Su Trasparenza. In dialogo con Maria Borio
A cura di Marianna Marrucci
MM – Trasparenza è un libro in tre parti (Il puro, L’impuro, Il trasparente). Tre parti più una poesia fuori sezione, collocata all’inizio del libro, in posizione d’apertura. Vorrei fermarmi su questo inizio, che ha tutto il sapore di un manifesto di poetica. Ci trovo, soprattutto, tre indizi, che mi suggeriscono altrettante piste di lettura, che si intrecciano l’una all’altra. La prima riguarda il rapporto tra l’opera e il mondo: “chiedete non alla forma/ ma fuori, a tutto il resto cosa sia,/ questa scrittura o le unghie esili”. Si cerca di spostare il focus sulla realtà (in senso concreto, fisico, materico), su una “scena” che “accada/ e non sia forma sola, ma pancia, mano, piede”. La seconda riguarda il rapporto tra parole e pensiero, che passa per il corpo: “guardate una parola come un piede di bambino/ appoggiato alla mano della madre, quella mano/ alla pancia e la pancia a un pensiero”. La terza, cruciale, riguarda la forma: del libro che il lettore sta per leggere si dice che è “a schermo” e che “può essere forma”. E la “forma” è “disfarsi, a volte”. Un dato di grande interesse del libro, per me, è proprio questo ricerca di formalizzazione a partire da un disfarsi di forme pre-esistenti. Sento in questi versi una volontà di aggirare le misure e forzare i limiti, una spinta a disfare, che allunga il verso fino alla prosa, ma allo stesso tempo anche una specie di ossessione per la strofa, in quanto strumento di modellizzazione. È proprio lo strumento (sempre imperfetto) della forma (“un ritmo che lega gli uomini nella mia mente” e rifrange “vite in frammento o luce stupita”) a permettere all’io di porsi in relazione con gli altri e di parlare al plurale. I due versi che chiudono la poesia mi sembrano dire proprio questo: “Con i pensieri come unghie lego vite/ disunite a schermo”.
MB – La prima poesia di Trasparenza è una specie di overture e di altorilievo che si stacca, viene avanti, parla a chi sta iniziando a leggere. Inizia con due verbi esortativi al plurale: “osservate, chiedete”. Il libro, che ha una struttura tripartita e scandita, racconta una storia atipica: non ha uno svolgimento, non c’è nulla di romanzesco, sembra che tutto sia condensato in un presente interminabile, come un filo a piombo che cade dentro la contemporaneità. È la storia di una persona che nel mondo di oggi ricerca il significato delle relazioni umane, e prova a fissare le scene e le situazioni in cui si manifestano: le comunicazioni digitali, i legami affettivi, ampi spazi percorsi da viaggi in aereo e in treno, luoghi con architetture di vetro che consentono una visione immediata fra l’interno e l’esterno. Il mondo di questo libro è quello della trasparenza. Si sente spesso parlare di trasparenza in politica, in sociologia, in filosofia e non sono poche le pagine dei social network che usano questa parola. Quante volte ci viene chiesto di essere trasparenti? Ma che cosa significa? Immagina un oggetto trasparente: un vetro. Riesci subito a vedere quello che c’è dall’altra parte, ma allo stesso tempo puoi notare delle imperfezioni, tracce di polvere, detriti. C’è una visione immediata, diretta, pura, e c’è una visione con ostacoli, indiretta, impura. La trasparenza è una sintesi tra queste due visioni, è in realtà uno ‘stare nella trasparenza’, così come in ogni relazione umana ci sono aspetti diversi, l’odio e l’amore, il bene e il male: la vita vera è fatta di composizioni, distruzioni e ricostruzioni continue. Pensiamo adesso allo schermo di un computer o di un telefono: in qualsiasi pagina di qualsiasi social network possiamo vedere immediatamente notizie, immagini, mandare all’istante un messaggio, fare una videochiamata con skype o whatsapp. Quello che è così facile, immediato sullo schermo, ha sempre in sé una mancanza, una distanza. Quando comunichiamo con i nostri schermi digitali siamo tra due sponde, quella dell’immediatezza e quella della distanza, del puro e dell’impuro: siamo nella trasparenza. Nel libro la trasparenza diventa una sostanza della vita: dal punto di vista dei sentimenti, delle emozioni, dei nostri mondi più intimi (in questo senso rappresenta il rapporto, di cui parli, tra parole e pensiero che passa per il corpo, quello che nella prima poesia del libro fa venire fuori l’emotività, l’empatia, fa dire ‘chiedete’) e dal punto di vista della riflessione, della conoscenza (in questo senso riguarda il rapporto tra l’opera e il mondo a cui ti riferisci, che mette in moto il pensiero, fa dire ‘osservate’).
