Da Foscolo a Mary Shelley, viaggio fantastico alla ricerca del proprio alter ego
Le cosiddette attività di “scrittura creativa”, dall’ideazione di personaggi e ambientazioni alla stesura di racconti, sono tra quelle che gli alunni della scuola secondaria di primo grado accolgono sempre con grande entusiasmo. Allo stesso tempo sono anche quelle che, con altrettanta facilità, rischiano di essere equivocate e quindi di diventare caotiche e improduttive, se nell’elaborazione del percorso si omettono alcuni passaggi. Probabilmente tutti i docenti di questo ordine — ma non solo — magari all’inizio della propria esperienza didattica, sono passati attraverso la lettura di elaborati dei propri studenti in cui si succedono, in modo abbastanza incoerente, eventi sconnessi, di cui sono protagonisti ridde di personaggi poco credibili. La gestione di testi complessi, come può esserlo un testo d’invenzione, mette in campo certamente abilità che si sviluppano lentamente nel tempo ma, al netto di questo dato di fatto, permane forse ancora una sorta di diffidenza rispetto all’opportunità di sottoporre l’ideazione e la scrittura di un testo a una serie di vincoli, come se appunto la libera creatività rischiasse così di restare imbrigliata. L’esperienza (che certo non si pretende esaustiva) indica invece che più lentamente e approfonditamente si procede nelle fasi preliminari, e con vincoli chiari, più salda risulta la scrittura e, soprattutto, meno inficiata da incoerenze e salti logici. In questo pezzo si propone un percorso di ideazione di un personaggio per un racconto fantastico, destinato a una classe terza della secondaria di primo grado. Il punto di partenza del percorso è rappresentato dall’insieme delle conoscenze e delle esperienze che gli alunni hanno maturato attraverso la lettura di alcuni testi di Ugo Foscolo e del romanzo Frankenstein di Mary Shelley.
Le letture foscoliane: autobiografia e trasfigurazione
Le ultime lettere di Jacopo Ortis è stato il testo di partenza nel percorso di lettura. Anche se il romanzo foscoliano non è antologizzato nella gran parte dei manuali di letteratura della secondaria di primo grado, si è scelto di presentarlo perché offre una irrinunciabile opportunità di avviare gli alunni a una prima forma di storicizzazione, data l’evidenza dei riferimenti all’età napoleonica, il cui studio viene di solito affrontato tra la seconda e la terza media. Tuttavia l’opera va proposta con una certa cautela, sia per la presenza del tema del suicidio, che impatta sempre in modo potente sui pre-adolescenti, sia per evitare semplicistiche (e anche pericolose) sovrapposizioni tra biografia e letteratura, a maggior ragione per un testo che ha rappresentato a suo tempo un vero e proprio caso editoriale e che si caratterizza proprio per le plurime stratificazioni riconducibili a momenti diversi della vita dell’autore. Si tratta di aspetti che vanno tenuti presenti anche se non affrontati in modo esplicito. Per questo ordine infatti può essere più utile mostrare con chiarezza la cornice narrativa e i meccanismi del racconto ortisiano/ foscoliano, in modo da rendere esplicito e leggibile il congegno entro il quale prende forma la magmatica materia che costituisce l’opera. In questo modo si può aprire una prima preliminare riflessione sulla letteratura come strumento attraverso il quale l’autore rielabora la propria esperienza, distanziandosene. Quanto ai brani selezionati, la scelta è ricaduta su due tra le lettere più note: quella di apertura, in cui il personaggio è presentato in uno dei suoi momenti più cupi e angosciosi, e la lettera del 15 maggio, in cui Jacopo racconta a Lorenzo gli effetti che ha prodotto in lui il bacio di Teresa, celebrando il potere creativo dell’Amore. Le due lettere sono state scelte non solo perché esprimono emblematicamente i due temi del romanzo, ma anche perché di entrambi i temi toccano polarità opposte: la delusione politica e la conseguente disperazione in uno dei suoi momenti di acme e il tema dell’amore, in uno dei momenti di maggiore intensità. Inoltre gli stessi temi ritornano nei sonetti autobiografici selezionati, in cui Foscolo si confronta da un lato con una potente istanza di autodefinizione e dall’altro con il proprio senso di fallimento e quindi con una altrettanto potente crisi di identità: Solcata ho fronte… e Non son chi fui; perì di noi gran parte. Di là dal valore letterario del primo dei due componimenti — rispetto al quale la critica ha ampiamente infierito, specie nel confronto con il modello alfieriano (Sublime specchio di veraci detti) oltre che con l’analogo esperimento manzoniano — l’accostamento dei due testi è interessante perché mette di fronte due