Dante&Me /5. Cinque domande ad Alberto Casadei
Il 2021 vedrà moltissime iniziative nel nome di Dante Alighieri, nella ricorrenza dei settecento anni dalla sua morte. La redazione de Laletteraturaenoi ha voluto dedicargli uno spazio di riflessione che possa essere luogo di incontro fra università e scuola, proponendo a studiosi e studiose d’Italia di rispondere a cinque domande-chiave per entrare nell’universo dantesco. Pubblicheremo periodicamente le loro risposte. Sono già state pubblicate quelle di Pietro Cataldi, Giulio Ferroni, Loredana Chines e Nicolò Mineo.
A cura di Luisa Mirone
D1. Cosa ha significato, cosa significa nel suo percorso di studioso di letteratura l’incontro e la frequentazione con Dante Alighieri?
R1. Per ogni studioso di letteratura italiana, Dante rappresenta l’Everest da scalare se e quando le forze sono sufficienti. Io mi sono appassionato alla lettura della Divina commedia sin dagli anni liceali, all’epoca cercando di sondare le interpretazioni correnti, spesso di tipo banalmente allegorico, rispetto a quelle figurali di Auerbach o altre che trovavo in antologie della critica. L’idea che molti aspetti interpretativi fossero da vagliare mi sorse già allora, ma per molti decenni, anche durante il mio iter di docente universitario, mi sono limitato ad annotare passi controversi e relativi studi critici.
Poi un giorno, mentre rileggevo per la centesima volta i passi dell’Inferno dove Dante parla di comedìa, mi resi conto che lì non indica un titolo: il termine in XXI.2 è chiaramente simmetrico a tragedìa messo in bocca a Virgilio per indicare l’Eneide (Inf. XX.113), e siccome non è titolo questo non lo è nemmeno l’altro, mentre si tratta di definizioni di genere o stile (‘opera scritta in stile comico’ o ‘in stile tragico’). Da quel momento ho trovato un filo rosso per indagare le tante testimonianze dantesche incerte o discusse, per esempio l’Epistola a Cangrande che, a un esame attento, ha rivelato tutte le sue incoerenze, da tempo note ai critici ma ultimamente giustificate su basi davvero fragili. Siccome però le indicazioni banalmente allegoriche raccolte in quel testo hanno condizionato molte interpretazioni, era ed è importante far notare che non è d’autore, così come, per fare un altro esempio, la Questio de aqua et terra, probabilmente scritta a Verona ma certo non attribuibile a Dante. E ancora, il Fiore o altri testi minori, ma importanti per l’interpretazione complessiva, sembrano da togliere dal canone dantesco.
Questa lunga serie di verifiche e di prese di posizione, in merito a ‘punti critici’ decisivi, ha richiesto tanti sforzi e tante letture, ma l’ho fatto con grande passione e ora, dopo aver pubblicato numerosi articoli e saggi su Dante, spero di poter proporre una nuova visione complessiva del suo percorso creativo: il mio libro uscito per il Saggiatore nell’agosto 2020 vuole appunto essere una sintesi delle mie riflessioni, che ho cercato di condividere con chi può a sua volta considerarle e discuterle, magari in ambito didattico. La biografia dantesca, oggi tanto esaminata, è sì importante (benché prevalgano largamente le ipotesi sulle certezze), però a me pare ancora più importante capire cosa rappresentano le opere di Dante per noi. Per questo ho studiato anche alcune fasi della loro ricezione, specie subito dopo la morte e nel Novecento, e ora pubblicherò un ultimo libro dal titolo Dante oltre l’allegoria (Ravenna, Longo, 2021) da cui emergerà un Dante narratore ‘moderno’ molto più che allegorista medievale.
D2. Tra le opere dantesche assume un rilievo speciale la Commedia. C’è un canto o un personaggio o una situazione che ritiene particolarmente esemplare o con cui semplicemente abbia un rapporto privilegiato? Per quali ragioni?
R2. Innanzitutto, proprio perché credo che Commedia non sia un titolo d’autore, propongo a tutti di tornare al tradizionale Divina commedia, sicuramente invalso solo nel Cinquecento ma molto più bello e suggestivo del semplice Commedia. In un’opera così sfaccettata sono tanti gli aspetti che mi coinvolgono profondamente. Chi può rimanere indifferente a un padre che racconta come ha visto morire i suoi figli e nipoti, e poi allude a un esito terribile al punto da non poter essere nemmeno detto? Ed è notevolissimo che Dante, senza conoscere le tragedie antiche, capisca che esistono azioni umane tanto orrende da non poter essere rappresentate. In generale, le vite condensate in pochi versi di personaggi creati da Dante (perché è lui che li estrae dalla cronaca banale e ne fa degli eroi narrativi, come capita evidentemente con Francesca da Rimini) mi sembrano tutte micro-romanzi da sviluppare, ricche di potenzialità che sono state colte infatti da tanti scrittori e artisti nel corso dei secoli.
