Nel segno della contraddizione. Pasolini e Fortini due poeti del Novecento
Rileggere Pasolini e Fortini «nel segno della contraddizione»
La forza generativa della definizione fortiniana di «sineciosi», intesa come dialettica insoluta e insolubile, scaglia nel nostro presente una riflessione cogente sulla tensione intellettuale tra due grandi poeti del Novecento. A quasi trent’anni dalla sua prima uscita e in concomitanza con il centenario pasoliniano, l’autobiografia in negativo di Franco Fortini, Attraverso Pasolini, a cura di Bernardo De Luca e Vittorio Celotto, è stata ripubblicata da Quodlibet, favorendo, ben al di là delle rievocazioni celebrative, la riapertura del dibattito su un rapporto intellettuale determinante per la storia culturale del Novecento italiano. A raccoglierne i frutti è intervenuto il volume curato da Paolo Desogus e edito da Marsilio, Nel segno della contraddizione. Pasolini e Fortini due poeti del Novecento, il quale presenta gli atti di un convegno organizzato dal Centro Studi Pier Paolo Pasolini a Casarsa della Delizia nel novembre 2023. I saggi presenti nel volume esplorano le dinamiche di un rapporto segnato da stima reciproca e profonde divergenze, articolato tra momenti di confronto diretto e rispecchiamenti posteriori, anche postumi, e che suggella la propria eccezionalità nella consapevolezza che «le ragioni di opposizione» possono essere trasformate «in occasione conoscitiva e autoriflessiva»1. Fin dall’introduzione, firmata da Paolo Desogus, è presentata l’ipotesi che Fortini sia stato «uno dei principali, se non addirittura il principale interlocutore» di Pasolini, sprone decisivo alla ricerca di nuovi mezzi espressivi poetici e alla «riflessione sul neocapitalismo, sulle trasformazioni antropologiche e sulla necessità di riformulare il punto di vista marxista dopo i rivolgimenti dei primi anni sessanta»2. I numerosi contributi che seguono non hanno solo il merito di offrire un confronto serrato tra due poetiche, ma producono un’analisi puntuale dei molteplici punti di contatto e di frizione che hanno segnato il dialogo fra due fisionomie intellettuali profondamente divergenti, eppure accomunate dalla medesima convinzione della valenza attiva della poesia all’interno della dialettica storica. Per questa ragione, il volume rappresenta un contributo degno di nota non solo per gli studiosi pasoliniani e fortiniani, ma anche per tutti coloro che si interessano alla storia intellettuale italiana del secondo Novecento.
Voci in dialogo: percorsi critici tra poesia e ideologia
La lente critica che qui si propone di adottare, per mettere a fuoco la complessità di un’opera tanto sfaccettata, mira a indagare in che modo Pasolini e Fortini abbiano percepito e incarnato, ciascuno secondo una propria postura autocritica e riflessiva, la figura dell’intellettuale intesa sia come espressione storica sia come coscienza critica del proprio tempo. Questa lettura si fonda sulla convinzione che la loro lezione possa oggi acquisire quella «superiore attualità» evocata dal Walter Benjamin dei Passages di Parigi, citato in epigrafe da Desogus, contribuendo così a corroborare la difesa del valore militante della letteratura in un’epoca che sembra aver destituito l’umanesimo di qualsiasi agentività sul presente.
