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diretto da Romano Luperini

Perché leggere Allegro ma non troppo di Carlo M. Cipolla

La vita è una cosa seria, molto spesso tragica, qualche volta comica. I Greci dell’età classica avvertivano profondamente e coltivavano il senso tragico della vita. I Romani, in genere più pratici, non ne facevano una tragedia ma consideravano la vita una cosa seria: di conseguenza tra le qualità umane apprezzavano in modo particolare la ‘gravitas’ e tenevano in poco conto la ‘levitas’.

Cosa sia il tragico non è difficile né da capire né da definire […]. La serietà è pure una qualità relativamente facile da capire, da definire e per certi versi da praticare. Quel che è difficile da definire e che non a tutti è dato di percepire ed apprezzare è il comico. E l’umorismo che consiste nella capacità di intendere, apprezzare ed esprimere il comico è una dote piuttosto rara tra gli esseri umani. (Carlo M. Cipolla, Allegro ma non troppo, il Mulino, 1988, pag. 5, Traduzione di Anna Parish)

Cipolla è intellettuale troppo fine per non aver inteso dire, fingendo di non dirlo, che il suo libretto è prezioso in quanto espressione pura di una dote rara. E non si potrebbero trovare, del resto, termini più attinenti alla qualità di questo testo, che raccoglie, sotto il titolo di un andamento musicale relativamente veloce, due saggi umoristici, niente affatto comici. L’avvertenza che dà l’autore con il titolo è quella di rallentare nell’affrontare meno di 80 pagine, che possono essere lette molto velocemente, per consentire alla riflessione di cogliere una verità, che giace al fondo, portata in superficie dal comico. Soltanto così si potrà «intendere» e «apprezzare» «l’umorismo», che esprimono i due saggi, nati per una circolazione limitata tra amici di Cipolla. Pepper, wine (and wool) as a dynamic factors of the social and economic development of the middle ages, fu pubblicato da Il Mulino nel 1973, The basic laws of human stupidity, sempre da Il Mulino, uscì nel 1976. Furono poi pubblicati insieme nel 1988 nella prima traduzione italiana ancora oggi in commercio. Cipolla è scomparso nel 2000, ma la sua attività di storico (della moneta, dell’economia, della società, delle epidemie, delle tecnologie, di tutte queste cose specialistiche messe poi insieme a partire da un fatto o per arrivare ad un fatto che spieghi un secolo o il mutare nel tempo) ha prodotto una mole di volumi attuali e di articoli ineludibili per chi della storia fa materia di insegnamento, di studio, o di intrattenimento intellettuale. Ma chi si accostasse a questo grande studioso per la prima volta attraverso queste pagine credo rimarrà stupito della freschezza di un discorso acuto e colto proposto con la leggerezza della brevitas: uno dei caratteri tipici, insieme alla condensazione estrema delle fonti documentarie, della sorridente scrittura di Cipolla.

Perché la storia manca un po’ di pepe

Dopo un’Introduzione (Tanto per incominciare), il primo saggio è Il ruolo delle spezie (e del pepe in particolare) nello sviluppo economico del Medioevo. Argomento tutt’altro che faceto, che si occupa di quelle merci sottili, di alto valore e scarsissimo ingombro, che arricchivano i mercanti medievali. Lo storico prende le mosse dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, anzi ancor prima, dal sacco di Roma del 410 d.C. ad opera di Alarico, quando San Gerolamo «che allora viveva a Betlemme […] non era ancora santo» (pag. 11). Sulle cause della caduta si offre un rapido riepilogo delle opinioni più diffuse e poi si ricorda che

Un sociologo americano ha recentemente messo in discussione il problema avanzando la tesi brillante e originale che Roma decadde per via del progressivo avvelenamento da piombo della classe aristocratica romana (pag. 12)

Gli effetti dell’assunzione massiccia di piombo furono devastanti. «Avvelenati dal piombo e quindi stitici, sterili, ed affetti da “aristotanasia”, i Romani non furono più in grado di contenere i barbari.» (pag. 13) Ha inizio il Medioevo nella cui società tripartita, come viene descritta da Filippo di Vitry, quelli che combattono, i baroni, in realtà, «Coltivavano un’unica passione, quella di menar le mani.» (pag. 14) Alla violenza autoctona si aggiunge quella di Arabi, Ungari e Vichinghi

