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I fatti americani: verifica e crisi della Democrazia liberale

I fatti americani e la crisi della democrazia liberale

di Romano Luperini

Ormai è chiaro: Trump ha preparato, nel modo goffo e maldestro consono al personaggio, un colpo di stato alla sudamericana. Lo provano: 1) l’insistenza  di Trump sulla necessità di un sollevamento popolare contro i ladri e i fraudolenti che avrebbero falsato i dati elettorali; 2) l’assenza della polizia (invece largamente presente nello stesso luogo – sede del parlamento – in occasione delle marce antirazziste) tanto più singolare in quanto la manifestazione era stata annunciata da giorni da Trump in persona ed è del tutto inverosimile che gli organi di sorveglianza ne fossero all’oscuro; 3) il comportamento della scarsa polizia presente, che ha fraternizzato in diversi casi con i rivoltosi, arrivando persino ad aprirgli le porte e che a distanza di giorni non era “riuscita” nemmeno a identificare i morti, eccetto uno (la veterana della aviazione il cui decesso poteva esser presentato come  glorioso martirio di una “patriota”); 4) il comportamento di Trump stesso che, dopo aver aizzato la folla, per quattro ore si è chiuso alla Casa Bianca interrompendo ogni comunicazione con l’esterno (cosicché è stato di necessità il vicepresidente a chiamare, dopo tre ore, la Guardia Nazionale)  e che poi, alla richiesta di una Tv, ha fatto avere un video registrato in precedenza in cui, pur invitando i rivoltosi a tornare a casa, gli confermava il proprio appoggio  e persino il proprio amore (il video era stato ovviamente preparato nel caso in cui la rivolta non raggiungesse l’obbiettivo di impedire la legittimazione di Biden come presidente).

Trump è un personaggio grottesco che in sé non meriterebbe la nostra attenzione. Ma il problema è che ha avuto più di settanta milioni di voti e che ha sollevato il coperchio di un vero e proprio gigantesco verminaio, dove vivono e crescono eredi del KKK, cospirazionisti, complottisti, terrapiattisti, negazionisti del coronavirus, suprematisti, organizzazioni neonaziste: un vero e proprio trionfo della ignoranza più grossolana, del razzismo più spudorato, della violenza più indiscriminata, dell’odio più feroce per la democrazia e le istituzioni democratico-liberali. Metà dell’elettorato americano non può essere sottovalutata. Trump non ha vinto per caso, non è stato un incidente di percorso archiviabile rapidamente, ma un episodio su cui meditare e che riguarda molto da vicino anche l’Europa e l’Italia.

Facciamo il caso italiano. La Costituzione è nata dall’alleanza politica e sociale di forze diverse. È esistita in Italia una borghesia democratica e liberale, è esistito un ceto medio di medici, magistrati, insegnanti, artigiani, piccoli imprenditori e anche di impiegati dello stato, ragionieri, geometri, diplomati; è esistita una classe operaia sindacalizzata che aveva come punti di riferimento il PSI e soprattutto il PCI. Questi diversi strati sociali sono il fondamento della nostra costituzione democratico-liberale. Erano sufficientemente istruiti, o almeno si sforzavano di esserlo. Rispettavano la cultura. Volevano istruire i propri figli.

Il progetto berlingueriano del “compromesso storico” fra borghesia democratica e movimento operaio era illusorio perché quella borghesia preferiva ovviamente governare da sola e comunque non si fidava della sinistra che stava appena uscendo dallo stalinismo. Eppure si fondava su una  possibilità (una alleanza fra borghesia democratica e movimento operaio era di fatto in atto da un quarto di secolo) e su una comune cultura effettivamente esistente da cui era nata la Costituzione italiana.

A partire dagli anni settanta-ottanta del Novecento e poi via via sino a oggi quella borghesia liberale e quella classe operaia sono di fatto scomparse. Oggi il ceto medio è in via di dissoluzione come lo è da tempo la classe operaia. La cultura ha cessato di essere un valore e anche uno strumento di promozione sociale, ed è stata sostituita dalla tv, dalla cialtronaggine dei social, dal consumismo, dal narcisismo di massa, dallo individualismo sfrenato, dalla lotta di ciascuno contro ciascuno. La scuola, che poteva contrastare questo processo involutivo, è stata smantellata, gli insegnanti umiliati e burocratizzati. Le fondamenta dello stato democratico-liberale sono state così a poco a poco corrose.

I fatti americani insegnano che bisogna ripensare il modello democratico-liberale. Non per nulla i movimenti di lotta (a partire dal movimento degli studenti negli anni sessanta sino al recente movimento Cinque Stelle) hanno cercato di porre (sia pure molto confusamente, come mostra la storia del movimento di Grillo e di movimenti analoghi in Spagna) il problema della democrazia diretta e del federalismo. Appare sempre più chiara la esigenza di un nuovo sistema di valori che non ponga più a fondamento il capitale, il profitto e la merce, ma la salute pubblica, la scuola, la cura del territorio e insomma il benessere della comunità. D’altronde il conflitto fra salute e interessi economici è oggi sotto gli occhi di tutti nella situazione attuale creata dalla pandemia. E non è certo un problema solo italiano, ma anche europeo e americano.

La crisi delle istituzioni democratico-liberali è nei fatti, come mostrano i recenti avvenimenti in USA. Se ne può uscire da destra come i populisti alla Trump o alla Salvini (o anche, sino a ieri, alla Berlusconi), o da sinistra con un riferimento ai valori della nostra Costituzione. Di cui è necessario vedere i limiti da superare, ma che intanto va assunta a baluardo contro l’attacco degli eversori e le minacce della ignoranza.

