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diretto da Romano Luperini

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Magrelli e il commissario

 Nel 2018 Valerio Magrelli ha raccolto in volume tutte le sue poesie (Le cavie. Poesie 1980-2018, Einaudi) e, contemporaneamente, ha ricominciato con un nuovo libro di versi: Il commissario Magrelli (Einaudi), opera a cui è stato assegnato il Premio Pagliarani 2019. 

Ne pubblichiamo alcuni testi, proponendoli insieme a una presentazione del libro scritta per il nostro blog dallo stesso Valerio Magrelli, che ringraziamo vivamente per la generosità.

***

I.

Dieci poesie da Il commissario Magrelli

1

Visto che tutti libri

hanno ormai un commissario,

mi faccio commissario

della poesia

e parto sulle tracce dei misfatti

che restano impuniti a questo mondo.

2

Povero vecchio, scherza il commissario:

la sciatica ti assolve, Pinochet…

Quante vittime vale un giradito?

E una colica? Un bel diabete, poi,

avrebbe tratto in salvo pure Goebbels.

Ah! I colpevoli anziani…

Tana libera tutti.

Raggiunti gli ottant’anni, vinci l’impunità.

Coi reumatismi, sistemi un genocidio:

vorrai mica infierire sui vegliardi!

È la “carta d’argento” del crimine,

il bonus del longevo.

Se invecchi in tempo,

non sei più responsabile di nulla.

Effetto Cile.

Sono i desparecidos del reato.

3

È lo stesso con l’anima.

Per questo il commissario li chiama psico-abili.

Non “labili”: abilissimi, al contrario.

22 coltellate alla ragazza? Fuori dopo 10 anni,

ovvero 2 punto 2 fendenti ogni 12 mesi.

In primo grado ne aveva avuti 30, di anni,

ma poi, si sa: siamo o no il paradiso

del pentimento,

il Belpaese del confessionale?

Ovvio, comunque, che il giovin signore

appartenesse alla Milano bene.

La vittima, al contrario, faceva la commessa.

Le vittime fanno sempre le commesse.

Parini contro Porta: non c’è lotta.

Sono “fuori di sé”, questi assassini,

ma devono avere le chiavi,

perché alla fine tornano,

tornano sempre a casa.

4

Il commissario tiene a precisare

ancora un punto riguardo al colpevole:

la sua spiccata fotogenia.

Ecco perché vorrebbe la par condicio

riguardo a foto di prede e predatori.

In quante immagini appare, l’omicida!

Mille volte di più rispetto al morto,

senza contare poi che il suo pressbook

viene continuamente rinnovato.

E via, altre sequenze…

A forza di interviste o comparsate tv,

l’assassino diventa di famiglia.

Che noia, invece, l’altro.

Sempre gli stessi scatti.

Mai che posti qualcosa,

mai che si faccia vivo.

E che diamine!

5

Altri, più comprensibili, riguardano

la nera schiera dei colletti bianchi,

impuniti, impuniti, impunitissimi.

Fosse stato un lettore,

cosa che, ahimè!, non è,

avrebbe amato Swift:

“Ho spesso sognato una legge

in grado di mandare sulla forca

mezza dozzina di banchieri all’anno:

varrebbe almeno a ritardare un poco,

l’ulteriore rovina dell’Irlanda”.

6

L’irrimediabile esige simmetria.

Un viso deturpato,

una persona uccisa – anche per loro,

anche per loro vale la sanzione:

“Fine pena mai”.

Rosaria Lopez, Rosario Livatino:

che lungo rosario di vittime…

e senza alcun permesso-premio, mai.

L’irrimediabile esige simmetria.

E sì che anche l’ucciso

teneva una buona condotta!

7

L’orrore del caporalato.

I sikh nelle campagne di Latina.

I magrebini in Puglia.

Le lotte secolari per il diritto al lavoro: svanite.

Nulla è acquisito in via definitiva,

medita il commissario, basta un attimo

e il tuo vicino ritorna cannibale,

dopo essersi accoppiato con la madre.

8

Morire sul lavoro,

morire di lavoro.

Risparmiare sui costi,

tagliare ancora posti.

Tagliare sulla vita,

ché la diritta via era smarrita.

9

Mafia e giungla,

crimine e zoologia,

più ancora che violenti

sono violentemente noiosissimi.

È sempre tutto uguale,

predatore e predato.

Scorsese, Quark: che palle!,

esclama il commissario.

Epoche che precedono

l’apparizione dell’umanità,

ere che non conoscono

la fioritura della libertà.

10

Che due donne o due uomini

non possano baciarsi per la strada,

pena scherno o percosse,

al commissario proprio non va giù.

Sa che la libertà non esiste in natura:

frutto della cultura

va difesa con cura

altrimenti non dura.

II.

Magrelli e il commissario

Invitato da “La letteratura e noi” a presentare Il commissario Magrelli, ho pensato di riportare alcuni miei appunti. Li trascrivo qui di seguito:

*

Come ho tentato di fare nel 1999 con la raccolta Didascalie per la lettura di un giornale, a me piace tentare, in via sperimentale, di applicare lo strumento poetico alle dimensioni, alle funzioni più diverse. Non che questo corrisponda a un preciso progetto, anzi: detesto ogni visione pianificata e predittiva del fare artistico. Semplicemente, mi piace giocare con i versi, giocare in versi, rifacendomi alla visione di gioco linguistico formulata da Wittgenstein.

