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diretto da Romano Luperini

Legami di Eshkol Nevo: un viaggio tra cuori affamati

Everybody needs a place to rest
Everybody wants to have a home
Don′t make no difference what nobody says
Ain't nobody like to be alone
Everybody′s got a hungry heart
Everybody's got a hungry heart

«Tutti abbiamo un cuore affamato» ripete la canzone di Bruce Springsteen che lo scrittore israeliano Nevo cita nel primo racconto del suo ultimo libro, e che dà il titolo, Lev Raev (cuore affamato), all’edizione originale in ebraico dell’intera raccolta: venti racconti scritti nell’arco di tredici anni, dal 2010 al 2023, e pubblicati in Israele poco prima dell’attacco di Hamas del 7 ottobre.

Legami è il titolo del libro uscito in Italia a maggio 2024, nella traduzione di Raffaella Scardi,per il nuovo marchio editoriale Gramma di Feltrinelli, di cui peraltro questo libro inaugura il catalogo. Pur non essendo la traduzione di quello originale, il titolo della raccolta italiana lo completa e lo definisce, in quanto i cuori affamati sono quelli dei protagonisti delle storie, tutti alla ricerca di legami e di relazioni, di momenti da condividere che, come ci insegna Nevo, possiedono la forza di unire e di costruire, ma che espongono anche al rischio dell’altro e quindi hanno la capacità di creare fratture e separazioni. E non potrebbe essere diversamente, perchè i racconti fotografano momenti di vita, storie tratte dalla vita, dove gli esseri umani sbagliano, soffrono, ma trovano comunque la forza per andare avanti, anche se non sempre è garantita loro la possibilità di farcela. Come accade nella vita, appunto.

Racconti sospesi

A rendere ancora più efficace la narrazione di queste esistenze contribuisce la forma breve del racconto, capace di concentrare in poche pagine momenti rivelatori di una vita intera, senza avere la pretesa di essere esaustiva, tantomeno di imporre un’interpretazione univoca dell’esistenza. Offrendo una molteplicità di prospettive e di situazioni, grazie anche a una focalizzazione multipla che di volta in volta propone narratori esterni o interni, Nevo ci mostra luci e ombre dei legami umani, lasciandoci la possibilità di guardare oltre il singolo attimo e permettendoci di attribuire un significato più ampio all’esistenza umana. È il suo un gesto di fiducia verso il lettore, lo stesso che mette in pratica quando lascia alcuni racconti senza conclusione. Leggendo queste storie aperte non si ha infatti la sensazione che lo scrittore intenda ammiccare al lettore con strategie narrative, quanto che voglia farlo sentire parte della storia, di quel legame, e invitarlo a partecipare alla costruzione di un futuro. Quello dei protagonisti, ma anche quello di tutti noi, delle nostre relazioni. Relazioni di cui Nevo non nasconde la complessità, e delle quali semmai sottolinea il dolore, la perdita e la crisi che spesso implicano. Ma il conflitto è anche il cuore della storia, anzi, ogni storia esiste perché in qualche modo c’è un conflitto, e dunque, nonostante i rischi di esporsi a relazioni con altri, ciò che veramente conta, suggerisce Nevo, è la disposizione all’ascolto dell’altro, non negare, cioè, l’incontro e il legame con l’altro: le persone possono guarirsi a vicenda e ciascuno può tentare di saziare il proprio cuore affamato, come l’hungry heart di Bruce Springsteen che dà il titolo al racconto che apre la raccolta.

In questa storia, un concerto parigino di The Boss diventa infatti l’occasione per raccontare gli ultimi momenti condivisi da un padre gravemente malato, il cui cuore è ancora affamato di vita nonostante il poco tempo che gli resta, e da un figlio preoccupato per le condizioni di salute del genitore. Dopo la morte del padre, per il protagonista passeranno «parecchi anni prima che sia in grado di ascoltare Springsteen», eppure leggendo il racconto si ha la percezione che i momenti di quell’ultimo concerto condiviso abbiano lasciato una traccia profonda: «Il padre gli lancia un’occhiata e sentono tutti e due, senza bisogno di dire una parola, che sta arrivando: il momento clou […] Trecentomila persone gridano il loro cuore affamato. Grida anche lui. Insieme a suo padre. Che durante la seconda strofa gli posa la mano sulla spalla, metà abbracciandolo, metà cercando sostegno» (p. 22).

La musica come «parte strutturante della trama»

E non deve stupirci il fatto che Nevo abbia scelto una canzone per dare inizio alla sua rassegna di storie, del resto la musica ricopre un ruolo importante sia all’interno di questa raccolta che nelle altre opere dello scrittore israeliano. Dalla musica classica alla musica rock e pop, numerosi sono i riferimenti che, come scrive Luisa Mirone, non si limitano ad essere un accompagnamento, ma «struttura, parte strutturante della trama». Insomma, alla musica «è affidato il compito di dire quel che uomini e donne non si dicono, pur pensandolo, pur vivendolo, soffocandolo ostinatamente dentro di sé». Proprio come accade a questo padre e a questo figlio, per i quali le note della canzone diventano un’occasione per allontanare lo spettro della perdita.