autorappresentazioni estremamente diverse dell’autore. La prima molto concreta — fisicamente e psicologicamente — decisa, salda. Nella seconda, al contrario, già dall’attacco il poeta non riconosce più sé stesso perché l’esperienza della guerra lo ha corrotto («[…] empia licenza e Marte/ vestivan me del lor sanguineo manto») mettendo in crisi la sua ispirazione e insieme la sua capacità di amare («E secco è il mirto, e son le foglie sparte/ del lauro, speme al giovenil mio canto»). Entrambi i testi si chiudono con il riferimento alla morte, che nel primo caso è la conclusione sperata e attesa della vita del poeta, che suggellerà comunque con certezza la sua gloria poetica («morte sol mi darà fama e riposo»), mentre nel secondo testo è evocata nella forma del suicidio, come la giusta scelta che il poeta non riesce a compiere («e so invocare, e non darmi la morte»). Nel percorso di lettura la riflessione sul venir meno dell’ispirazione poetica consente poi di indagare dal polo opposto rispetto all’Ortis il tema della creatività e, unitamente al rimando alla gloria postuma, apre un discorso metapoetico sul ruolo della poesia appunto e della letteratura nella vita, consentendo di proseguire la riflessione sul rapporto tra vita e arte. A conclusione del percorso di lettura di Foscolo è stato infine proposto il sonetto Alla sera, che come noto appartiene a un’epoca successiva e più matura stilisticamente, nel quale il tema della morte è ulteriormente trasfigurato. La stessa esperienza dell’autore, attraverso anche l’articolazione sintattica del testo, risulta pacificata e viene restituita ricomposta su un piano che non è più quello individuale, sulla spinta della necessaria affermazione identitaria che caratterizzava i precedenti sonetti, ma su quello di una vicenda umana universale.
I testi selezionati, quindi, hanno rappresentato degli esempi paradigmatici attraverso i quali gli alunni hanno potuto osservare come la materia autobiografica è stata variamente trasfigurata dall’autore non solo confrontando il personaggio Ortis con Foscolo, ma anche comparando diverse autorappresentazioni di Foscolo stesso. Il lavoro in classe è stato centrato sul testo: lettura, parafrasi e commento, seguiti sempre da un dibattito in plenaria, a cui sono state affiancate altre attività. Ad esempio, dopo la lettura del sonetto Solcata ho fronte…, seguendo il testo, gli alunni hanno abbozzato un ritratto del poeta che hanno poi confrontato con i ritratti d’epoca, che avevano la consegna di non cercare in rete fino al termine del loro lavoro. Per molti è stato divertente e allo stesso tempo sorprendente mettere a confronto la loro idea di Foscolo con l’immagine che effettivamente si sono poi trovati davanti.
Piccolo repertorio di alter ego
Al termine del percorso foscoliano gli alunni avevano quindi sufficienti conoscenze per poter individuare nel personaggio di Jacopo Ortis un alter ego dell’autore. Contestualmente, nell’ora di narrativa, la classe stava leggendo Frankenstein. In realtà si trattava di una rilettura antologica guidata dall’insegnante, poiché il testo era stato assegnato come lettura per le vacanze, con l’intento di tornare sul libro all’inizio della classe terza, data la sua notevole complessità.
L’accostamento del testo di Mary Shelley alle letture foscoliane ha offerto la possibilità di riflettere da un ulteriore punto di vista sul tema dell’alter ego e del doppio, dato che tra i molteplici piani di interpretazione del complesso simbolismo che lo percorre, si può indagare quello che consente di leggere il libro anche come una favolosa metafora del rapporto tra l’autore (Victor) e la propria opera (la creatura), essendo ricchissimo in questo senso di rimandi e simmetrie interne. Gli alunni hanno quindi costruito una tabella nella quale hanno rintracciato, nelle porzioni di testo lette insieme in classe, gli elementi di analogia tra il dottor Frankenstein e la creatura, in riferimento al rapporto con gli elementi naturali, ai sentimenti di rifiuto, esclusione, disperazione e solitudine provati da entrambi, esplicitando la concatenazione degli eventi e le circostanze che hanno di fatto prodotto queste analogie.
Parallelamente, nelle ore di letteratura, gli alunni hanno lavorato alla compilazione di una tabella in cui hanno messo in evidenza, motivandole, le analogie e le somiglianze tra l’esperienza del personaggio Jacopo Ortis e la vicenda biografica di Foscolo, così come è rappresentata attraverso i sonetti. In particolare si sono soffermati sul contesto storico di riferimento e su come il personaggio Ortis e Foscolo si siano diversamente o analogamente confrontati con i temi dell’esilio, del suicidio e dell’amore.
