola c’è sicuramente Manzoni e la lettura dei Promessi sposi che, in molte aule italiane, occupa ancora una parte considerevole della programmazione di italiano del secondo anno.
Non è mia intenzione ritornare sulla vexata quaestio del mantenimento o meno del romanzo, per cui rimando all’ottima disamina effettuata nel 2022 da Paola Italia su «Griselda online», nell’articolo Alzate la posta!; d’altra parte la commissione preposta alla stesura delle nuove Indicazioni Nazionali pare intenzionata a eliminare I Promessi sposi dal primo biennio, per anticipare al secondo anno lo studio della letteratura italiana e “liberare spazio” per il Novecento al quinto anno.
Tuttavia, in quello che amo definire “il mappazzone” dell’italiano al biennio, credo che i Promessi sposi siano il contenuto che consente di combinare, senza troppi sforzi, le tre competenze dell’asse dei linguaggi da promuovere lungo i cinque anni, ovvero “leggere, comprendere e interpretare testi scritti di vario tipo”, “produrre testi di vario tipo in relazione ai differenti scopi comunicativi” e infine “padroneggiare gli strumenti espressivi e argomentativi indispensabili per gestire l’interazione comunicativa verbale in vari contesti”. Ho sempre considerato i Promessi sposi, oltre che una lettura godibile per gli studenti (e i questionari anonimi finali somministrati da 15 anni a questa parte me lo confermano), una palestra di lettura, scrittura ed esposizione orale; attraverso il romanzo manzoniano si possono infatti proporre tipologie testuali di vario tipo, allenare gli studenti all’analisi del testo, ma soprattutto abituarli a rielaborare oralmente contenuti di un certo spessore, oltre ad argomentare la loro opinione su un determinato passo.
Una traduzione di una traduzione
Nell’articolo citato, Italia menziona in apertura anche la recente traduzione (2022) dei Promessi sposi in americano, intitolata The Betrothed,e frutto del lavoro decennale di Michael Moore, italianista a Princeton, collega di quella Jhumpa Lahiri che firma la prefazione all’opera uscita per la casa editrice newyorkese The Modern Library. Mi ha sempre affascinato leggere la traduzione in lingua straniera dei grandi classici della letteratura italiana e, in questo caso, mi sono sentito autorizzato a proporre un piccolo modulo didattico sui Promessi sposi in americano proprio in ragione della natura stessa del romanzo manzoniano. Come sottolinea infatti Lahiri nella sua Prefazione, i Promessi sposi stessi nascono, nella finzione narrativa, come traduzione di un autografo seicentesco «dilavato e graffiato», con Manzoni stesso che definì «my writing […] an undigested mixture of sentences that are a little Lombard, a little Tuscan, a little French, and even a little Latin; and also of sentences that do not belong to any of these categories» (A. Manzoni, The Betrothed. Translated and with an introduction by Michael Moore, The Modern Library, New York 2022, p. XXV, da cui si cita in tutto l’articolo).
Leggere alcuni estratti dei Promessi sposi in americano, dopo averli approfonditi nell’italiano dell’Ottocento, consente di ragionare su come la traduzione sia non solo un testo di servizio, quanto una vera e propria opera d’arte: come sottolinea Luca Illetterati nell’articolo Who is afraid of translation? Contro il mito delle purezza, apparso il 20.04.2021 su «Le parole e le cose», bisogna cercare di superare il concetto heideggeriano di traduzione come tradimento, per virare verso un’inclusione della traduzione come anello della fortuna di un’opera: «La traduzione è questo duplice carattere: da una parte inevitabile tradimento, ovvero allontanamento o addirittura perdita; dall’altro, proprio attraverso il medesimo differimento – e cioè non malgrado il tradimento, ma attraverso il tradimento – anche produzione di senso, accrescimento continuo dei significati; e dunque tradizione».
Nell’esperimento su The Betrothed sono stato mosso proprio da tale intento: mostrare la differenza come atto costitutivo della traduzione del romanzo in una lingua, l’americano, che si caratterizza per la sintassi paratattica e un’immediatezza lontanissima dalla versione ottocentesca; come precisa Illetterati nell’articolo sopra citato, «proprio in quanto vive nella differenza dei linguaggi, la differenza è ciò che fonda la traduzione, il luogo dal quale la traduzione assume vita e riceve senso. Ma contemporaneamente essa è il luogo nel quale questa differenza – ovvero l’alterità dell’altro – si fa esperienza».