La prima poesia del libro parla di uno schermo su cui appare una pagina di facebook. Il tema delle digital humanities è nel libro fra i più ricorrenti. L’inizio, con i due verbi al plurale, è un invito a bucare lo schermo, a sentire e connettere i limiti fra gli esseri umani, a vedere come possiamo essere uno altro limite dell’altro e, quindi, provare a metterci in relazione (‘con i pensieri come unghie / lego vite disunite a schermo’, tanto con l’affetto quanto con il pensiero cerco relazioni autentiche tra le vite che sullo schermo sono disunite). Oggi si parla spesso di post-umanesimo, come se vivessimo in un tempo in cui l’umanità tenda a essere rimpiazzata dalle macchine e il reale dal digitale. Ma post-umanesimo ha un altro significato: la necessità di ripensare l’antropocentrismo moderno – quello del cogito ergo sum –, risultato di un processo storico che ha spinto ai massimi tanto la razionalità quanto i bisogni espressivi degli individui e l’egocentrismo. Il post-umanesimo riguarda la necessità di relazione: fra noi, e fra noi e questo pianeta – si può dire: la necessità di vivere in un ecosistema in cui ragione e natura coesistono e, con le parole del libro, di stare nella trasparenza.
La forma della scrittura, come noti, è importante: la relazione avviene anche grazie alla forma, al ‘come’ sono, ‘come’ comunico, ‘come’ amo e odio; nell’informe non c’è sentimento né razionalità, non c’è relazione. Nel libro la forma è fluida e si articola soprattutto attraverso movimenti ritmici. Forse assomiglia ai riflessi attraverso le superfici di un edificio di vetro, che si rifrangono e sfuggono, ma variano in modo costante ad esempio fra l’alternanza del giorno e della notte. Oppure, immaginando di nuotare nel mare, si può avere la sensazione di trovarsi in una massa liquida indifferenziata, irregolare, ma poi arrivano le correnti con i loro ritmi distinti, regolari… Anche il rapporto tra quello che è regolare e quello che è irregolare rappresenta uno stare nella trasparenza.
MM – Un altro aspetto del libro che mi colpisce molto è la sua sostanza, per così dire, cinestesica. Ricorrono procedimenti di tipo sinestesico (più che vere e proprie sinestesie), che aprono allo sguardo il processo creativo e spesso mettono in primo piano, appunto, la percezione visiva. Faccio qualche esempio: “Come un olio che si espande e l’aria e un’acqua”; “ascolti/ di nuovo il suono del video che scrive”; “il rumore che taglia i timpani, rompe la retina./ Ogni suono nell’iride è ondulato: spazi oscuri,/ assenza, colore, parti elastiche.” Incroci percettivi, metamorfosi, cambiamenti di stato della materia… Tutto questo movimento sembra alludere alla ricerca di un nuovo inizio, alle possibilità di rifondazione dei presupposti della vita e dell’umano, interamente dentro la poesia eppure proiettati verso il fuori: “ Dentro, l’embrione ha già aperto un confine nuovo”.
MB – L’aspetto cinestesico – non avrei saputo trovare parola migliore – rappresenta molto bene la sostanza fluida della scrittura. Gli incroci percettivi, le metamorfosi, i cambiamenti di stato della materia sono tutte esperienze della trasparenza. La percezione visiva è la prima che ci fa rendere conto della dimensione della trasparenza. La scrittura prova a essere un attraversamento cinestesico fra vetri, schermi, corpi umani, acqua e atmosfera, come si tentasse di nuotare nella la vita quasi fosse un fluido. Credo che la sostanza cinestesica sia quella che permette di tenere insieme la conoscenza e l’affetto, e che sia l’espressione del modo in cui la poesia cerca e rappresenta le relazioni, qualcosa che possiamo dire con la ragione e con l’empatia senza escludere né l’una né l’altra. Forse è qui la ricerca di un nuovo inizio, un nuovo presupposto della vita e dell’umano – diverso dall’antropocentrismo moderno di cui parlavo prima – in cui coesistono la ragione e l’empatia, il controllo e la spontaneità, la tecnica e l’emozione?