Per quanto primitivo, il popolo vichingo era per alcuni versi alquanto evoluto. Un antropologo americano riuscì a calcolare il rotated factor index’ dello sviluppo socio-culturale di alcuni popoli primitivi. Il ‘rotated factor index’ per i Vichinghi è 1,60 mentre è 1,73 per gli Aztechi, 0,99 per gli Ottentotti, 0,89 per i Mafulu, 0,44 per i Boscimani e 0,22 per gli Esquimesi. Cosa bene sia il “rotated factor index” lo sa solo l’antropologo americano che lo ha ideato (pag.15, n.2)

E per quanto si pensi che la «rapina» fosse la spinta che muovesse le popolazioni scandinave all’assalto, si ricorda una pubblicazione norvegese che descrive le bellicose donne di quella società come «pericolosamente infide» e mai disposte a farsi sottomettere. «Non fa meraviglia che i mariti di donne così formidabili optassero per lunghi soggiorni all’estero.» (pag. 15) Scoperta la vera ragione delle sanguinarie incursioni vichinghe, si passa a capire il motivo dello squilibrio demografico, in una fase in cui l’altissima mortalità, determinata dalle pessime condizioni di vita e dalla pervasiva violenza, non è compensata dalle nascite. «Dopo la caduta dell’Impero gli Europei avevano fortunatamente perso la cattiva abitudine di sterilizzarsi con il piombo. Ciò fu un bene.» (pag. 16) Ma il languente commercio con l’Oriente privò la popolazione del pepe, come si sa, «potente afrodisiaco». Dunque, molto stentatamente i giovani maschi, senza pepe, poterono compensare le innumerevoli morti e la popolazione diminuì. Fallito l’appuntamento con i cavalieri dell’Apocalisse, l’anno Mille diventa «il turning point della storia europea». Ma «i fondatori dell’imperialismo europeo» (pag. 17) furono il Vescovo di Brema e Pietro l’Eremita. Il primo, ghiotto di miele e selvaggina, spinge le teste calde tedesche a sterminare gli Slavi, la cui terra abbonda di miele, grano e selvaggina, ed a fondare così lo Stato prussiano. Il secondo «non aveva problemi di colesterolo», poiché si nutriva di pesce e vino, «Ciò che nessuno racconta, tuttavia, è che Pietro aveva un debole per i cibi pepati» (pag. 18). Per riaprire la possibilità di avere a disposizione regolari rifornimenti di pepe ha la folgorante idea di promuovere una crociata per liberare la Terra Santa «Con un colpo solo si potevano ottenere l’assicurazione di un dolce futuro premio in Cielo e il premio pepato sulla Terra.» (pag. 19) L’esodo di uomini armati dall’Occidente verso l’Oriente era motivato, oltre che dal poter finalmente menare le mani con la benedizione del pontefice, dalla concreta possibilità di ottenere possedimenti territoriali impediti in patria dal maggiorascato, e dalla prospettiva di ricchi saccheggi, ma «In tutte le forme di migrazione umana, vi sono forze di attrazione e di spinta. Il pepe fu certamente la forza di attrazione; il vino fu la forza di spinta.» (pag.20). Alticci e un po’ allegrotti, i crociati, prima di partire per un lungo viaggio, non dimenticarono di assicurarsi la fedeltà delle mogli con solide cinture di castità: «Furono tempi d’oro per i fabbri e la metallurgia europea entrò in una fase di forte espansione. Questo fu solo il primo di un’intera serie di sviluppi spettacolari.» (pag.22). Sconfitti i musulmani, gli europei scoprirono i piaceri e le donne orientali, dimenticando – tra profumi, ozi, e monete d’oro – le mogli con la cintura

In questa incredibile faccenda in cui furono stranamente coinvolti messer Domineddio, il pepe, le monete d’oro, gli eremiti, i signorotti feudali e le donne saracene, i soli a non perdere la testa furono gli Italiani. (pag. 23)