Un’esperienza di Manzoni, dunque, diversa da quella veicolata da edizioni scolastiche ingiallite, da riassunti presenti sul web e da schede personaggi generate dall’AI, ma a contatto con un monstrum, nel senso latino del termine, indocile, forse ostico per studenti del secondo anno, ma che ha rappresentato un’occasione di confronto, in più lingue, ma soprattutto uno stimolo per aprirsi al nuovo.
Valorizzare la professionalità docente
In questo viaggio nella traduzione avrei però fatto “naufragio” se non fossi stato guidato dalla collega di lingua inglese della classe in cui ho svolto il progetto, la 2B Liceo Scientifico dell’Istituto “Andrea Fantoni” di Clusone; in passato traduttrice, lettrice vorace, ha donato (nel vero senso della parola) 5 ore per lei “buche” per accompagnare i ragazzi, durante le ore in compresenza, nella riflessione sui significati e le scelte traduttive di Moore. Nel concreto, mentre io, come docente di lettere ed “esperto” di Manzoni, ho gestito la parte più “contenutistica”, lei ha stimolato l’attenzione mia e dei ragazzi sugli aspetti prettamente linguistici di The Betrothed. Tuttavia credo che il momento per me più proficuo del progetto sia stato quello preparatorio alle ore in classe: il confronto puntuale con una collega di L2 mi ha spinto a proporle dei brani con attività allegate che, da esperta, ha vagliato e modificato; la continua rinegoziazione delle richieste, l’aggiustamento del taglio linguistico delle domande e i suggerimenti sugli studenti da sollecitare in determinate competenze linguistiche durante la lezione in aula, è stata infatti un’operazione fondamentale per la buona riuscita del modulo di approfondimento.
Questo progetto suggerisce quindi una soluzione, a mio avviso, molto efficace per valorizzare la professione docente a fronte dell’inarrestabile crollo demografico: istituire delle ore di compresenza, non solo di sostegno, ma anche disciplinari, per consentire, a mio avviso, di vedere sempre di meno le materie come settoriali, ma aprirle al dialogo reciproco, prevedendo, ovviamente, delle ore di programmazione, come avviene nella scuola primaria.
Perle nel mare magnum
Arrivati a questo punto, ci si chiederà però come riuscire a fare anche un percorso sulla traduzione americana dei Promessi sposi, se il monte-ore annuale di italiano del biennio, in relazione ai contenuti proposti, risulta evidentemente ridotto. La risposta sta nella convinzione che, a mio avviso, i Promessi sposi non si leggono per sapere come finisce la storia e neppure per vivisezionarne la trama, quanto per essere messi a contatto con episodi, passi e temi che possono ancora parlarci. Lo sottolinea anche Moore nell’intervista con Gianni Riotta, intitolata “I Promessi sposi”, la nuova traduzione americana: c’è Scarface tra i Bravi di Manzoni, quando ricorda di aver ricevuto preziosi suggerimenti per la traduzione dai colloqui avuti con politici come Renzi, Letta e Berlusconi: «Quei colloqui fra leader mi son stati d’aiuto nel rendere il ruolo del potere nel romanzo, il padre di Gertrude-Monaca di Monza, Don Rodrigo, il Cardinale. Quando leggo le cronache della campagna elettorale in corso, mi torna in mente l’incontro fra il Conte Zio e il Padre Provinciale, per dirimere la contesa tra padre Cristoforo e Don Rodrigo su Lucia. Quel dire e non dire, il potere evocato e non brandito, il consenso e il dissenso in bilico, archetipi che Manzoni evoca da maestro». Un procedimento quindi, inverso, rispetto a quello ordinario: un presente trasportato nel passato, che ha reso però ancora più viva la lezione manzoniana.
D’altra parte, avvalendomi di un’immagine usata da Italia nell’articolo Alzate la posta!, «non ci si deve procurare un’indigestione per apprezzare un cibo raffinato»; i Promessi sposi, continuando a parlare per metafore, contengono delle perle che non possono che toccare il cuore di studenti e docenti: pensiamo all’Addio ai monti (su cui ha scritto un pezzo notevole Linda Cavadini qui), ai capitoli su Gertrude, a Renzo all’osteria, alla notte di Lucia e dell’Innominato, per finire con lo straziante episodio della madre di Cecilia e di Renzo che perdona don Rodrigo nel lazzeretto.