Ma a me spesso restano in mente versi di singolare bellezza in assoluto, come l’inizio del XIV canto del Paradiso: «Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro / movesi l’acqua in un ritondo vaso, / secondo ch’è percosso fuori o dentro»: trovo che sia un modo perfetto per tradurre in parole un fenomeno fisico persino banale, e tuttavia concettualizzato per sempre in una terzina. In altri termini, senza bisogno di alcuna forzatura (Dante non è solo ‘espressionista’!), vediamo come le parole ritmicamente ordinate ci spingano a una concettualizzazione e quindi a vedere la realtà secondo un determinato stile, quello che i grandi artisti devono comunque cercare durante l’elaborazione delle loro opere.
In questo senso Dante riesce addirittura a costringerci a immaginare un mondo che lui stesso sta creando dal solo pensiero: è il caso di Paradiso XXIII, tutto fondato su similitudini stupende, le quali indicano continuamente che il lettore deve immergersi in una realtà che, certo, va paragonata a quella terrena pur essendo ‘altra’, incomparabile: e ciononostante, la Divina commedia s’incarica di farcela conoscere, evoca l’ineffabile ma lo supera costantemente. Questo è davvero un procedimento analogo a quello che oggi seguirebbe uno scrittore di fantascienza o magari un regista come Kubrick.
Infine, io sento tutta la passione dello scrittore che è ormai pienamente e solamente legato alla sua opera (sarà un caso che Dante muoia subito dopo averla terminata?) in un passo poco noto ma bellissimo del Purgatorio, nel canto XVII. Dal verso 13 l’auctor si rivolge alla sua stessa imaginativa, grosso modo la capacità di immaginazione che agisce persino se si è del tutto straniati rispetto alla realtà. Subito dopo Dante introduce quelle che sarebbero visioni relative all’ira punita, e sono ovviamente creazioni ad hoc: il testo come sempre gioca sull’ambiguità tra il vero e il falso, però pretende che noi crediamo che l’agens ha avuto in quel momento quelle visioni. Noi lettori dobbiamo seguirlo e così facendo accettiamo di vedere apparire personaggi antichi e altrimenti irraggiungibili, quindi l’arte diventa qui per noi il modo di raggiungere ogni tempo antico, altrimenti scomparso. L’ultimo di questi esempi riguarda l’amatissima Eneide, con Lavinia che piange perché la madre Amata si è uccisa, proprio nel timore di perdere la figlia, e dice: «O regina,/ perché per ira hai voluto esser nulla?» (vv. 35-36). Sono parole dolenti e potentissime, con quell’esser nulla che ci indica improvvisamente cosa diviene un morto, in particolare un suicida: solo Shakespeare, per esempio nel Macbeth («to be all or to end all»), riesce a essere altrettanto potente.
D3. Non-solo-Commedia: fra le cosiddette opere minori di Dante quale si sentirebbe di rilanciare all’interno dei percorsi scolastici e perché?
R3. Io credo che una lettura antologica della Vita nova risulterebbe anche adesso di grande impatto per uno studente delle scuole superiori, perché alcune delle paure, degli atti e alla fine delle sublimazioni che sono condensate nel libello sono quelle degli adolescenti di tutti i tempi. Certo, non c’è solo questo, però non è giusto cassare gli aspetti antropologici e perenni che emergono dalle opere dei grandi autori, altrimenti avrebbe sempre meno senso proporli a giovani che hanno modelli culturali ormai del tutto lontani da quelli umanistici.
Per questo, magari dopo Tanto gentile…, io farei leggere anche la terribile petrosa Così nel mio parlar…, certo ben più difficile ma allo stesso tempo altrettanto significativa: alla sublimazione può corrispondere l’autodistruzione per amore, dallo zenit di Beatrice si può scendere al nadir della donna-petra. Non importa nemmeno spiegare cosa c’è di vero e cosa di letterario: la poesia manipola e stilizza innanzitutto materiale immaginario, e i dati biografici ci aiutano però non ci devono condizionare al punto da pensare che possano spiegare le caratteristiche e il valore di un testo.
