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diretto da Romano Luperini

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CTRL+C CTRL+V (scrittura non creativa): Appunti di lettura su un libro di Kenneth Goldsmith

 

 Un manifesto contro la creatività letteraria

Un manifesto contro la creatività letteraria, così si può definire il saggio pubblicato da Goldsmith circa una decina di anni fa e proposto in Italia dalla casa editrice Nero nel 2019. La legittimazione di pratiche di scrittura del tutto liberate dalla ‘presunzione’ d’originalità viene fondata su una genealogia che comprende, fra gli altri, Mallarmé, Duchamp, Benjamin, Wharol, Sol LeWitt, Gertrud Stein, Debord. L’elenco, per quanto incompleto, lascia affiorare i sedimenti sui quali l’autore deposita la proposta di esautorare definitivamente una categoria estetica – l’originalità – che ha determinato posizionamenti nel campo letterario, dalla fine del Settecento fino alla metà del Novecento, quando lo sviluppo ipertrofico dell’industria culturale nel contesto della società di massa, ne ha sfrondato ogni accezione filosofica, definendone così la natura di marchio commerciale. Nella progressiva liberazione dallo stereotipo imposto dal romanticismo alla creatività, idealizzata come produzione geniale dell’inesistente – ovvero ricombinazione inedita dell’esistente – assume rilievo il ruolo delle avanguardie, esplicitamente chiamate in causa da Goldsmith anche in un altro testo, Wasting time on the Internet (HarperCollins Publisher Inc, 2016, trad. it. Perdere tempo su Internet, Torino, Einaudi, 2017):

Quando il poeta Filippo Tommaso Marinetti scriveva in un manifesto del 1909 le famose parole «Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie» non poteva prevedere la lama a doppio taglio delle strutture fondate sul web. Da un lato gli artisti accolgono nella loro pratica l’infinitesimale tempo di vita di un meme di internet come nuova misura (pensateci: un ridotto tempo di attenzione come nuova avanguardia), costruendo opere destinate a durare non in eterno, ma solo il tempo sufficiente a diffondersi nei network, per poi scomparire velocemente come sono apparse, sostituite da altre il giorno dopo (p.21).

Tuttavia, come l’autore stesso precisa, l’aspirazione del fondatore del futurismo a distruggere qualsiasi istituzione destinata alla conservazione del passato e qualsiasi canone dispensatore di auctoritas, viene contraddetta dalla permanenza dei dati sul web, una condizione che configura il paradosso di Internet come «un gigantesco museo, una biblioteca e un’accademia tutto insieme» (p.22).

 

Smooth Operator (Sade, 1984)

La questione è complessa, ma il modo di procedere di Goldsmith in entrambi i saggi rivela un’attitudine alla levigatezza non solo formale, bensì come postura teorica, come scelta di procedere con naturalezza, per cui gli scogli concettuali vengono superati con energia adolescenziale, un’euforia pedagogica contagiosa si diffonde via via dalle pagine e dissemina un atteggiamento davvero raro nel discorso pubblico della contingenza, anche prima della pandemia in corso: la fiducia nel futuro. Per questo motivo, messe da parte le remore di una formazione segnata dall’egemonia dell’approccio dialettico – neutralizzato da Goldsmith con distratta levità (vedi la definizione di Benjamin come precursore di Instagram) – non poteva darsi circostanza più propizia all’incontro con questo autore del lockdown della primavera scorsa, quando l’isolamento sociale andava accentuando fosche previsioni collettive e problematiche professionali, connesse con il ricorso forzato e massivo alla tecnologia digitale. Nel momento in cui nelle cartelle di posta elettronica hanno cominciato ad accumularsi quotidianamente 60/80 mail – i compiti assegnati, solitamente corretti a campione, ai quali si sono aggiunte, in diversi casi, le verifiche di due discipline – si è avvertito in un primo momento con affanno, un senso di oppressione, come se il fardello reale di tutti quelle pagine virtuali, premesse sulle spalle con poderosa inesorabilità. Per sondare l’autenticità di quei files, spesso sospetti per l’omogeneità che li caratterizzava, ci si è dovuti trasformare in improvvisati detective, rendendosi conto immediatamente della sproporzione tra il compito intrapreso e le esigue possibilità di successo. Ci si è dovuti soprattutto confrontare con un ricorso compulsivo al copiaeincolla da parte degli studenti, e nei più scafati, alla tecnica del Patchwriting, che consiste nell’assemblare frammenti di testi altrui per realizzare un’opera che appaia come organica e innervata da un filo ben teso. È una pratica condannata in ambito accademico, sostenuta invece – ricorda Goldsmith – dallo scrittore newyorkese Jonathan Lethem, che nel 2007 scrive un saggio a difesa del plagio dal titolo L’estasi dell’influenza (pubblicato su Harper’s, nel 2011 inserito nella raccolta omonima di saggi). Il titolo rovescia con intento parodico quello del noto volume di Harold Bloom L’angoscia dell’influenza, del 1973. In esso l’autore de Il canone occidentale interpreta il lavoro dei poeti come un continuo confronto con la tradizione poetica, nell’ambito della quale Shakespeare svolge un ruolo centrale, obbligando a una sfida destinata a produrre un’oscillazione perenne – e sofferta – tra la dipendenza e l’ansia di autodeterminazione. Sulla scorta di Lethem, l’autore di CTRL+C CTRL+V propone una sorta di movimento di liberalizzazione del plagio e delle tecniche di riappropriazione dell’enorme mole di testi presenti in rete. A sostegno di questa proposta Goldsmith inserisce ulteriori riflessioni di carattere ‘ecologico’, che attingono a una visione, sempre più condivisa, della rete come ecosistema da tutelare. La pervasività dell’ambiente digitale non corrisponde soltanto alla diffusione planetaria di una serie di supporti e dispositivi, ma comporta l’incremento progressivo di codici, linguaggi e testi, intendendo il lemma nella sua più ampia dilatazione semantica. Una buona pratica, sensibile alle sollecitazioni di tutela dell’equilibrio ‘ambientale’ del web, consisterebbe quindi nel sostituire la redazione di inediti con la gestione dell’enorme quantità di testi già depositata in Internet, inevitabilmente destinata ad aumentare in modo esponenziale. Districarsi nella foresta di informazioni, decidere come gestirle, organizzarle e poi redistribuirle creando dei percorsi autonomi: sono queste le modalità che vanno a costituire la componente principale della scrittura, lo stile di uno scrittore, la sua originalità.