Il volume si compone di cinque sezioni che seguono la parabola dialettica tra i due poeti. Riprendendo e sovraestendendo il titolo dell’opera fortiniana, Attraverso Fortini e Pasolini ripercorre a ritroso le tappe biografiche dello scontro e del rispecchiamento, a partire dalla morte di Pasolini. Nel saggio intitolato L’«anno settantacinque», Luca Lenzini pone l’accento su una data che fa da spartiacque tra il tempo della riflessione con o contro Pasolini e quella su di lui, ricorrendo a una memoria personale: la lezione tenuta da Fortini per il corso di Storia della critica letteraria, nei giorni che seguirono la morte dell’intellettuale friulano. Anche in quell’occasione fu messa al bando qualsiasi forma di didascalismo. Al posto di trattare di Pasolini e della sua opera, il discorso riguardò la figura del poeta in generale e il suo ruolo nella società. Non fu un congedo poiché, a un ventennio di distanza, la ferita, ancora aperta, richiese di venire riaperta e esaminata. Se è vero, come scrive Lenzini, che Fortini intrattenne un rapporto «di tipo agonistico e conflittuale» non solo con Pasolini, ma anche con molteplici altri intellettuali (Calvino, Vittorini, Sereni, Giudici e Barthes), «come se il dialogo tra Fortini e i suoi interlocutori rispondesse a un modello fondante dei rapporti con l’altro nel senso di un imprinting oppositivo-agonistico»3, d’altra parte è altrettanto vero che nessuno di questi conflitti aprì un solco tanto profondo. Solo nel caso di Pasolini l’antitesi assunse un valore paradigmatico. «Riproporre l’attraversamento di Pasolini, con il suo (ricchissimo) “tragitto” e la sua (feconda) “contraddizione”, valeva allora a fornire un esempio da tradurre in nuovi conflitti e nuove domande»4, e sono proprio questi ultimi, con il loro statuto problematico e aperto, che costituiscono gli «strumenti, parole e opere capaci di parlarci, da ritradurre al presente»5 per porsi, nel solco tracciato da entrambi, alla ricerca della verità.
I saggi che seguono, di impianto storico e filologico, analizzano il movimento di avvicinamento e separazione che investe le parabole biografiche e ideologiche dei due autori nel corso degli anni Cinquanta. Elena Arnone ripercorre alcune tappe fondamentali del carteggio, concentrandosi in particolare su due bienni, quello ’56-’57 e quello ’58-’59, che specularmente vedono i due autori iniziare il lavoro comune intorno al progetto di «Officina», per poi distanziarsi alle soglie del nuovo decennio. Arnone ricorda che, durante gli anni Sessanta, Pasolini espresse in più occasioni la propria stima nei confronti di Fortini, mentre per quest’ultimo la promiscuità di Pasolini, seppur in polemica, con la società dei consumi e della grande comunicazione di massa, sancirà un’irreversibile separazione. Gian Luca Picconi estende i termini del confronto oltre l’epistolario, prendendo in esame non solo gli scritti critici e poetici attraverso i quali i due intellettuali dialogano apertamente ma anche una serie di testi critici pasoliniani che non si rivolgono a Fortini in modo diretto ma che intrattengono un rapporto intertestuale con la sua opera. Attraverso un sentiero poco esplorato dalla critica, l’autore riesce così a determinare il modo in cui Fortini abbia profondamente condizionato, anche solo in forma di reazione, i posizionamenti di Pasolini. Ne emerge un’immagine particolareggiata dell’influenza esercitata da Fortini su Pasolini, pungolato dalle riflessioni dell’«ideologo aggiunto»6 di «Officina» e, grazie alla sua mediazione, sollecitato a misurarsi con alcune delle principali correnti critiche europee. Uno scambio, condotto sul piano teorico, poetico e politico, che contribuì al rinnovamento profondo del dibattito culturale italiano del secondo Novecento.
Il saggio di Marco Gatto apre la seconda sezione del volume, «Sineciosi e Dialettica», offrendo una prospettiva significativa sulla questione della militanza giornalistica di Fortini e Pasolini. Nonostante il «carattere rapsodico e ramingo» dei loro interventi, questa forma di scrittura pubblica risulta pienamente coerente con la loro postura intellettuale dal momento che entrambi, osserva Gatto, «concepiscono […] il proprio mestiere di critici della società e della cultura, e di estensori di pagine giocoforza civili, secondo una perdurante e non arrendevole ottica della mediazione»7. Tra i meriti di quest’analisi vi è quello di sottrarre la nozione di mediazione all’uso inflazionato e semplificatorio ormai invalso. Da un lato, Gatto ne evidenzia le radici teoriche umanistiche, che affondano in categorie dialettiche di derivazione hegeliana; dall’altro mostra come la pratica che ne fanno i due autori sia informata di ideali marxisti e materialisti con i quali il nostro presente dovrebbe tornare a confrontarsi. L’esempio che Pasolini e Fortini ci offrono è quello di una mediazione intesa sia come «capacità di mediare tra opposti e di generare, se possibile, una nuova contraddizione», sia come esercizio di pensiero critico, in grado di problematizzare le proprie credenziali e i propri presupposti nel momento stesso in cui viene articolato.