Infine, anche se qualche passo molto significativo si può trovare praticamente in tutte le opere di Dante (escluse quelle probabilmente false di cui ho detto prima), io consiglierei di leggere almeno un paio di brani dal De vulgari eloquentia, che fra le altre cose tocca il rapporto costitutivo fra una lingua e le persone che la parlano: se miglioriamo la nostra lingua (in tutte le sue manifestazioni), saremo migliori noi stessi.
D4. Nella lunga e nutrita tradizione di studi danteschi, quali ritiene ad oggi irrinunciabili? Quali indicherebbe a chi, ancora giovanissimo, si accosta all’opera di Dante?
R4. Sarebbe sin troppo facile citare la triade che mi ha accompagnato agli inizi dei miei studi, Auerbach, Singleton, Contini. Sicuramente le loro interpretazioni restano fra le più coerenti e complete, sebbene manifestate in modi molto diversi. Tuttavia, nel tempo, ho capito quanti altri critici danteschi sono ancora fondamentali: negli ultimi anni, per esempio, hanno avuto un nuovo grande risalto gli studi di Michele Barbi o di Bruno Nardi, magari aggiornati e rivisti su tanti punti. E ovviamente ci sono molti specialisti più recenti da leggere con attenzione, benché quasi sempre si concentrino su un aspetto specifico dell’opera dantesca.
Per una serie di letture autonome, anche di giovani studenti, vorrei consigliare alcuni testi meno frequentati e però molto nutrienti. Il primo è il volume di Edoardo Sanguineti sul Realismo di Dante (Sansoni, 1966), che pone tuttora alcune questioni fondamentali su come intendere questo aspetto così controverso (in che senso Dante è realistico?). Poi segnalo un volumetto ricchissimo di spunti, qualche volta forse azzardati ma sempre stimolanti: Franco Ferrucci, Le due mani di Dio (Fazi, 1999). Infine, per molte analisi semplici da seguire e insieme molto ricche e nutrienti c’è la raccolta di Luigi Blasucci Letture e saggi danteschi (Edizioni della Normale, 2014). Infine, per ricordare adeguatamente Marco Santagata, che purtroppo ci ha lasciati prematuramente, credo sia davvero istruttivo leggere sia la sua fortunatissima biografia, Dante. Il romanzo della sua vita, sia il suo Racconto della Commedia, entrambi usciti per Mondadori e più volte ristampati.
D5. All’interno della ricchissima eredità lasciata da Dante, quale aspetto in particolare proporrebbe alla generazione più giovane?
R5. Su questo aspetto provo a riflettere nell’ultimo capitolo del mio libro del 2020, e ovviamente mi è difficile dire cose diverse. Io credo che, ai nuovi lettori di Dante, si debba innanzitutto far capire che la sua opera, a settecento anni di distanza, è ancora un magnifico esempio di tutte le potenzialità biologico-cognitive e culturali che noi vediamo condensarsi nelle opere d’arte. Bisogna far capire la complessità della sua architettura, fra l’altro forse nata un po’ alla volta: io, come ho cercato di dimostrare in un lungo studio, credo che davvero Dante abbia scritto a Firenze alcuni canti, i primi quattro, prima dell’esilio, e che poi abbia ripreso a scrivere dal quinto, che è già un’altra cosa, con Francesca che si staglia come eroina moderna e storica (non come puro nome in un elenco lunghissimo quale quello del Limbo in Inf. IV). Ma poi c’è tutto il Purgatorio, e già lo sforzo è stato notevolissimo, e infine il Paradiso, una vera ‘realtà virtuale’, e lì lo sforzo creativo è stato sommo, anche se facciamo fatica a rendercene conto per le sue tante difficoltà.
Dante però è tutte e tre le sue cantiche, e per arrivare a scriverle ha dovuto attraversare tante stagioni, compresa quella ‘filosofica’ del Convivio e quella ‘politica’ della Monarchia. Ecco, io credo che una sua forte eredità sia questa: attraverso il suo percorso capiamo che ogni grande scrittore si nutre di tante cose, e più riesce a sintetizzarne nelle sue opere più riesce a resistere nel tempo. Anche i giovani di oggi devono nutrirsi di tante cose e la scuola può offrire infinite possibilità di arricchimento: leggendo Dante, sarebbe stupefacente non avere idee e suggestioni, perciò bisogna che la scuola sappia coltivarle e farle coltivare. E sappia scommettere sulle risposte che ogni grande opera riesce a ottenere, se presentata con attenzione e passione.
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