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Partiti e classi, oggi

La settimana politica appena trascorsa presenta due elementi di novità: 1. la proposta di federazione tra Lega e Forza Italia; 2. Il partito neo-fascista della Meloni, che non ha mai rinnegato le sue origini, eguaglia e secondo certi sondaggisti supera il PD. Cose inaspettate, soprattutto la seconda. Proviamo a fare un vecchio esercizio non più di moda: l’analisi delle classi in base allo schema del Marx di “Lotte di classe in Francia” (1850), per cui i partiti rappresentano gli interessi di una classe o frazioni di essa. Penso ancora contro ogni occultamento ideologico che le classi sociali esistono e che le loro lotte muovono la storia, capitale e lavoro sono le forze in campo, l’una rappresenta la linea regressiva e l’altra quella progressiva nel senso di Gramsci. In Italia oggi la piccola e media borghesia, spaventata dalla crisi sociale ed economica, aggravata dalla pandemia, ha un suo partito, quello sovranista e parafascista, che oggi in base ai sondaggi avrebbe la maggioranza relativa nelle urne con la cosiddetta coalizione di centro-destra, di cui il partito di Berlusconi rappresenterebbe l’ala moderata e liberale. L’OPA di Salvini su Forza Italia con la proposta di federazione cerca di evitare che i neo-fascisti della Meloni diventino egemoni e soprattutto si offre come inevitabile partito della grande borghesia (il cosiddetto partito del Nord), usando lo scudo del vecchio Berlusconi. Giustamente la parte liberale di Forza Italia si oppone alla fagocitazione, ma questo conferma che spazio per un centro in Italia non c’è più da decenni e che può diventare inevitabile per la grande borghesia la scelta della destra. La grande borghesia non avrebbe intenzione di imbarcarsi, né di spartire i dividendi della crescita post-Covid e i soldi europei con chi che sia. Soprattutto non ha bisogno del pugno di ferro in assenza di un’opposizione organizzata dei lavoratori, i quali sono frammentati sindacalmente e non rappresentati politicamente. Di questa debolezza dei lavoratori l’incalzare quotidiano delle morti bianche sul lavoro è solo un sintomo indiretto. Questo è il senso del governo Draghi.

Il tentativo di Azione, Italia Viva e altri “cespugli” di offrirsi come sponda e di ricostituire un centro robusto non sembra decollare. Tutto questo ripropone il “caso italiano”: i neo-fascisti non vengono isolati nella scena politica, neppure oggi in cui sono praticamente l’unica opposizione,  e i parafascisti e sovranisti si presentano come interlocutori della grande borghesia, che non sembra ne abbia bisogno, ma neppure ha un’alternativa se non quella tecnocratica. Qui c’è il rischio autoritario del sistema e della sua torsione critica. Chi non ha un’identità da spendere (ed è sotto gli occhi di tutti, anche per l’inettitudine del nuovo segretario, Letta) è il PD, il quale elettoralmente rappresenta il ceto medio progressista, figlio della modernizzazione dei costumi, e ciò che resta del vecchio insediamento sociale del PCI, entrambi questi strati sociali sono minoritari. Il PD, per quanto si sforzi, non si è accreditato come  il partito della grande borghesia ed ha rinunciato ad essere quello dei lavoratori, rifugiandosi sotto lo slogan interclassista della difesa delle “persone”. Senza identità continua ad annaspare e i 5 Stelle di Conte analogamente oscillano senza riferimenti sociali se non quelli incerti, loro tipici, piccolo-borghesi. Il primo livello di torsione del sistema democratico sarà il prossimo anno l’elezione del Presidente della Repubblica e quindi il destino politico di Draghi. Il rischio è un’ulteriore riduzione degli spazi democratici, che si annida nel passaggio delle cosiddette “riforme che ci chiede l’Europa”. Sotto la coperta di Draghi il conflitto è furibondo.

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