La trottola che non gira più Quale idea di letteratura nella tipologia A del nuovo Esame di Stato
Partiamo da un dato di fatto: ogni modifica, anche minima, dell’esame conclusivo di un ciclo scolastico ha un impatto, sulla didattica delle discipline, molto maggiore di qualunque innovazione nelle linee programmatiche e di indirizzo emanate a livello istituzionale (siano esse Indicazioni nazionali, programmi, profili in uscita, quadri di competenze o altro).
Non a caso, la riforma dell’Esame di Stato del 1998, che introdusse la tipologia dell’Analisi del testo in sostituzione del tradizionale “tema di letteratura”, fu il punto di arrivo di un percorso che, in un contesto scolastico informato da oltre sessant’anni di storicismo pseudo-gentiliano, portò finalmente il testo letterario a prendere il posto della storia letteraria al centro della pratica didattica. Possiamo considerare una pietra miliare di quel percorso l’emanazione dei Programmi sperimentali della Commissione Brocca, nel 1991, che si inserirono nell’ampio dibattito a cui presero parte, lungo tutto il decennio, eminenti intellettuali, spesso anche autori di importanti manuali per le scuole pubblicati in quegli anni (da Romano Luperini a Giulio Ferroni a Cesare Segre). Ma fu solo con l’imposizione ministeriale di una specifica tipologia di prova, e con la contestuale eliminazione del tema letterario, che anche i docenti più retrivi, quelli che avevano sempre incentrato le proprie lezioni sulla biografia e la “poetica” degli autori (quanti ne abbiamo conosciuti?), rimasti fino a quel momento sordi ad ogni sollecitazione ed innovazione, dovettero modificare la propria prassi didattica ed iniziare a lavorare, in classe, sulla lettura diretta dei testi e sulla loro analisi.
Nello specifico, la “vecchia” tipologia A, secondo il D.M. 389/98 prevedeva l’«analisi e commento, anche arricchito da note personali, di un testo letterario o non letterario, in prosa o in poesia, corredato da indicazioni che orientino nella comprensione, nella interpretazione di insieme del passo e nella sua contestualizzazione». Non era dunque un questionario (come ancora fino a ieri, purtroppo, molti colleghi l’hanno intesa), né una prova che prevedesse lo sfoggio di chissà quale erudizione letteraria, anche perché – ricordiamolo sempre – la prova era (ed è) rivolta agli studenti di tutte le tipologie di scuola ed indirizzo, anche di quelle in cui si dà meno spazio alle discipline umanistiche. Infatti, la parte conclusiva della traccia, quella che, nella prassi ministeriale, era solitamente denominata Interpretazione complessiva ed approfondimenti, non si è mai limitata alla contestualizzazione storico-letteraria del passo proposto (richiesta che avrebbe reso la prova infattibile nel caso in cui l’autore o il testo non fossero stati affrontati in classe, durante l’anno), ma – proprio partendo dal testo – ha sempre proposto piste di riflessione di tipo tematico, a cui il candidato potesse far fronte anche con altre risorse: collegamenti interdisciplinari, letture individuali, esperienze personali. Dopo la comprensione iniziale, dunque, erano richiesti i momenti fondamentali dell’interpretazione e dell’attualizzazione, grazie ai quali il testo in esame veniva inserito in una cornice di senso per lo studente, chiamato a mettere in relazione quanto letto con il proprio bagaglio di conoscenze (non solo scolastiche) e con il proprio vissuto.
L’idea di letteratura che emergeva (almeno nelle intenzioni) dalla vecchia proposta di tipologia A era – proprio sulla scorta di quel dibattito a cui si accennava all’inizio, e al netto di alcune singole prove non proprio felici – un’idea di letteratura in costante dialogo con il presente e con la realtà – cognitiva, emotiva, esistenziale – dei suoi lettori, ai quali era affidato il compito, non banale, di comprenderne e negoziarne il significato. E a questa negoziazione lo studente non poteva essere abituato se non attraverso una didattica della letteratura viva e attiva, che prevedesse un contatto prolungato e diretto con i testi, da praticare all’interno della comunità interpretativa della classe.
Quale idea di letteratura, e dunque di didattica della letteratura, emerge invece dall’esempio di prova pubblicato all’inizio di gennaio sul sito del MIUR?