Andrea Agliozzo propone di pensare l’ambiguità del rapporto intellettuale tra Fortini e Pasolini, giocato tra alterità e identità, attraverso la nozione di chiralità, ovvero l’impossibilità di sovrapporre due oggetti speculari, geometricamente identici. Passa poi ad analizzare due epigrammi dell’Ospite ingrato dedicati a Pasolini, nei quali emerge un rispecchiamento profondo che si consuma proprio nel segno della contraddizione. Tale contraddizione non è solo riconosciuta come un elemento costitutivo dell’espressione lirica, ma si riproduce anche nel giudizio finale che Fortini formula su Pasolini: un giudizio privo di qualsiasi condanna moralistica, che resta «dialetticamente esposto a una scissione costitutiva dell’esistenza umana» e che si può ricondurre alla categoria di sineciosi, elaborata da Fortini per definire l’alter ego-rivale ma che, in ultima istanza, finisce per investire anche la sua figura.
Nel saggio intitolato Le lezioni del corvo e le contraddizioni della rosa,Paolo Desogus propone di spostare il baricentro dell’interpretazione di Attraverso Pasolini dal piano filologico, cui la critica si è lungamente appellata e che rischia spesso di risultare fragile e infecondo, a quello politico e intellettuale, dove il confronto tra Fortini e Pasolini può ancora offrire spunti vitali. Contro ogni lettura apologetica, Desogus ci invita a raccogliere la lezione che il libro del ’93 ci offre, ricostruendo un’immagine di Pasolini tanto più interessante quanto meno asservita alle strumentalizzazioni a cui spesso è stata sottoposta. Fin dal memorabile ossimoro incipitario, Fortini rivendica per sé e per il sodale friulano un analogo posizionamento storico: quello «nel torto, nell’errore, nella non-ragione», lontano dalla logica del compromesso. In un’epoca di profonda crisi ideologica delle sinistre, è questa l’unica possibilità per salvaguardare la parola poetica dalla corruzione della postmodernità e dalla sua derealizzazione, riaffermandone la tensione verso la verità e il reale. In questa prospettiva, Desogus identifica due metafore emblematiche delle poetiche e delle posture dei due intellettuali: la rosa e il corvo. Il simbolo floreale appare nelle rispettive opere poetiche quasi simultaneamente, all’inizio degli anni Sessanta, ma assume significati profondamente divergenti: in Fortini la rosa incarna la dialettica storica dell’emancipazione, in Pasolini assume una funzione metastorica, fragile segno del passato che tenta di sottrarsi al divenire, eco mitica del perduto ventre materno. Due visioni inconciliabili, che riflettono l’antinomia delle loro visioni politiche. Il corvo parlante di Uccellacci e uccellini, figura esclusivamente pasoliniana, rappresenta l’intellettuale marxista, ma non è un alter-ego dell’autore. Pasolini vi ritrae il profilo intellettuale di Fortini, il poeta impegnato che negli anni Sessanta articola un’acuta riflessione sulla società di massa e dei consumi. Secondo Desogus, la scena finale in cui Totò e Ninetto ne divorano il corpo, non esprime soltanto il prevalere dei bisogni materiali sulla prospettiva storico-politica, ma può essere letta in termini propriamente hegeliani come processo dialettico di assimilazione e superamento.
