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diretto da Romano Luperini

Sopravvivere alla propaganda. La guerra al pensiero nell’Europa bellicista

Scrivo queste righe con trepidazione, perché potrebbero rivelare la mia dabbenaggine. Magari, infatti, in questi stessi minuti sta per essere pubblicata una smentita. Il Commissario per la Gestione delle Crisi dell’Unione Europea, Hadja Lahbib, spiegherà che il video che la vede protagonista, nel quale illustra il contenuto del kit di sopravvivenza per le prime 72 ore di guerra, è un falso. Probabilmente è stato realizzato con l’IA per screditare lei e l’Europa, per indurre chi lo guarda a pensare che siamo in mano a persone drammaticamente inadeguate al loro ruolo, ridicole e ridanciane. Oppure che si tratta di un esercizio di autoironia, che non ha per scopo mostrare come si affronta una crisi, ma il suo contrario: come si scongiura il rischio di minimizzare e banalizzare argomenti e scelte terribilmente importanti, trasformando una possibile tragedia in una farsa social. Nel tipico stile umoristico della destra conservatrice che attualmente guida buona parte dell’Unione.

Su ciò che può essere pensato

Ma se non fosse così? Se la smentita non arrivasse?

In questo caso mi vengono in mente due idee sulle quali riflettere.

La prima l’ha espressa qualche settimana fa Tomaso Montanari, intervenendo alla trasmissione televisiva “Otto e mezzo”, sul video che celebra la nuova età dell’oro di Gaza, sotto la guida sapiente di Donald Trump. Montanari ha spiegato in termini chiarissimi che questa storia per immagini – costruita sul denaro, sul sessismo, sul colonialismo, sul disprezzo per la storia e sull’indifferenza – mostra letteralmente l’osceno, cioè quel che dovrebbe stare “fuori dalla scena”. Mostrandolo lo rende pensabile, perché nel momento in cui lo si vede può diventare possibile: “quando le cose sono nel campo dei social, allora sono agibili”.

La seconda, vecchiotta ma attualissima, è l’analisi condotta dal regista Michael Moore sulle ragioni profonde della passione statunitense per le armi, nel film “Bowling for Columbine” (realizzato nel 2002). In questa passione popolare per la violenza e la sopraffazione, afferma Moore, giocano un ruolo fondamentale i media, che diffondono ogni giorno la paura di un nemico e di un imminente pericolo (nel suo caso, “l’uomo nero”, in cui si saldano il timore e il razzismo), provocando l’insorgere del desiderio di armarsi, difendersi, aggredire. È così che ogni casa diventa una fortezza Bastiani, in attesa dei Tartari di turno.

Media e messaggi

Del video di Lahbib colpisce proprio quest’operazione di costruzione di una realtà fittizia: si rappresenta la guerra come presenza familiare, che può essere vissuta in continuità con la normale quotidianità, semplicemente con qualche avvertenza particolare, spogliata di qualsiasi orrore, ripugnanza, dubbio o rivolta etica.

A rendere efficace il messaggio contribuisce in misura notevole il formato comunicativo e visivo utilizzato. Si tratta del più classico stile degli influencer su Instagram o su Tik Tok: confidenza con lo spettatore, leggerezza, affabilità, ostentazione di una semplicità tanto normale da rendere degno di ascolto e imitazione l’atteggiamento rappresentato, che contenga l’invito a andare tutti in vacanza a Roccaraso o a munirsi degli strumenti essenziali in caso di guerra, pardon di crisi. Naturalmente, con i sottotitoli per chi fatica a capire, e con l’iimmancabile claim finale, identico a quello utilizzato dai marchi commerciali per vendere i loro prodotti: BE PREPARED. BE SAFE.

Insomma, la versione pop di destra della piazza per la pace, pop di sinistra. Lo stesso vuoto, la stessa genericità, considerata in quest’ultimo caso addirittura un vanto, lo stesso risultato: trasmettere un messaggio ambiguo e polisemico, buono per tutti gli usi e per tutte le stagioni culturali.

Mal che vada, con la classica strategia dei politici di ogni appartenenza, si potrà sempre dire che si è trattato di una provocazione.

Gli occhi di Clizia

Da una simile manipolazione dobbiamo difenderci strenuamente. Le prime armi che mi vengono in mente sono Primo Levi, Cormack McCarthy, Eugenio Montale.

Levi ci aiuta per esempio quando riflette sul potere dei media in un bellissimo articolo pubblicato su “La Stampa”, “Perché non ritornino gli Olocausti di ieri (le stragi naziste, la storia e la TV)”. Riconoscendo il valore della miniserie televisiva hollywoodiana “Olocausto”, che altri sopravvissuti ai campi criticavano aspramente, ne riconosce l’onestà intellettuale e ne apprezza la dimensione di prodotto popolare, in grado di raggiungere un numero enorme di spettatori, come nessun romanzo potrebbe mai fare. Ma si chiede poi cosa potrebbe accadere se il controllo dei media finisse in mano a un governo interessato a distruggere il senso critico e la libertà di scelta delle persone. Una situazione, mi sembra, pericolosamente simile a quella in cui versa il dibattito pubblico europeo e italiano sulla guerra, da cui le idee stesse di pace e pacifismo sono state allontanate.

Nel romanzo “La strada”, Mc Carthy ci istilla un sano realismo su quali potrebbero essere le conseguenze estreme di una crisi in cui venissero meno i fondamenti della nostra civile “normalità”. Non ci servirebbe un kit di sopravvivenza, ma ci troveremmo a lottare per sopravvivere in un mondo totalmente nuovo e sconosciuto, in lotta non con noi stessi ma con altre donne e uomini in lotta contro di noi. In questo caso, l’unica arma efficace sarebbe rimanere umani, allontanando la tentazione di cedere alla violenza. Una possibilità rappresentata, per esempio, nel finale di “Fahrenheit 451”, quando ai bagliori della guerra scatenata dal regime si oppone la forza della memoria storica e letteraria, della cultura.

Infine, abbiamo bisogno degli occhi di Clizia, per opporci allo specchio ustorio della propaganda social, anche e soprattutto della massiccia propaganda attuale dei bellicisti italiani e europei.

Niente ci assicura che gli auspici di Montale, delusi dallo scoppio del secondo conflitto mondiale, si realizzino invece questa volta. Forse anche in quest’occasione la forza della cultura e di un umanesimo pacifista non ci salveranno dall’incendio verso cui tante persone di potere ci vogliono portare. Useremo però le nostre armi – l’arte, la letteratura, il pensiero critico – per smascherare la retorica perversa che proclama ad alta voce la superiorità di noi “buoni” sugli altri “cattivi” (categoria nella quale spesso inseriamo oggi con disinvoltura gli amici di ieri), nell’ostentata indifferenza per le ragioni e le sofferenze di chi non è dalla nostra parte.

In questo tragico video si saldano infatti due facce di un discorso profondo sull’infanzia, portato avanti dal neoliberismo dominante.

Una è quella esibita allo spettatore bambino, cullato nell’inconsapevolezza, nell’irresponsabilità e nella confidente seduzione dell’immagine patinata. L’altra è quella nascosta al cittadino, cui si racconta ogni sera, al telegiornale e nei talk show, che se si è dalla parte giusta della storia si possono uccidere impunemente i bambini dei cattivi.

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