Partiamo dalla scelta del testo: poco più di venti righe (come se nelle sei ore di prova non ci fosse adeguato spazio per leggere testi, magari integrali, più ampi e distesi) tratte da Il mio sodalizio con De Pisis di Giovanni Comisso. La scelta è quanto meno (absit iniuria verbis) opinabile: né il testo né l’autore, infatti, fanno parte di quella parte del canone che Cesare Segre ha chiamato dei “monumenti” o, secondo la definizione calviniana, dei “classici”. E se la prova d’Esame, conclusiva di un ciclo di studi, deve essere una prova “di comprensione e analisi di un testo letterario” (e non più, come in precedenza, di un testo che poteva anche essere non letterario), non si capisce perché i candidati non possano misurarsi con i “grandi” del canone scolastico, che certo non mancano (nelle Indicazioni Nazionali per i licei sono più di venti gli autori menzionati, solo per il quinto anno); in tal caso, anche la scelta di un testo poco noto sarebbe stata maggiormente comprensibile.
“Bocciato” sotto il profilo della rilevanza culturale, il brano di Comisso avrebbe potuto avere, però, un suo valore “esistenziale”, in quanto, almeno nella prima parte, l’autore descrive le sue inquietudini giovanili al ritorno dall’esperienza traumatica della Grande Guerra, alle prese con gli inevitabili dubbi sulla direzione da dare alla propria vita: ottimo spunto per chiedere una riflessione su questo tema (chi sta svolgendo la prova si trova a fronteggiare esattamente gli stessi dilemmi), magari con riferimenti e collegamenti ad altri testi (o – perché no – film, canzoni, ecc…) noti allo studente. Invece no. Per due ragioni molto diverse.
Primo: la parte finale del testo si sofferma sulla descrizione del pittore De Pisis, descrizione che è evidentemente il preludio alla narrazione del sodalizio con l’autore di cui al titolo. Che senso ha – mi chiedo – scegliere un passo così breve eppure privo di una sua omogeneità tematica interna? Quale stimolo alla lettura e alla riflessione può dare una scelta del genere? In che modo le due parti, quella autobiografico-esistenziale e quella descrittiva, si arricchiscono mutualmente? Non è dato saperlo, poiché la risposta a tale domanda risiede, molto probabilmente, nella parte del mémoir di Comisso che segue il brano scelto, e che lo studente ovviamente non conosce. Molto più produttivo sarebbe stato, allora, proporre una porzione (magari un po’ più ampia) de Il mio sodalizio con De Pisis in cui il rapporto amicale ed intellettuale far i due fosse ben più ampiamente descritto, aprendo così la porta a piste di approfondimento che avrebbero potuto spaziare dall’amicizia al valore delle narrazioni autobiografiche come forma di riflessione e conoscenza di sé.
Ma è il secondo motivo quello che mi preoccupa maggiormente, ovvero la formulazione di quell’ultima richiesta di “interpretazione e approfondimento”, rinominata però Relazione con il contesto storico e culturale (e la denominazione è già di per sé significativa), in cui si chiede al candidato di delineare «il contesto storico-politico e artistico-letterario di riferimento evidenziato nei passaggi in cui l’Autore fa riferimento alle sue esperienze belliche». Ed è questo, a mio parere, il nodo della questione: la tipologia A cessa – se conclusa da una domanda così congegnata – di essere una traccia di analisi ed interpretazione di un testo letterario, ma diventa semplicemente lo spunto per sviluppare un elaborato espositivo di ambito storico-artistico (secondo quanto indicato nel Quadro di Riferimento del 26/11/2018 a proposito degli ambiti disciplinari su cui può vertere la prova).