Legami si apre dunque con una canzone per parlarci della morte, e termina con le campane di una chiesa che suonano mentre lo scrittore protagonista del racconto ha da poco perso sua madre. Tra i due racconti si sviluppano le altre storie, ciascuna intenta a celebrare i legami umani, ma anche a mostrare la sofferenza e il dolore che accompagnano le nostre vite. Eppure, come per il protagonista di Campane, questo è il titolo dell’ultimo racconto, l’unico ambientato in Italia, e nella fattispecie a Torino, una fine può coincidere con un nuovo inizio. Dal dolore si può guarire, e ascoltare il desiderio può essere la strada per la rinascita e per cambiare il proprio destino.

È questo un messaggio di speranza, una seconda possibilità che ogni storia cerca di dimostrare, e che in Forty-love, dove si racconta una partita a tennis con una sposa che appare solo per pochi attimi, lasciando presagire un legame subito interrotto, si fa esplicita: «Nel nostro corpo abbiamo due di tutto: orecchie, gambe, braccia, occhi. Lo stesso con questa ragazza, figliolo, anche con lei avrai una seconda occasione. Non preoccuparti. La vita è lunga» (p. 56).

La guerra in sottofondo: tra dolore individuale e dolore collettivo

La seconda occasione di Nevo non riguarda soltanto le ferite individuali, ma anche quelle collettive, e tra tutte la situazione politica tra Israele e Palestina. Pur non essendo argomento centrale dei racconti, la guerra arabo-israeliana è infatti una presenza sottesa alla narrazione e contribuisce a darle intensità. Se dietro le relazioni interpersonali si annida spesso il conflitto, il Medioriente è lo sfondo sociale e politico di ogni racconto. Nevo ci parla delle nostre vite parlandoci anche dei principali problemi del suo paese, di un conflitto che può risolversi solo attraversando il dolore, elaborando il lutto e cercando la salvezza attraverso il dialogo.

Questo legame stretto tra il dolore individuale e quello collettivo ce lo svela il racconto Ogni cosa è fragile. Le vicende personali di Yonathan e Dave, i due protagonisti che si ritrovano dopo dieci anni di incomprensibile distacco («per oltre dieci anni non abbiamo avuto contatti. Non si può dire che avessimo litigato, nessuno scontro o scambio di offese, sono cose che tra uomini di solito non succedono. Ma il distacco è stato netto e doloroso», p. 113), rimandano alle ferite inguaribili della storia dei due paesi nei quali si snoda la vicenda: ancora una volta Israele e Palestina. Lo scenario è infatti l’ospedale psichiatrico di Kfar Shaul, eretto sulle rovine di Deir Yassin, il villaggio arabo in cui, nel 1948, gruppi sionisti compirono un orrendo massacro. «La verità non scompare mai, resta in attesa del momento migliore per riemergere», dice Yonathan all’amico, e continua: «se provi a cancellare il passato, ti esplode in faccia. E poi, somma gli arabi israeliani ai palestinesi al di là della Linea Verde, moltiplicali per il tasso di natalità, e ti renderai conto che è solo questione di tempo prima che -» (p. 157). Riconoscere le ferite è dunque il modo migliore per iniziare a costruire qualcosa di nuovo.

È insomma una Questione di tempo, come cita anche il titolo di uno dei racconti, perché i cambiamenti che esso porta con sé sono decisivi. Il tempo, insieme al desiderio che spinge ogni personaggio verso gli altri, alla ricerca, appunto, di legami, è senza dubbio uno dei fili conduttori dell’intero libro, di questi racconti tenuti insieme da una forte spinta verso la vita. La vita di cui i corpi sono parte fondamentale, con la loro fisicità, il loro calore e i profumi. Corpi che vogliono e devono essere toccati, ma che qualche volta sono anche difficili da sostenere. Per qualcuno come Yonathan infatti «la vita è troppo, Dave, dice alla fine. Tutto gli penetra dentro, senza filtri, senza meccanismi di difesa, tutto gli trafigge il cuore. E a volte …. non ce la fanno più a tollerarlo» (p. 165). E allora decidono di togliersi il peso del corpo, e della vita.

Ma Ain’t nobody like to be alone (“A nessuno piace stare solo”) insistono le note di Hungry heart, e allora dobbiamo credere ancora, o forse ancora di più, nella forza dei legami che soli possono spingerci a riprendere in mano una vita e a guardare avanti, con la speranza di una seconda possibilità. Ecco il messaggio del libro di Nevo: a una grande crisi, come quella che stiamo vivendo oggi, può seguire un nuovo inizio. Continuiamo a credere che sia possibile.

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