Tutto sta nel selezionare, a mio avviso, degli snodi-chiave, su cui innestare un approfondimento, come vedremo nella proposta didattica attuata in classe; un utile suggerimento per un percorso “ad alta velocità”, che lasci spazio ad affondi tematici, può essere l’utilizzo del sito Vedo Manzoni, progetto dell’Università di Bologna: sfruttando le incisioni di Gonin si possono affrontare alcuni capitoli dei Promessi sposi valorizzandone soprattutto l’apparato iconografico, che ne fanno il primo romanzo illustrato della letteratura italiana.
Un esempio di proposta, replicabile
Il percorso su The Betrothed si è svolto, come anticipato, in una classe seconda, nei mesi di febbraio-aprile, per una durata di 6 ore, di cui 5 in compresenza con la collega di inglese. Il lavoro sui passi in lingua americana è stato preceduto da una lezione preliminare volta a illustrare i primi tentativi di traduzione del romanzo già nell’Ottocento, con Charles Swan e George William Featherstonhaugh, ma destinata soprattutto a chiarire il modus operandi di Michael Moore, attraverso stralci di un’intervista, recuperabile qui.
La trattazione, nel mese di gennaio, della “notte degli imbrogli” e l’interesse suscitato negli studenti da questo passo, mi ha spinto a proporre un percorso che si incentrasse sui notturni; come aveva già notato Mario Petrini nel 1977, nell’articolo Notti manzoniane, in «Studi mediolatini e volgari», ogni personaggio chiave del romanzo attraversa infatti una notte che raggiunge, al culmine, «la disperazione della salvezza» (p. 158). Il modulo si è quindi articolato intorno a tre episodi fondamentali: la notte dell’ottavo capitolo, con il tentativo di matrimonio a sorpresa, quella dell’Innominato, nel XXI capitolo, e infine l’incubo di don Rodrigo, collocato nella parte iniziale del XXXIII capitolo.
Le lezioni in compresenza sono state programmate a distanza di 2-3 settimane l’una dell’altra, nella giornata di martedì, molto funzionale perché successiva alla spiegazione e la lettura, svolta nell’ora del lunedì, del brano individuato per il lavoro pluridisciplinare; ciò consentiva agli studenti di non vedere discontinuità tra i contenuti prettamente in italiano e quelli affrontati con la docente di lingua straniera. La selezione dei brani è stata, in realtà, molto laboriosa e ha seguìto fondamentalmente i seguenti criteri: compiutezza del passo scelto, particolarità delle scelte traduttive operate da Moore, con un focus sempre su lessico e sintassi, possibilità di collegamenti con altri passi e di una breve esposizione orale, anche in piccolo gruppo. Fondamentale, in questa fase, la condivisione con la docente di lingua inglese.
Resta inteso che tale attività può essere riproposta anche nel quarto anno, in maniera forse più produttiva dal punto di vista linguistico e senza l’opera di mediazione del docente di L2; il livello medio di B1-B2 del penultimo anno facilita sicuramente l’approccio alla traduzione magari senza il testo manzoniano a fronte ma, a mio avviso, cadrebbe in un periodo dell’anno (gli ultimi mesi, verosimilmente) piuttosto ingolfato di verifiche e un percorso del genere non sarebbe affrontato con la medesima “leggerezza”.
Per avere una visione più chiara del lavoro proposto, si indicano gli estremi e le pagine su The Betrothed:
- Passo n. 1: la sequenza conclusiva dell’assalto notturno alla canonica di don Abbondio, da “Fine, fine”, interrupted Don Abbondio, a I mean, the way of the world in the seventeenth century (pp. 124-125);
- Passo n. 2: la notte dell’Innominato, da At the same time, someone else in the castle yearned for sleep a The only thought that came to him for the next day was to free that poor girl (pp. 349-351);
- Passo n. 3: l’incubo notturno di Don Rodrigo, da After much tossing and turning, he finally fell asleep a And there it was: a filthy swollen purple bubo (pp. 545-546).