In questo seppur limitato repertorio di alter ego, e segnatamente in riferimento a Foscolo, è fondamentale richiamare anche il personaggio di Didimo Chierico, ironico e disincantato, e tenere a mente che anche Jacopo Ortis talvolta condivide con lui gli stessi accenti. Anche in questo caso, seppure il personaggio non viene presentato agli alunni, è importante che l’insegnante tenga presente in filigrana nel suo discorso le caratteristiche di Didimo Chierico, proprio per conservare coscienza — e quindi veicolarla agli alunni — del distacco autoriale di Foscolo e del fatto che i toni (melo)drammatici dell’Ortis rappresentano una delle opzioni espressive a disposizione dell’autore, rispetto ai temi principali che attraversano la sua opera.
Il lavoro su sé stessi e l’ideazione del personaggio
A questo punto gli alunni hanno redatto una terza tabella simile alle precedenti, finalizzata alla costruzione di un proprio alter ego, seguendo alcune linee guida per la caratterizzazione. Stavolta quindi su una colonna della tabella dovevano porre sé stessi e sull’altra il proprio alter ego. Dovevano rendere conto dell’aspetto fisico, dell’abbigliamento, del comportamento e del rapporto con gli altri, degli stati d’animo prevalenti, di qualità e difetti, interessi, progetti per il futuro, e così via. I vincoli prevedevano che l’alter ego fosse un coetaneo che vive in epoca contemporanea. Punto di partenza del lavoro, come detto, doveva essere una riflessione su sé stessi rispetto alla quale definire, per analogia o contrasto, gli aspetti omologhi del proprio personaggio. Gli alunni hanno potuto scegliere di enfatizzare aspetti che riconoscono come positivi o negativi della propria personalità, accentuare tratti che riconoscono come fondativi del proprio carattere deformando l’alter ego attraverso quel determinato filtro, oppure al contrario potevano scegliere di rovesciare completamente il personaggio rispetto a sé stessi.
Dopo la compilazione della tabella, partendo dai tratti distintivi che avevano portato in evidenza, gli alunni hanno realizzato un testo descrittivo dell’alter ego. Chi ha voluto lo ha letto in classe e ne ha discusso con l’insegnante e i compagni, spiegando a partire da quale aspetto di sé stesso/a è arrivato/a ad attribuire determinate caratteristiche al proprio personaggio. Questa fase del lavoro è servita anche a limitare gli elementi di eccessiva incoerenza o rigidità nelle descrizioni e a rendere i personaggi più credibili, evitando schematismi o soluzioni troppo semplicistiche. Molti hanno assegnato al proprio alter ego delle doti eccellenti nelle materie a loro più ostiche. Questa ad esempio è diventata l’occasione per riflettere su quali cose interessanti potrebbe fare un ragazzino/a appassionato/a di storia e, quindi, un’opportunità per confrontarsi da un altro punto di osservazione con una propria idiosincrasia nei confronti di questa come di altre discipline. Altri hanno utilizzato il proprio alter ego per affrontare aspetti del loro carattere che creano disagio e sofferenza, come l’eccessiva timidezza o la paura di non essere visti e riconosciuti per ciò che si è veramente. Al termine di questa fase del lavoro, guidati dall’insegnante, gli alunni hanno individuato una parola-emblema con la quale identificare l’essenza del personaggio: superficiale; divisa; ipersensibile; invisibile; spericolato; bizzarro; fiducioso; cinofobico, e così via.
Nella fase successiva del lavoro, che ha richiesto diverse stesure, a partire dalla parola-emblema, gli alunni dovevano assegnare un potere al proprio alter ego, estremizzando quanto espresso dalla parola e provando a raccontare la genesi del potere e come il personaggio ha appreso di possederlo. Un paio di esempi:
PAROLA-EMBLEMA: superficiale
Valeria/ alter-ego Sofia: «… anche se vive il momento senza pensieri, fa sempre le cose di fretta, soprattutto le attività che la annoiano e che non le interessano vorrebbe che passassero in fretta. Infatti la sua frase preferita, e quella che utilizza più frequentemente, è: “Non vedo l’ora che…” […] Un giorno Sofia si alzò dal letto già annoiata e nervosa, come ogni mattina, e la prima cosa che disse fu: “Non vedo l’ora che venga questa sera!”. Un attimo dopo si alzò e fuori dalla finestra era totalmente buio. Guardò l’ora ed erano le otto di sera».
PAROLA-EMBLEMA: fiducioso
Daniele / alter-ego Damiano: «Damiano è un ragazzo con una abilità molto particolare. Il suo potere consiste nel riuscire, tramite la fiducia, a far realizzare piccole cose, come prendere bei voti, rincontrare nei suoi sogni il suo defunto padre, incontrare personalità famose. La sua specialità proviene da lui e dall’anima del padre intrappolata in un ciondolo, che lui fa attivare la notte prima di dormire, così il mattino dopo, la fiducia che lui ripone in quella cosa la fa diventare un fatto concreto».
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G.B. Palumbo Editore
Molto interessante, mi piacerebbe usarlo con i miei ragazzi, ricevere altri stimoli e magari confrotare le esperienze.