MM – Veniamo ai padri e alle madri. Amelia Rosselli è richiamata subito in epigrafe alla prima sezione, portatrice della parola chiave “trasparente” (“trasparente/ se la verifichi, ma tutt’altro che una serena esplorazione”). Non è sola: ci sono anche Alejandra Pizarnik, in epigrafe al testo di chiusura della prima sezione (e nelle sue parole torna la parola chiave “transparencia”), Seamus Heaney (“transparent”), Andrea Zanzotto (“Improvviso ritorno al tu…”), Wallace Stevens (“transparent”), fino all’Odissea (con la parola chiave, in chiusura, “armonia”). Il libro è attraversato da un percorso tra le lingue (italiano, spagnolo, inglese, greco), tra le madri e i padri, fino a un autore di fatto collettivo. Come ha preso corpo questo percorso? E che cosa rappresentano per la tua scrittura queste voci, la cui presenza è dichiarata dentro il libro? E quanto pesa, invece, la lezione di Mario Benedetti, che sento tanto presente nella tua poesia?
MB – Quando ho trovato il sostantivo ‘trasparenza’ o l’aggettivo ‘trasparente’ in Amelia Rosselli, Alejandra Pizarnik e Seamus Heaney, mi è sembrato di fare una scoperta meravigliosa. Forse non è stata una sorpresa in Wallace Stevens: nella sua poetica è importante il rapporto tra il mondo reale e la fantasia che si può stendere sulla realtà come una visione trasparente. Mi sono resa conto che la parola trasparenza, per Rosselli, Pizarnik e Heaney, finiva sempre col rappresentare una condizione di ambivalenza: dietro una apparente serenità c’è la complessità (la vita profonda della psiche in Rosselli), dietro una faccia serena ci può essere una tristezza nascosta (il turbolento mondo dei sentimenti di Pizarnik), dietro un’entità che sembra trasparente un mistero irrisolvibile (che uomini sono stati nella vita reale i fantasmi mitologici di cui parla Heaney nelle poesie sul mondo rurale irlandese o nei Bog Poems?). La parola trasparenza spinge a scavare, andare in profondità, non accontentarsi, cercare relazioni. Così ovviamente la fantasia per Stevens. Ecco, allora, mi sono sentita abbracciata. Dell’Odissea ho scoperto la citazione molto prima degli altri. Si tratta del V libro e Ulisse sta cercando di proteggersi dalla furia di Poseidone, tiene stretti i tronchi della zattera in mezzo alla burrasca. Il verbo usato per indicare l’azione del tenere insieme è armózo, che significa collegare, connettere, unire e rimanda a un significato di armonia tutt’altro che pacifico: armonia è la capacità di creare un rapporto tra parti diverse, in tensione. L’armonia presuppone sempre una relazione. Anche di Zanzotto ho trovato prima degli altri l’espressione ‘improvviso ritorno al tu’ e mi ha dato subito suggestioni per il discorso sul significato delle relazioni: mi sembrava sbloccasse il ‘tu’ lirico tipico nella poesia italiana del Novecento.
Questi poeti non sono padri e madri in senso stretto – se dovessi indicare un riferimento per me importante direi Vittorio Sereni. Sono autori che creano una visione, che non ha nulla a che fare con la visionarietà, ma con un immaginario. Sono autori per cui il senso dell’umano è cruciale e che costruiscono autenticamente un immaginario nei loro libri. Per questo sono coraggiosi molto più di tanti sperimentatori d’avanguardia o di tanti scrittori engagé. Se dovessi pensare a una poesia che, come dicevi nella domanda precedente, provi a fondare un nuovo presupposto della vita e dell’umano – oltre l’antropocentrismo moderno… – guarderei a una costellazione necessariamente internazionale di cui Stevens, Sereni, Heaney, Rosselli, Zanzotto, Pizarnik sono solo degli esempi e in cui ci sarebbe sicuramente anche Mario Benedetti.
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