Indicazioni operative e attività proposte
Agli studenti è stato consegnato, per tutti e tre i passi, un foglio di lavoro che includeva da una parte il brano manzoniano (talvolta con tagli) e, a fronte, la traduzione corrispondente di Moore. Seguiva poi un questionario, volto a stimolare la classe in attività, anche laboratoriali, ma che seguivano, grossomodo, il seguente percorso: divisione del brano in sequenze e assegnazione di un titolo in inglese, domande di comprensione sul brano, quesiti volti a indagare le scelte sintattiche e lessicali di Moore, piccola parte di esposizione orale su un tema o relativa a un confronto con capitoli già noti.
In molti casi, l’aiuto della collega di L2 è stato fondamentale per guidare gli studenti (e anche il sottoscritto) nell’operazione di Moore; da una parte i vocaboli scelti mirano sicuramente a restituire la patina “arcaica” di un testo comunque dell’Ottocento e quindi si situano in un americano di livello medio-alto, ma The Betrothed rimane comunque una traduzione brillante, come sottolinea anche Riotta nel suo articolo: il traduttore, infatti, «ignora il punto e virgola, spezzando i paragrafi più lunghi dell’originale, in frasi concise», giustificandosi per una «questione di ritmo, non perdere la musicalità di Manzoni, aggiornandola tuttavia ai tempi mentali contemporanei».
Inoltre, in alcuni casi Moore riformula la frase originale, la rende maggiormente incisiva, evitando di tradurre alcune espressioni in italiano: piega, insomma, il testo manzoniano a delle esigenze comunicative. Nell’Introduzione scrive infatti: «My main challenge, therefore, was to write in what might be considered standard English in our own more democratic era, without slipping into usage that is too contemporary» (p. XXVIII); rispetto alla resa dei lunghi periodi manzoniani, Moore spiega il suo modus operandi così: «I broke his sentences up into smaller parcels, sometimes (but not always) using periods where he used semicolons, feeling that they do not impose the same sense of finality in English as they do in Italian» (p. XXX).
Solo per citare un esempio, si veda la traduzione dell’inizio della Notte dell’Innominato (“The Nameless One” nella traduzione americana): «Ma quell’immagine, più che mai presente, parve che in quel momento gli dicesse: tu non dormirai. “Che sciocca curiosità da donnicciola,” pensava, “m’è venuta di vederla? Ha ragione quel bestione del Nibbio; uno non è più uomo; è vero, non è più uomo!…”», che viene tradotto molto liberamente così da Moore: «But that image, more present than ever, mocked him, as if to say, “No sleep for you tonight.” “Why did you want to see her?” he wondered. “Out of some stupid girlish curiosity? That idiot Nibbio is right. She takes away your manhood…”»
Costante è stato, in tutte queste attività, il lavoro sul lessico e l’analisi da parte degli studenti delle scelte traduttive di Moore; sempre in riferimento alla notte dell’Innominato, un quesito recitava così: «The so-called “The Nameless One’s night” is quite difficult to translate, but Michael Moore manages to use more concise expressions than Italian ones. Complete the table below with the translation of Manzoni’s Quarantana: The expressions are undelined in your worksheet». Gli studenti hanno quindi riflettuto sulla traduzione di espressioni quali, per esempio, «partito, o quasi scappato da Lucia», «pensando all’imprese avviate e non finite», «si schierava nella fantasia tutti i suoi malandrini» e altre ancora.
Un lavoro altrettanto proficuo è stato effettuato per la metalessi che chiude il capitolo ottavo, in cui la fantasia traduttiva di Moore raggiunge, a mio avviso, il suo apice:
«In the midst of all this pandemonium, I cannot resist pausing for a moment of reflection. Renzo-who had snuck into another man’s house, was holding him hostage, and was raising a ruckus at night- looked for all the world like the aggressor. Don Abbondio, ambushed, forced to flee, and terrorized while he was attending peacefully to his own business, looked like the victim. In reality, however, he was the aggressor. Such is often the way of the world… I mean, the way of the world in the seventeenth century».
All’opposizione oppressore/oppresso, tipicamente manzoniana, che gioca sulla figura etimologica, subentra quella di aggressor e hostage/victim, ma è forse l’inizio dell’intervento del narratore che mostra la verve dell’italianista americano, che traduce «In mezzo a questo serra serra» con «In the midst of all this pandemonium», utilizzando un termine che evoca caos, disordine, legato quindi al ribaltamento dei valori del secolo di ferro.