La copia di mille riassunti (Giudizi universali, Samuele Bersani,1997)

È un concetto anomalo di originalità, che si discosta, come si è visto, dalla tradizionale concezione del genio proliferata in ambito romantico. La critica Majorie Perloff, di origine austriaca, esule negli Stati Uniti per sfuggire al nazismo, patrocinatrice dello stesso autore di CTRL+C, CTRL+V in veste di poeta, ha descritto questa inedita peculiarità inventiva genio non originale. È una nuova concezione estetica, che implica competenze connesse con la pervasività della rete e il confronto continuo con la permanenza di testi e materiali di ogni tipo, ai fini di un loro riutilizzo. In una prospettiva così configurata, risulta davvero impossibile mantenere inalterata l’immagine dello scrittore, così come viene elaborata durante il modernismo, e applicarla a un contesto del tutto mutato quale quello attuale, dove anche le modalità estetiche del postmoderno, ancora per certi versi guardate con sospetto da alcuni, appaiono depotenziate dalle incommensurabili potenzialità del virtuale. Lo scrittore, oggi più che mai, solo nelle parodie trova corrispondenza con lo stereotipo del genio macerato e autocompiaciuto, ‘pronto, iracondo, inquieto, tenace‘, immortalato da Foscolo nel sonetto autocelebrativo; tuttavia combacia faticosamente anche con il ruolo novecentesco di testimone di una realtà dolente e sfaccettata. Secondo Goldsmith chi scrive, ora, assume piuttosto il compito di un «programmatore che immagina, costruisce, esegue e si prende cura di una macchina da scrittura» (cfr. risvolto di copertina), per produrre quello che, secondo la celebre definizione di Barthes è un testo, ovvero «uno spazio a più dimensioni in cui si congiungono e si oppongono svariate scritture, nessuna delle quali è originale: il testo è un tessuto di citazioni, provenienti dai più diversi settori della cultura» (Roland Barthes, Le bruissement de la langue. Essais critiques IV, Paris, Éditions du Seuil, 1984, trad. it. Il brusio della lingua. Saggi critici IV, Torino, Einaudi, 1988, p. 54). Bisogna aggiungere a questa serie di considerazioni altri due dati, per poter comprendere pienamente la situazione attuale della scrittura. Il primo riguarda la constatazione che in seguito alla diffusione dei dispositivi digitali e della telematica «l’italiano si trova a essere ora non solo parlato, ma anche scritto quotidianamente dalla maggioranza degli italiani» (Giuseppe Antonelli, L’e-taliano tra storia e leggenda, 2018, p.11). Il che significa che si è ribaltata la tradizionale prevalenza del registro formale – padroneggiato da pochi – a vantaggio di una lingua di massa. Il secondo dato invece riguarda la naturalezza con cui gli studenti si muovono nel web e la fluidità con cui gestiscono dati e i contenuti, anche se a volte ci sorprendono per la loro fragilità, quando si tratta di contestualizzare. Se dunque il plagio è una pratica ormai consueta in tutti i campi artistici e soprattutto in ambito musicale, ovvero quello più frequentato dai giovani, che si destreggiano con competenza tra i procedimenti di riappropriazione e riuso inglobati nella produzione di files musicali, perché non prenderne spunto in modo consapevole per diversificare le proposte di scrittura? Il mutamento estetico e culturale relativo al ruolo dello scrittore e i cambiamenti connessi con un maggiore e consapevole utilizzo della scrittura non possono non avere ripercussioni sulla didattica sia della letteratura sia della scrittura, soprattutto nelle situazioni d’emergenza in cui la scuola è obbligata a smaterializzarsi.

