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diretto da Romano Luperini

Leggere e scrivere /1. Imparare a scrivere, insegnare a scrivere. Il laboratorio di scrittura nella quotidianità didattica

Da esercitazioni concrete emergerà la consapevolezza che lo scrivere serve ad esprimere se stessi, commuovere, informare, persuadere, documentare, rendere esplicito il proprio pensiero, mediante appropriate forme linguistiche […] E’ da sottolineare l’esigenza di offrire costanti occasioni agli alunni di esprimersi liberamente nelle forme e nei modi che meglio corrispondono alle loro esigenze e al loro livello di maturazione. In tali libere attività espressive è consigliabile associare alla scrittura disegni, fotografie, schemi, diagrammi, ecc., congiungendo linguaggi diversi in un unico risultato espressivo.

Programmi per la scuola media 1985

Scrive correttamente testi di tipo diverso (narrativo, descrittivo, espositivo, argomentativo) adeguati a situazione argomento scopo e destinatario.  Produce testi multimediali, utilizzando in modo efficace l’accostamento di linguaggi verbali con quelli iconici e multimediali

Indicazioni ministeriali 2012 (tuttora vigenti)

A leggere entrambi i testi si evince la necessità, per la scuola del primo ciclo, di insegnare a scrivere e di considerare la scrittura anche come unione di linguaggi diversi in un unico risultato espressivo. Né nei programmi dell’85, né nelle indicazioni nazionali si parla, invece, di testo scritto realizzato in due ore e poi corretto, valutato e riconsegnato; della prassi standard della scuola italiana, insomma. Credo che questa pratica sia derivata a cascata dalla tipologia di testo richiesta dell’esame di stato, dove giocoforza il tempo deve essere limitato, ma che è una prova conclusiva alla fine di un percorso, non dimentichiamolo. Così insegnare a scrivere ha spesso solo significato far produrre in un tempo prestabilito un testo su traccia, nel quale il binomio bella/brutta da solo sembra debba garantire una revisione efficace e la correzione dell’insegnante, spesso né letta né analizzata e compresa, è per lo studente accessoria rispetto al voto.

Un tempo così ristretto per scrivere e una didattica della scrittura schiacciata sul prodotto più che sul processo possono avere senso solo laddove gli studenti abbiano conseguito già le competenze di base per la scrittura e siano in grado di scrivere testi coerenti, coesi e corretti. Ma quando questi prerequisiti mancano, o sono presenti solo a livello iniziale, risolvere la didattica della scrittura in un’esercitazione che abbia a modello la richiesta d’esame mi pare simile a pensare che per insegnare a giocare a calcio basti mettere undici ragazzini e ragazzine a simulare la partita durante gli allenamenti. Sappiamo tutti che per imparare a giocare sono necessari preparazione atletica, esercizi vari e ripetuti, strategie mirate, consulenze e correzioni individuali: quello che succede in partita viene smontato e imparato passo passo, per poi essere messo in campo in modo nuovo e autonomo. Con la scrittura avviene lo stesso: perché possa essere appresa ha bisogno di tempo, di tecniche, di analisi di testi che fungano da modello e di strutturare il percorso in passaggi ben definiti.

Da diversi anni, nelle mie classi, la scrittura su traccia non inizia prima del secondo anno ed è solo una delle modalità con cui affrontiamo la scrittura che, di norma, invece, segue ritmi e tempi più distesi in linea con la metodologia del writing workshop. In concreto, a una prima fase di immersione nel genere o nella tipologia testuale che si vuole affrontare, durante la quale individuiamo le caratteristiche, formali, tematiche e contenutistiche, segue il momento della scrittura vera e propria così suddivisa:

  1. Trovare e generare buone idee: aiutati da degli strumenti come gli attivatori, i ragazzi passano in rassegna varie idee e scelgono il loro argomento, ciò di cui vorranno scrivere. Come vedete non c’è una traccia, c’è la massima libertà anche se dovranno attenersi al genere scelto: ad esempio se si tratta di testo argomentativo dovranno rispettarne la forma e le caratteristiche che abbiamo messo in luce in precedenza, ma potranno scegliere di scrivere un testo su un argomento di loro interesse.
  2. Prescrittura: si tratta ora di pianificare il testo, attraverso organizzatori grafici che uniscono il canale visivo con la lingua scritta: la curva della narrazione, lo storyboard, lo schema “prima succede che, poi succede che, infine succede che”, sono solo alcuni esempi.
  3. La stesura della bozza: i ragazzi scrivono in due/tre sessioni di scrittura a settimana. I primi venti minuti solitamente sono occupati da una breve lezione di tecnica di scrittura, che esemplificano sul quaderno e possono scegliere di applicare subito nel testo.
  4. La revisione: è il momento in cui inserisco le minilezioni di grammatica o quelle più adatte a una revisione finale del testo, sia pensandosi editor (e quindi l’uso della punteggiatura, il rispetto dei tempi verbali, le regole ortografiche) sia mettendosi nei panni dei lettori (ad esempio sono bilanciate le sequenze? Il titolo è efficace? L’incipit e il finale sono adeguati?)
  5. Editing: è il momento della consegna, che deve rispettare le regole formali stabilite (scrittura a mano, intestazione del foglio, formattazione in caso di testo editato al pc). Il giorno della consegna ciascun ragazzo scriverà, poi, un testo su traccia, per spiegare il processo che lo ha portato alla scrittura del suo testo e ne fornirà un commento.

Durante le sessioni di scrittura io giro tra i banchi e fornisco consulenza di scrittura, esattamente come un allenatore durante le sessioni di lavoro.

Questo percorso di scrittura non è breve e certamente non occupa le due ore/tre ore di solito concesse per il tema in classe: normalmente (poi molto dipende dall’età e dall’esperienza nel laboratorio di scrittura) la sequenza immersione e scrittura occupa almeno due mesi con due/tre sessioni di un’ora a settimana.

Un esempio: il multi scena autobiografico in classe terza secondaria di primo grado

L’idea per il testo mi è venuta pensando a questi tre anni e alla mia particolare esperienza con il Covid. In particolare, mi hanno aiutata molto due attivatori: l’iceberg, che mi ha permesso di definire l’argomento e il tema, e “le cose, le persone e i momenti che ho nel cuore”, che mi è servito per individuare e scegliere gli episodi da raccontare. Anche il biopoem e “prima e dopo” mi sono stati utili per individuare chi sono e il mio cambiamento in questi tre anni.

Per avere le idee più chiare e per pianificare meglio il mio testo ho dovuto fare prima una curva della narrazione e poi uno storyboard: disegnare le scene che avevo nella testa fin nei minimi dettagli, vestiti compresi, mi è servito molto per metterle poi per iscritto. Ho avuto un po’ più di difficoltà mentre scrivevo la bozza, soprattutto nel centrare l’argomento, che ho cambiato tre volte prima di trovare la chiave giusta: ho usato varie strategie, come il “mostra non dire”, descrivi con brio, fai emergere il tema (dopo averlo nascosto bene).

Ho scelto di inserire un dialogo “botta e risposta”: questo all’inizio mi ha messo in difficoltà, poi, trovando la giusta forma, mi è piaciuto scriverlo, ne ho persino inseriti due. I miei dialoghi sono molto brevi, non ti annoiano, servono quasi a fornire uno stacco e un po’ di movimento nella sequenza narrativa, a inserire delle voci, per far ascoltare al lettore quel momento.

Per la revisione, in questo testo particolare che è il multiscena, ho tolto i pezzi in cui mischiavo troppo gli argomenti: ho cercato di suddividere le parti in paragrafi, ciascuno con il suo titolo, ispirandomi alle suddivisioni del racconto di Dahl.

Così Aurora racconta la progettazione e la stesura del suo racconto “ Pezzi di foto”, continua poi fornendoci un’analisi del testo: il tema che ha scelto (i tre anni delle medie, ma il vero tema, che ho cercato di nascondere e di far risaltare allo stesso tempo, è il cambiamento), le parti che a suo dire le sono meglio e peggio riuscite, la scelta del titolo, le difficoltà che ha incontrato. Termina con un appello e un consiglio al lettore, come richiesto dalla traccia che hanno dovuto seguire per scrivere sul loro percorso di scrittura.

Facciamo ora però un ulteriore passo indietro: come siamo giunti a individuare le caratteristiche del testo che avrebbero dovuto scrivere?

Nei tre anni della scuola secondaria di primo grado prevedo la scrittura e stesura di un testo autobiografico ogni anno: un momento per me importante in prima, la descrizione di un piccolo momento di felicità in seconda e il multi scena in terza. Tra l’altro la possibilità di rileggere i propri testi (sono conservati nel porta listino dei testi composti nel triennio) fornisce loro già una chiave per comprendere come sono migliorati e cresciuti nella scrittura: leggere i propri racconti del passato diventa, così, un importante lavoro di orientamento.