Forme dell’alterità e valore militante della letteratura
La sezione Forme dell’alterità approfondisce tre nuclei concettuali: l’ebraicità, il Terzo Mondo e la traduzione, per meglio mettere a fuoco la prismaticità dei profili intellettuali di Fortini e Pasolini. I primi due saggi indagano il rapporto contrastato e ambivalente dei due autori con la questione religiosa. Giovanna Trento analizza una delle maschere predilette di entrambi, nella quale si rispecchiano e, al contempo, prendono le distanze: quella dell’«ebreo». Per entrambi l’ebraicità si lega al cuore piccolo-borghese dell’Europa, celando al tempo stesso un secondo volto, quello del diverso, del reietto, come l’Olocausto ha potuto dimostrare fino alle estreme conseguenze. La condizione dell’«ebreo» ha poco a che vedere con fatti di sangue; presenta invece un carattere instabile e oscillante tra inclusione e esclusione, attrazione e repulsione. Tale ambivalenza informa anche lo sguardo dei due intellettuali sulla questione israelo-palestinese, rispetto alla quale Fortini si staglia per lucidità e per la capacità di interpellare la storia a lui contemporanea adottando una prospettiva universale. Luca Mozzachiodi esamina invece il modo in cui i due autori si rapportano con la rappresentazione del Terzo Mondo. A Fortini è attribuita un’antropologia dinamica, secondo la quale la lotta di classe ha «un valore formativo sui soggetti sociali»; Pasolini, al contrario, segue una disposizione antropologica personalistica e innatistica per la quale la lotta di classe ha il compito di preservare nel singolo individuo quella cifra umana primigenia che precede la corruzione capitalistica. Infine, Gabriele Zanello propone un confronto tra le rispettive prassi traduttive. Per Fortini la traduzione rappresenta un importante fronte di militanza intellettuale, tanto da meritare un’approfondita riflessione teorica. Pasolini, invece, vi si dedica in maniera asistematica ma il suo lavoro traduttivo è altrettanto significativo poiché tramite esso emerge quella sua «tensione insaziabile, continuamente volta alla ricerca di nuove forme espressive»8. Entrami condividono una visione ideologica della traduzione, venata di consapevolezza socioeconomica in Fortini e di rilevanza sociolinguistica per Pasolini, il quale le attribuisce un ruolo importante nell’operazione di status planning della lingua dialettale fin dagli albori friulani della sua formazione poetica.
In definitiva, grazie a un percorso critico puntuale e al contempo di ampio respiro, il volume restituisce la complessità di un confronto intellettuale tuttora fecondo per pensare il nostro presente. Risulta pienamente raggiunto l’obiettivo dichiarato nell’introduzione, quello di «sottrarre Pasolini, e insieme a lui Fortini, alle interpretazioni ireniche che riposizionano la letteratura in una bolla estranea alla storia, al conflitto del divenire, così come alle lacerazioni e alle inquietudini vissute attraverso l’attività poetica e intellettuale». Non solo. L’esito corale del volume Nel segno della contraddizione. Pasolini e Fortini due poeti del Novecento, curato da Paolo Desogus, raccoglie e rilancia l’invito fortiniano ad esaminare quel «conflitto di indoli, poetiche, intelligenze e impegni» andando al di là del confronto tra «due singoli destini». È così affermata una volta per tutte la necessità di approcciarsi all’opera dei due autori senza mai prescindere dal considerarli poeti del loro tempo e nel loro tempo, consapevoli del loro ruolo nella società e delle loro scelte ideologiche e politiche.
1 P. Desogus, Attraverso la sineciosi di Pasolini e Fortini. Introduzione, pp. 3-7: p. 3.
2 Ivi, p. 4.
3 L. Lenzini, L’«anno Settantacinque», p. 12.
4 Ivi, pp. 15-16.
5 Ivi, p. 20.
6 G. L. Picconi, Le ragioni di un’abiura. «Officina» e Pasolini attraverso Fortini, p. 56.
7 M. Gatto, L’inganno della chiarezza. Fortini, Pasolini e la mediazione giornalistica, p. 65.
8 G. Zanello, Riflessione teorica e prassi di traduzione in Pasolini e in Fortini, p. 193
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