In tal senso, già qualche anno fa composi una poesia fortemente parodica dal titolo: Contro l’abuso di haiku. Ebbene, in certo modo le 66 poesie del Commissario Magrelli potrebbero chiamarsi: Contro l’abuso di gialli. Lo spunto di partenza fu infatti costituito da una polemica contro l’inaccettabile “giallizzazione” della nostra letteratura. Poi lo scherzo mi ha preso la mano, e la satira di questo particolare genere letterario si è limitata a tutte le poesie multiple di 5, trasformandosi, per tutto il resto del libro, in denuncia politica, giudiziaria e prima ancora antropologica.

Tranne pochi casi, tranne qualche eccezione, ritengo che i gialli siano incantevoli passatempi. Basta mettersi d’accordo: per me la letteratura non serve a passare il tempo, cioè ad “ammazzarlo” (magari per trovare il suo assassino, tanto per restare in tema). La mia non vuole essere una visione elitaria, bensì di ricerca. Pur condividendo con la narrativa di intrattenimento l’attenzione verso la comunicazione con il lettore, per me “letteratura” significa altro. Non per niente la mia raccolta di poesie complete, edita da Einaudi proprio insieme al Commissario Magrelli, si intitola Le cavie, ed è appunto consacrata a questi “animali da ricerca”. Ecco: secondo me una buona definizione dello scrittore, così come lo intendo io, potrebbe essere quella di “animale da ricerca”.

Quanto al mio volume, vorrei ricordare un interessante rilevo di Alberto Fraccacreta. Egli osserva come il commissario, cercando di preservare “donne, paesaggio e infanzia”, difenda a ben vedere i tre motivi fondamentali della poesia: “La donna è il destinatario, per eccellenza; il paesaggio, il luogo eletto; l’infanzia, la condizione spirituale a cui tendere. Salvarli, significa salvare la bellezza, la quale, per una nota paraetimologia, dovrebbe chiamarci. A che cosa? All’amore reciproco”. Benché ai miei occhi il commissario rappresenti una figura volutamente ridicola, una specie di Tartarino di Tarascona (ossia una caricatura di Don Chisciotte), questa sua versione alta, da autentico profeta, mi suona  assai plausibile.

Non per niente, alla base del libro sta il rispetto, anzi, la religione del prossimo, atteggiamenti sistematicamente ignorati nella nostra società: “Prima Diaz, poi Bolzaneto: / prima la lancia, dopo l’aceto”. Cito una frase di Emmanuel Carrère, da L’Adversaire: “Vi parleranno di compassione. La mia, la riservo alle vittime”. Aggiungo che, poco dopo Il commissario Magrelli, ho pubblicato Sopruso: istruzioni per l’uso. Si tratta di un pamphlet, ma questa volta in prosa, dedicato a quei mostri che io ho chiamato “alterprivi”, e Pier Aldo Rovatti ha ribattezzato con lo splendido termine di “egosauri”.

Concludendo, il commissario, lungo tutte le 66 poesie della raccolta, non esibisce una sua propria posizione morale o politica, quanto un’infinita capacità di stupirsi e indignarsi: “Lui non è interessato ai serial killer, / bensì alla povera preda, serial killed”. Banale, ordinaria, la sua visione del mondo viene costretta a scontrarsi con una società sistematicamente corrotta. Da qui la sua ininterrotta sorpresa. Devoto a un infantile sogno di giustizia, anzi, di una giustizia in versi, il mio balordo eroe è insomma, uno di quelli di cui parla Matteo, 5, 6: “Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia”.

*

Fin qui i miei vecchi appunti. Devo però confessare che, pur nel pieno rispetto democratico della persona umana, le posizioni del mio libro sono talmente radicali e estreme nella richiesta di pene severe per chi opprime le vittime, da avermi causato accese discussioni con alcuni amici cattolici di sinistra: “Non c’è niente da fare: il buon cristiano / si commuove soltanto per chi pecca. / Ah, redimere il reo: mi vengono già i brividi! / Lui invece è per la vittima, / e va in controtendenza: / al Minotauro, preferisce Arianna”.

Il fatto è che, a sua volta, il mio omonimo si considera, oltre che laico, molto più a sinistra di loro, quando, dopo essersi definito “una pecora da combattimento”, pronuncia la frase tabù: “Qualcuno tocchi Caino”. Per spiegare la sua posizione e per concludere, niente di meglio, allora, che ricorrere a un breve passo tratta da un intervento di Roberto Saviano su “L’Espresso”:

“A questo mondo esistono tre tipi di persone”, dice Wayne Kyle nel film Americano sniper, “le pecore, i lupi, e i cani da pastore. Esistono persone che preferiscono credere che nel mondo il male non esiste. E se mai si affacciassero alla loro porta, non saprebbero come proteggersi. Quelle sono le pecore. Poi ci sono i predatori, che usano la violenza per sopraffare i deboli. Quelli sono i lupi. E poi ci sono quelli a cui Dio ha donato la capacità di aggredire e il bisogno incontenibile di difendere il gregge. Questi individui sono una specie rara, nata a per affrontare i lupi. Sono i cani da pastore. In questa famiglia noi non alleviamo pecore, e io vi ammazzo a cinghiate se diventate dei lupi”.

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