Lavorare sulle emozioni
La scelta dei tre passi, oltre a consentire confronti sullo stesso tema della notte, ha avuto alla base la volontà di lavorare sul lessico delle emozioni, ben presenti tanto nei capitoli presi in considerazione. Come sottolinea Moore nella sua Introduzione, «Manzoni uses a rainbow of adjectives to describe an emotional state that grows from surprise to dismay to shock, so I drew up a chart of synonyms, on a scale from mild to strong. Never has a thesaurus been so handy» (p. XXIX).
Nella sequenza del capitolo ottavo, comunemente chiamata “notte degli imbrogli”, ci si è focalizzati sui sentimenti di Lucia e, in particolare, sull’aggettivazione usata da Manzoni e da Moore per descrivere il timore della promessa sposa di fronte al tentativo del matrimonio a sorpresa; la proposta di analisi del testo recitava infatti così: «The words of emotions: focus on the reaction of Lucia and the adjectives Manzoni uses for describing the girl. Write a list». Gli studenti sono stati anche chiamati a esporre oralmente le motivazioni alla base del comportamento di Lucia e se questo fosse coerente con il ritratto che ne aveva fatto Manzoni nei primi capitoli del romanzo.
Il secondo passo letto in traduzione proponeva di concentrarsi sulle emozioni dell’Innominato, ma in particolare sul dissidio interno al personaggio: «The Nameless One can be considered a round character, in which two different souls coexist: investigate these traits giving evidence from the text». Gli studenti sono stati guidati nell’analisi di verbi che esprimevano la rabbia e il vigore tipico di un tiranno, a cui si accostavano parole indicanti timore, rimorso per le scelleratezze passate, paura per l’avvenire e, infine, barlume di speranza per il nuovo giorno.
Il capitolo XXXIII, contenente uno dei passi a mio avviso più toccanti dei Promessi sposi, ovvero l’incubo di don Rodrigo, rappresenta invece il tentativo di “riabilitare” un personaggio solitamente bollato come il cattivo della storia; l’indagine, prima in italiano, poi in americano dei suoi moti dell’animo durante e dopo l’incubo ha permesso di avere una visione ben più chiara del personaggio, come suggerisce questa traccia di analisi proposta agli studenti: «Don Rodrigo is considered a flat character, but in this extract the narrator underlines some traits which don’t correspond to his personality: find them out».
Un bilancio di lettura (e di traduzione)
Manzoni rappresenta un mostro sacro e, benché avversata ormai da molti, la lettura dei Promessi sposi risulta ancora un punto cardine nella scuola italiana; resto però convinto che perpetrarne la trattazione secondo schemi ormai tradizionali confligga con le abitudini di apprendimento degli studenti di oggi, legati a un’immediatezza che va irrimediabilmente a cozzare con la lentezza di molti capitoli del testo manzoniano. Da qui la necessità di scegliere strumenti alternativi, come il fumetto, il podcast, la fortuna iconografica ma, in un mondo che vede sempre più l’avanzare dell’inglese (anche nelle facoltà umanistiche), ho trovato l’approfondimento della traduzione americana una via percorribile e, soprattutto, sensata.
Il bilancio è, nel complesso, positivo, anche se ci sono stati studenti, già fragili in lingua inglese, che si sono trovati un po’ spiazzati nell’approccio a un testo che, benché didattizzato, era comunque destinato alla lettura di adulti madrelingua inglese. Fondamentale è stata, a mio avviso, l’analisi approfondita in originale del testo che si sarebbe affrontato su The Betrothed: ciò ha favorito inferenze anche laddove il testo tradotto risultava ostico ai più.
Tuttavia, tra i punti forti di questo modulo in compresenza, c’è sicuramente la possibilità di lavorare per cinque ore, tanto in italiano, quanto in inglese, sul lessico, una delle vere emergenze di chi vive la scuola. Si tratta di un tentativo di smuovere qualcosa nelle acque della cosiddetta «generazione delle venti parole», che parla una lingua povera, ripetitiva e stereotipa; analizzare il ventaglio di varianti che Manzoni e Moore utilizzano per descrivere i personaggi, tratteggiare i loro moti dell’animo, può, a mio avviso, promuovere una maggiore consapevolezza degli strumenti della lingua negli adolescenti. D’altra parte, come possiamo esprimere le nostre emozioni, se ci manca il vocabolario per farlo?
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Caporedattore
Roberto Contu
Editore
G.B. Palumbo Editore

Grazie al prof. Zenone.
Percorso interessante, dettagliato, coinvolgente.
Grazie mille!