Il racconto multiscena è un testo in cui vengono presentati vari quadri uniti da uno stesso filo conduttore, con l’obiettivo di illustrare un tema: il racconto di Dahl Un colpo di fortuna (Un gioco da ragazzi e altre storie, Salani Editore, 2012) è stato il nostro testo modello. L’autore norvegese descrive il caso fortuito, l’incontro con lo scrittore Forester, che gli permise di diventare scrittore: l’incipit cispiega le motivazioni che lo spingono a raccontare, argomento che sarà il filo conduttore di tutte le vicende.

Dopo la lettura e l’analisi di questo e altri brani, tratti da Boy, sempre di Dahl, e da Open di Agassi, abbiamo definito le caratteristiche che avremmo dovuto rispettare per scrivere il testo: un incipit che presentasse l’autore, due tre episodi che esemplificassero il tema del testo, un finale che dimostrasse quanto volevano illustrare (oltre naturalmente a tutte le caratteristiche del testo autobiografico che avevamo già imparato a conoscere gli anni precedenti). E abbiamo dato il via al nostro laboratorio di scrittura.

Attivatori, organizzatori e minilezioni

Rem tene verba sequentur dicevano gli antichi, e ciò vale ancora di più per la scrittura: spesso per i nostri studenti la parte più complessa è trovare qualcosa sui cui valga la pena di scrivere. Imparare a trovare idee deve far parte del bagaglio di chiunque voglia scrivere, un utile strumento, in questo caso, sono gli attivatori. Si tratta di aggregatori e produttori di idee su cui lo studente scrittore potrà ritornare per scrivere più in profondità: possono avere diverse forme anche grafiche e funzionano come organizzatori e catalogatori di idee. Per il multiscena ho proposto loro quattro tipi di attivatori:

  1. Un cuore in cui inserire le cose, gli animali, le persone, i momenti che conservano nel cuore relativi a questi tre anni, ponendo nella parte centrale ciò che è per loro più importante
  2. “prima/ ora”: una tabella a due uscite in cui inserire come erano tre anni fa e come sono ora rispetto a la scuola/le relazioni con gli amici/le passioni/ i sogni
  3. Una lista di momenti: momenti in cui ho riso fino alle lacrime, momenti in cui sono stato/a felice, momenti in cui sono stato/a triste, momenti in cui sono stato/a soddisfatto di me
  4. Il biopoem: un testo poetico a struttura fisso, che li ha aiutati a trovare una via per descrivere loro stessi

Per pianificare il testo, oltre alla curva della narrazione e allo storyboard, molto utile si è rivelato “L’iceberg”, strumento che già conoscono perché è una delle strategie di comprensione. In questo caso va usato applicato al testo che hanno intenzione di scrivere: nella cima dell’iceberg inseriscono l’argomento del testo, nella parte sott’acqua invece il tema, ciò che davvero vogliono raccontare, nelle parti esterne vanno individuati gli esempi che porteranno per sviluppare il loro argomento.

I miei studenti, ormai al terzo anno di studi, possiedono un quaderno pieno di lezioni di scrittura, dal momento che ogni anno scrivono almeno quattro testi: possono usare questo repertorio durante il laboratorio. Il poter usare materiale durante la scrittura è un’altra caratteristica della scrittura autentica: io stessa, mentre sto scrivendo questo testo, ho tanti libri davanti a me e impiego tutto il tempo necessario, la scrittura autentica difficilmente è un affare solo tra lo scrittore e il foglio bianco.

Per il multiscena ho ripreso alcune tecniche che avevamo già ampiamente sviluppato: mostra non dire, sequenze descrittive e riflessive, l’incipit e il finale, il ritmo della narrazione. Nuove invece sono state le lezioni su:

  1. i dialoghi. Ho spiegato loro due tipologie di sequenza dialogica. Il Dialogo normale: sembra naturale, è quello che si svolge nella vita di tutti i giorni ed è di solito un botta e risposta su argomenti comuni e banali, è un parlare per passare il tempo. E Dialogo resa dei conti finale: è inserito in un momento importante del racconto, rappresenta lo scontro tra i personaggi, la soluzione della vicenda.
  2. La descrizione del personaggio con un ritmo comico
  3. La struttura a titolo e paragrafi
  4. Far emergere il tema, dopo averlo nascosto bene