Ora, è chiaro che uno studente del quinto anno di scuola superiore avrà certamente un’idea, anche se forse non approfondita, del contesto storico-politico dell’immediato primo dopoguerra (i problemi della ricostruzione e riconversione, l’insoddisfazione dei reduci, l’instabilità politica, gli scioperi, il “biennio rosso”, la nascita dei Fasci di combattimento, il mito della “vittoria mutilata”…); mi pare invece molto più difficile che possa averla del contesto letterario, che è più argomento da corso monografico universitario che da quinto anno di scuola superiore. È noto, infatti, che i docenti di lettere non vedano l’ora, nella tarda primavera, di sottrarre qualche ora di lezione alla lettura di Pirandello, Ungaretti o Saba per affrontare il classicismo de «La Ronda» e il dibattito fra le riviste, delineando le figure di Cardarelli, Cecchi e Bacchelli, e magari concedendosi anche un accenno ai romanzi di Enrico Pea. Per non parlare, poi, del côté artistico. Tutti i maturandi, infatti, hanno una conoscenza non banale dell’ultima stagione metafisica, del cosiddetto retour à l’ordre, e della funzione di una rivista come «Valori plastici»: nozioni di “cultura generale” sicuramente a portata di mano anche per chi non abbia, nel proprio curriculum di studi, nemmeno un’ora di storia dell’arte (a livello universitario, ça va sans dire).
Non solo: il brano (che a una prima lettura non appare particolarmente complesso per il contenuto, per i temi trattati o per lo stile) contiene una serie di riferimenti a protagonisti della cultura del tempo frequentati in gioventù dall’autore (Arturo Onofri, Filippo De Pisis, Arturo Martini, Giorgio de Chirico, ma anche lo stesso Benedetto Croce) che potrebbero essere sì un punto di partenza per la contestualizzazione storico-artistica, ma che l’estensore della prova, evidentemente, ritiene noti ad uno studente medio dell’ultimo anno di secondaria superiore, poiché non sono accompagnati da alcuna nota esplicativa o altro elemento paratestuale che possa presentarli adeguatamente, privando così i candidati di elementi importanti per lo svolgimento della prova.
In tale contesto, per cui ci si chiede innanzitutto se chi ha formulato la prova abbia mai preso visione delle Indicazioni nazionali e delle Linee guida relative alle discipline interessate (italiano, storia, storia dell’arte), e se tenga a mente il fatto che la prova sarà somministrata anche a studenti che non hanno la storia dell’arte o la filosofia nel proprio curriculum di studi, la traccia risulta, di fatto, quasi impossibile da svolgere nella sua interezza, a meno che non si presupponga un candidato-tipo in possesso di conoscenze che non sono né previste né richieste dalla stragrande maggioranza degli indirizzi di scuola superiore.
Ma ciò che è più grave è, a mio parere, il fatto che il testo letterario venga piegato a mero pretesto per la stesura di un (non semplice) elaborato di tipo espositivo, per il quale sarebbe stata più onesta la chiara e vecchia formulazione «Delinei il candidato, sulla base delle conoscenze di studio, delle letture e di altre fonti significative, il contesto storico-politico e artistico-letterario degli anni immediatamente successivi al primo conflitto mondiale». Al di là delle quattro domandine di analisi contenutistica o stilistica – prive, tra l’altro, di qualunque gradualità e coerenza – scompare infatti ogni possibilità, per lo studente, di interpretare il testo nella sua globalità, di interrogarlo, di farlo parlare e dialogare con la propria esperienza e con il proprio bagaglio culturale, di riconoscerlo simile o diverso da sé, di stabilire connessioni con altri testi e con altre esperienze culturali, poiché ciò che viene richiesto non è la capacità entrare nel testo (facendo uso, certamente, anche del contesto) per dare un senso a ciò che si è letto, ma solo la conoscenza di ciò che sta intorno al testo: il contesto storico, i nomi, la “poetica”, le biografie.
La letteratura smette di essere, per dirla con Sartre, quella «strana trottola che esiste solo quando è in movimento» (Jean-Paul Sartre, Che cos’è la letteratura), per tornare ad essere qualcosa che si studia, preferibilmente senza scomodarsi con letture dirette, troppo lunghe, faticose e poco produttive, dal momento che ciò che è richiesto, alla fine di un percorso di cinque anni, è qualcosa di diverso, qualcosa che ci riporta indietro di almeno trent’anni, ad una didattica della letteratura in cui il contesto prevale sul testo, l’erudizione storico-letteraria sulla capacità di saper leggere e analizzare.
Se questo è il punto di arrivo, l’obiettivo finale della tanto sbandierata scuola delle competenze, ebbene, forse qualcosa è andato storto. E di parecchio.
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