A scuola di scrittura non creativa (Un disorientamento)

Nel capitolo undicesimo (cfr. pp. 239-257) Goldsmith introduce il corso di scrittura non creativa tenuto nel 2004 all’università di Pennsylvania, organizzato sull’onda della percezione che i cambiamenti testuali in atto nell’ambiente digitale, dovuti a un uso della rete intensificatosi in un breve periodo, avevano causato conseguenze irreparabili sull’idea di creatività condivisa da una generazione che non aveva mai sperimentato modalità diverse e che si era formata mettendo in atto «pratiche di files sharing, campionamenti, riproduzione digitale». Le nuove strategie di appropriazione, replica, plagio, pirateria e campionamento, se utilizzate consapevolmente – secondo l’esperienza registrata da Goldsmith – contribuiscono a rafforzare l’identità della classe come comunità online, indeboliscono il metodo didattico tradizionale fondato sulla lezione frontale, al tempo stesso – come si è detto – rivelano la vulnerabilità dei giovani sul piano delle conoscenze e della capacità di contestualizzazione. Un rendiconto con il quale ci si confronta quotidianamente anche nella scuola italiana. Di seguito in sintesi vengono presentati alcuni esercizi inseriti nel corso di Goldsmith, alcuni dei quali proposti all’inizio di questo anno scolastico, integrati da modifiche:

  1. Riscrivere cinque pagine a scelta e presentare alla classe la propria selezione soffermandosi sull’analisi tematica e formale (motivazione della scelta, caratteristiche dello stile, ricorrenze lessicali), sui dettagli paratestuali (scelta della carta, del carattere, della distribuzione virtuale o cartacea). Risultato atteso: capacità di vedere i testi non solo come veicoli di significato, ma anche come oggetti da muovere nello spazio bianco della pagina. Seguendo la lezione delle avanguardie, Goldsmith considera fondamentale insistere sulla materialità della scrittura per consentire agli studenti di prenderne coscienza.
    2. Trascrivere una traccia audio. Più il contenuto della traccia scelta è insignificante, maggiore sarà l’attenzione rivolta al linguaggio. Risultato atteso: consapevolezza di come nella scrittura manchi la qualità fisica della voce, siano assenti gli accenti e le pause. Vengono reperiti su Internet i sistemi convenzionali di trascrizione delle dichiarazioni dei testimoni, basati su simboli ortografici
    3. Trascrivere l’episodio finale di una stagione: tutta la classe assiste, separatamente, al finale di stagione e trascrive ciò che vede e sente, comprese le pause pubblicitarie. In seguito sottopone a un processo di editing la prima trascrizione, rimuove le parti che interrompono il flusso ritmico, la punteggiatura. Risultato atteso: un ‘testo aerodinamico e ritmico’, un incrocio minimalista tra E. E. Cummmings e Gertrude Stein.
  2. Retro Graffiti: cercare testi arcani e slogan fuori moda e scriverli in spazi pubblici in forma temporanea. Trasformarli in cartoline d’auguri, per esempio.

Risultato atteso: gli slogan con la loro natura non specifica e non letteraria interrompono gli usi logici economici e politici normativi del linguaggio discorsivo, preferendo una comunicazione ambigua, dai tratti onirici, che individua i suoi modelli in una sintesi dei testi surrealisti e del decalogo dei situazionisti. Di nuovo si incentiva una riflessione sul linguaggio come materiale concreto, questa volta non solo sulla pagina.
5. Sceneggiature: riscrivere la sceneggiatura di un video in modo che possa essere rimessa in scena da attori e non attori. È richiesto l’uso del font Courier e della formattazione richiesta dall’industria cinematografica. Risultato atteso: la trascrizione e l’interpretazione di materiale preesistente consente agli studenti di percepire quelle parole e quelle idee come fossero nate da un lavoro originale.

La finalità alla base degli esercizi di ricontestualizzazione e rigenerazione del linguaggio non si riduce all’attivazione di tecniche in grado di favorire l’ispirazione letteraria e promuovere una più solida padronanza della scrittura La riflessione di Goldsmith intende sfruttare le potenzialità offerte dalla tecnologia digitale per incentivare quello che si definisce the partecipatory turn, un uso attivo della rete, che potenziando le doti creative, migliori al tempo stesso le qualità comunicative e la vita sociale, riscatti dalla frustrazione e dal senso di rassegnata impotenza di esistenze vicarie condotte da chi, passivamente, si consegna al monitor.

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