Dal momento che sono abituati a scrivere, più che sulle tecniche di scrittura mi sono concentrata sulla revisione: è questo il momento in cui riprendere argomenti affrontati in grammatica, ma che qui vengono calati in situazione concreta. Ecco alcune lezioni svolte:

  1. Quando e perché andare a capo dopo il punto,
  2. La virgola non si mette a caso
  3. Come scrivere un’azione futura nel passato
  4. “glielo e gliel’ho” non sono lo stesso

Per quanto riguarda il lessico, ho proposto la lezione “espressioni di poca fantasia”: ho stilato tutta una serie di espressioni per loro comuni, che trovo frequentemente nei loro testi e che devono riuscire ad esprimere in modo diverso, sondando tutta la ricchezza e complessità del linguaggio. Le espressioni incriminate sono: un sacco di, come sei messo, prendermi per scemo, a parte (e spesso nell’errata grafia apparte), una valangata di, troppo, sennò.

Ogni lezione di questo tipo occupa da pochi minuti (ad esempio il caso della lezione su glielo e gliel’ho) a un massimo di 20’, così da lasciare tempo per la scrittura autonoma.

Correggere e celebrare: la riconsegna

Per evitare che le mie correzioni non vengano considerate, come spesso accade, oltre a scriverle sul foglio, le raggruppo in una presentazione chiamata “correggiamo, serve a tutti”, in questo modo passiamo in rassegna le forme scorrette, quelle imprecise e quelle migliorabili: così, grazie alla discussione in classe, quella che sarebbe stata la correzione per uno, diventa patrimonio di tutti.

Il momento della riconsegna dei testi, corretti e valutati, prevede una sorta di celebrazione: ne scelgo alcuni da leggere ad alta voce e su cui la classe si esprime con consigli di modifiche o con sottolineature dei passaggi più convincenti, possono poi scambiarsi i testi e leggerli a vicenda. La nostra classe è e vuole essere una comunità di lettori e di scrittori: tuttavia giacché la scrittura può essere intima e personale (anche se sanno che è pubblica), possono scegliere o meno di far leggere il proprio testo.

La mia valutazione, quini, considera non solo il testo prodotto, secondo la griglia approvata nel mio istituto, ma anche l’intero processo di scrittura, il rispetto delle caratteristiche del genere o della tipologia testuale scelta, le strategie di scrittura messe in campo e il testo di metacognizione che hanno scritto al momento della consegna e che descriveva il testo.

Conclusioni

In questi anni di lavoro continuo sulla scrittura ho visto i miei studenti migliorare tanto, soprattutto quelli che partivano da prerequisiti più fragili: hanno acquisito tecnica, sicurezza e hanno imparato a dare forma al loro pensiero, ciascuno al meglio di sé. Molti di loro consideravano la scrittura come qualcosa di impossibile, di estremamente faticoso, di obbligatorio e di non adatto a loro: penso all’orgoglio con cui Enes mi ha consegnato il tema all’esame di licenza, tre facciate fitte fitte, in cui parlava di sé, lui che tre anni prima non aveva ancora le parole; alla felicità di Margherita che ha un suo racconto pubblicato in una raccolta; alle poesie di Aurora, che sono il suo modo di vedere il mondo, lei che esordì in prima dicendo “io odio la poesia”; ai manga che progetta Neumann, per ora nel cassetto ma chi può dirlo; alle slide perfette e personali di Daniele; agli articoli del giornalino del liceo di Francesco; alle relazioni di meccanica che Daniele, tutto soddisfatto, mi ha portato da vedere; al blog di musica di Giulio.

Insegnare a scrivere è un percorso affascinante e in parte frustrante, fatto di passi avanti e indietro, di una prassi continua, di una routine ben precisa, dell’esplorare tutte le possibilità della scrittura. Non può essere una tantum: ha bisogno di spazio e tempo dedicati all’interno della prassi didattica, soprattutto nei primi anni, quando si apprendono le competenze di base e si ha più tempo a disposizione. Noi docenti dobbiamo insegnare a scrivere perché la scrittura non è qualcosa di innato, di possibile solo a chi ha talento; scrivere è dare forma al proprio pensiero, trovare le parole migliori per dirlo, ricercare, argomentare, porsi domande e raccontare il mondo con la propria voce. Scrivere è un modo di abitare il mondo e insegnare a scrivere è (anche) educazione civica.

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