La Democrazia e l’Orda: una verifica e un compito per gli insegnanti

Di Emanuele Zinato

Dopo i fatti americani e l’assalto al Campidoglio credo sia venuto il tempo per chi crede nella democrazia, di agire e di pensare collettivamente interrogandosi a fondo sulla sua natura instabile. La democrazia e la libertà non si danno come dati ma come processi, fra dialogo e conflitto: ricorrendo, come già hanno fatto nel loro tempo (quello di Hitler) i francofortesi, al trapianto di nozioni psichiche in campo sociale, si può intendere insomma la democrazia come una “formazione di compromesso” fra difformi libertà e diverse necessità. Nella democrazia di origine borghese, le libertà economiche, i diritti civili e i diritti sociali agiscono non di concerto ma in un campo di forze per sondare il quale va ripristinata la memoria rimossa della storia della modernità e pazientemente smascherato il volto nascosto delle ideologie.

Ci è stato detto a oltranza che nel secolo scorso il socialismo (che in quel campo di forze lottava per l’emancipazione sociale) ha mostrato, al massimo grado, la sua propensione al Gulag. La sinistra, vecchia e nuova, ha avuto il torto di non elaborare per tempo (dal 1956 in poi se non dalla guerra di Spagna) una critica di tutte le forme di stalinismo. E del resto, per attivare dei correttivi o degli anticorpi, si sarebbe potuto attingere alle risorse ambigue della letteratura, a Omaggio alla Catalogna di Orwell o addirittura a Vino generoso di Svevo, in cui, nell’ apologo esemplare della cena di nozze, il nipote affarista Giovanni può gettare in faccia al vecchio filantropo il motto “tutti i socialisti finiscono in pratica col ricorrere al mestiere del carnefice”.

In questo secolo, il neoliberismo sta mostrando, al massimo grado, la sua propensione all’Orda.  Anche a questo riguardo, la letteratura è stata capace di elaborare temi e forme prefiguranti: basti pensare al Signore delle mosche (1958) di Golding, al Pianeta irritabile (1978) di Volponi o alle orde antropofaghe di stupratori nella Strada (2006) di Cormac McCarthy. Un mondo che configura la sua socialità simbolica come competizione imprenditoriale o come pellegrinaggio dei consumatori nucleari negli ipermercati non può che covare, in una sempre maggiore quota di individui, la necessità dell’orda. La barbarie è ora percepita come una delle opzioni possibili ed è ben organizzata: ha i suoi leader e i suoi codici in tutto l’occidente.

Questa presa di coscienza riguarda in primo luogo le “competenze” civili degli insegnanti, che dovranno non tanto predicare ai propri studenti la “bontà” statica del modello democratico, quanto sondarne in classe in modo dialettico i margini dinamici nelle inedite contraddizioni planetarie contemporanee.  Si dovrà insomma lavorare a ricostruire quella che il vecchio Lukács chiamava un’ “ontologia  dell’essere sociale”. Nel manifesto di questo blog abbiamo scritto che “Chi insegna non può svolgere il suo lavoro senza porsi, in ogni proprio singolo atto educativo, domande oneste e profonde circa lo stato presente delle cose. La cosiddetta “complessità” del mondo globale non può più essere il pretesto per rimuovere queste domande, pena la superficialità o il cinismo nella pratica didattica”.

Faccio dunque un esempio didatticamente concreto, che rispetto all’assalto al Congresso degli Stati Uniti potrà sembrare una digressione. Il linguaggio dei documenti scolastici europei e italiani, da Lisbona 2000 alle Indicazioni nazionali e Linee guida fino alla Buona Scuola, è fondato su una visione del mondo neoliberale, e coniuga in modo disinvolto l’ideologia dell’inclusività, dei diritti e della democrazia con l’autocrazia economicista aziendale, ritenendo che i due campi siano inscindibili.  Nella logica culturale sottesa a queste indicazioni legislative su cui si dovrebbe fondare la pratica didattica  traspaiono in filigrana a un tempo la neolingua del “capitalismo assoluto”, «un regime straordinariamente instabile, fragile e quindi aggressivo» fondato sulla finanziarizzazione cieca e sulla mercificazione illimitata sia delle risorse naturali che delle attività umane,[1]  e la terminologia “garantista” di derivazione illuministica e democratico-borghese.

I fatti americani dimostrano che i due campi vanno urgentemente distinti: il primo è sempre più bulimico e meno disposto a tollerare tutti i diritti eccedenti la libertà individuale, sfrenata e negazionista di homo oeconomicus (non solo quelli, da sempre terreno di controversia, di tipo sociale, ma perfino i diritti civili e i diritti umani). I ministri degli interni  possono invocare che i migranti siano lasciati morire in mare e, se si deve scegliere fra sistema aziendale e diritto alla vita, il  presidente  del paese più colpito dai contagi del Covid, ha potuto cinicamente affermare: «l’America deve ripartire dopo i lockdown anche se ci saranno più morti».[2]

L’assalto odierno dei trumpisti nella sede principale del potere politico americano ha portato la logica dell’orda nel luogo simbolico che Lincoln definiva “governo del popolo, dal popolo, per il popolo”. Chi insegna deve misurare la voragine, anche linguistica, che si è aperta fra quella nozione di “popolo” e gli attuali “populismi” e deve aiutare i giovani a trovare parole-azioni per ridare concretezza politica alla “formazione di compromesso” instabile, entro cui si dispongono di volta in volta, in un patto e in un conflitto, il “grado” e la qualità dei diritti e della democrazia.

[1] E. Balibar, Capitalisme absolu: puissance, instabilité, violence, in Id., Histoire interminable. D’un siècle à l’autre, Écrits I, Paris, La Découverte, 2020, p. 277.

[2] Trump: «Riaprire subito anche a costo di più morti», in «La presse.it», 6 maggio 2020, on line

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