Sono i Genovesi e i Veneziani a sfruttare le crociate per sviluppare i loro commerci e stabilire alcuni monopoli, con uno spirito che, se fossero stati Olandesi, Tedeschi, Inglesi, sarebbe stato definito calvinista e capitalistico, mentre, trattandosi di Italiani, è stato rubricato come «avidità». Il pepe tornò copioso sulle mense e nei traffici dell’Occidente e giovani uomini, tornati esuberanti e circondati da donne strettamente cinturate, svilupparono «un improvviso grande interesse per la lavorazione del ferro; molti si trasformarono in fabbri e quasi tutti si diedero a produrre chiavi (25)

Le conseguenze sono lo sviluppo della metallurgia e la diffusione in Europa del cognome legato all’attività di liberare le donne dalla cintura (Smith, Schmidt, Fabbri, Ferrero, Favre, Lefevre, etc). Lo sviluppo dei traffici dei mercatanti italiani, e l’afflusso di copiose quantità di pepe e di monete d’oro nelle loro tasche, li convinse a sviluppare l’usura ed a compensare, con generose donazioni a vescovi e abati, l’offesa di rubare il tempo a Dio per far soldi. Abati e vescovi poterono così avviare imponenti costruzioni di cattedrali, dando lavoro a muratori che comprarono pane e vestiti: l’effetto moltiplicatore si avviò nell’economia europea, nel momento in cui il tasso di crescita del reddito aumentava più della popolazione. L’apice del capitalismo medievale si raggiunge quando al pepe orientale si aggiungono la lana inglese, e il vino francese, anche grazie all’esuberanza di Eleonora di Aquitania, consumatrice di pepe, sposa di Luigi VII, il quale «occupava sempre di più il tempo accompagnando i monaci nei loro canti liturgici.» (pag. 32) Inevitabilmente il matrimonio finisce in un annullamento, ma Eleonora sposerà il molto più giovane di lei Enrico, duca di Normandia, che diventerà re di Inghilterra nel 1154, e favorirà l’afflusso costante di vino francese in territorio inglese.

Insomma per i sovrani inglesi il vino era una cosa seria. Nessuna meraviglia dunque, se intorno al 1330, fra il Re d’Inghilterra e il Re di Francia sorgesse una grave disputa per il controllo delle zone viticole francesi. L’infausto risultato di questo litigio fu una guerra che va sotto il nome di «Guerra dei Cento Anni», pur essendo durata 116 anni. (pag. 35)

Alla guerra si accompagnò un altro flagello: la peste. Del resto «Che gli Europei si meritassero una sorta di “punizione” per tutto il pepe che avevano consumato tra il 1000 e il 1300 A.D., è fuori discussione.» (pag. 37). Il decremento demografico che ne seguì arricchì i pochi rimasti a lavorare, i quali divennero consumatori di pepe, potendoselo permettere. Fu così necessario procacciarsene altro. Incominciano così le grandi esplorazioni a partire dai Portoghesi. «Intanto erano andate succedendo altre cose strane.» (pag. 40) Cominciata la Guerra dei Cento Anni, re Edoardo dichiara bancarotta, inducendo i fiorentini ad abbandonare gli affari per darsi «alla pittura, alla cultura e alla poesia. Iniziò così il Rinascimento mentre sul Medioevo calava la parola

FINE»

Perché bisogna conoscere le Leggi fondamentali della stupidità umana

Il secondo saggio è un testo davvero fondamentale, in cui viene nitidamente illustrato quanto confusamente intuito da tutti coloro i quali non sono stupidi, categoria, quella dei non stupidi, che quotidianamente ed improvvisamente diventa vittima degli stupidi

Col sorriso sulle labbra come se compisse la cosa più naturale del mondo lo stupido comparirà improvvisamente a scatafasciare i tuoi piani, distruggere la tua pace, complicarti la vita e il lavoro, farti perdere denaro, tempo, buonumore, appetito, produttività – e tutto questo senza malizia, senza rimorso, e senza ragione. Stupidamente. (pag. 69)

Alle sofferenze che accomunano tutta la materia vivente, gli esseri umani sono i soli ad aggiungere quelle procurate dagli stupidi. Cipolla propone perciò un esame razionale che sia utile alla salvaguardia dell’individuo e della società dal continuo attacco imprevisto di una schiera di stupidi. Si badi:

Occorre sottolineare […] che questo saggio non è né frutto di cinismo né una esercitazione di disfattismo sociale – non più di quanto lo sia un libro di microbiologia. Le pagine seguenti sono, infatti, il risultato di uno sforzo costruttivo per investigare, conoscere e quindi possibilmente neutralizzare una delle più potenti e oscure forze che impediscono la crescita del benessere e della felicità umana. (pag. 44)

Non si tratta di stabilire, neanche velatamente, nuove discriminazioni da insinuare di soppiatto in vecchi e nuovi stereotipi o pregiudizi

Credo fermamente che la stupidità sia una prerogativa indiscriminata di ogni e qualsiasi gruppo umano e che tale prerogativa sia uniformemente distribuita secondo una proporzione costante. Questo fatto è scientificamente espresso dalla Seconda Legge Fondamentaleche dice che:

La probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della stessa persona. (pag. 48)

Si tratta soltanto di una constatazione dell’evidenza

Che la ‘Seconda Legge Fondamentale’ piaccia o non piaccia comunque le sue implicazioni sono diabolicamente ineluttabili: essa comporta infatti che sia che si frequentino circoli eleganti o che ci si rifugi tra i tagliatori di teste della Polinesia, che ci si chiuda in un monastero o che si decida di trascorrere il resto della propria vita in compagnia di donne belle e lussuriose, il fatto permane che si dovrà sempre affrontare la stessa percentuale di gente stupida – percentuale che (in accordo con la ‘Prima Legge’) supererà sempre le più nere previsioni. (pag. 50)

La Prima Legge fondamentale, infatti, recita «senza ambiguità di sorta che:

Sempre ed inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione» (pag. 45). A queste due prime Leggi, ne seguono altre tre, tutte circostanziate, tutte drammaticamente ironiche. Tutte vere. Sorridendo, certo, non possiamo fare a meno di assentire col capo. La vita di tutti i giorni di ognuno è punteggiata da incontri a volte piacevoli e utili, a volte sgradevoli e dannosi.

La nostra vita è anche punteggiata da vicende in cui noi si incorre in perdite di denaro, tempo, energia, appetito, tranquillità e buonumore a causa delle improbabili azioni di qualche assurda creatura che capita nei momenti più impensabili e sconvenienti a procurarci danni, frustrazioni e difficoltà, senza aver assolutamente nulla da guadagnare da quello che compie. Nessuno sa, capisce o può spiegare perché quella assurda creatura fa quello che fa. Infatti non c’è spiegazione – o meglio – c’è una sola spiegazione: la persona in questione è stupida. (pag. 59)

Lascio al lettore il piacere di sorridere e di riflettere sulle altre Leggi Fondamentali. Lo lascerò lambiccarsi sugli assi cartesiani proposti e costruiti da Cipolla e persino offerti in Appendice per un uso personale, ma non posso accomiatarmi senza riportare la Terza – ed aurea – Legge Fondamentale, che sottolinea l’assurda pericolosità dello stupido:

Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita. (pag. 58)

Perché abbiamo bisogno dell’intelligenza

Esistono molti modi di ridere e molteplici sono le cause che possono indurre al riso. Questo libretto dimostra che si può ridere usando la propria cultura in modo intelligente, procurando agli altri un piacere che nasce dalla condivisione della conoscenza. Di questi tempi, forse più che in altri, dovremmo difendere il baluardo del riso intelligente, della parola intelligente, del pensiero intelligente: perché noi oggi sappiamo bene che Stupidità e potere o Il potere della stupidità non sono soltanto il capitolo settimo e il capitolo ottavo del libretto di Cipolla, ma anche delle emergenze politiche culturali e sociali. Infatti,

Non è difficile comprendere come il potere politico o economico o burocratico accresca il potenziale nocivo di una persona stupida. (pag. 67)

Dobbiamo imparare a difenderci dai banditi, certo, e di fronte agli stupidi, dobbiamo deciderci a non essere pervicacemente sprovveduti. Per questo dopo ogni lettura di questi due saggi di un raffinatissimo storico, mi sento allegro, ma non troppo.

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