Il libro, lo schermo, la vita. Il viaggio di Gino Roncaglia nella scuola digitale
In Zone grigie, Goffredo Fofi si chiede retoricamente che bisogno ci sia ormai di dittature, quando il pieno “controllo del consumo mediatico” è sufficiente ad assicurare il potere. Riflette poi sulla possibilità che alcune minoranze possano produrre cultura attraverso questi canali, esplorando la “possibilità di usare nel bene quel che è stato programmato nel male”.
Il libro di Gino Roncaglia L’età della frammentazione si pone interrogativi non dissimili – in ambito didattico/ pedagogico e non politico – ed approda a risposte diverse.
1. Materiali per una storia contemporanea del digitale
L’autore ritiene che ci troviamo in “una situazione in cui le tradizionali strategie di riconoscimento, comprensione, costruzione della complessità (prevalentemente lineare e testuale) del passato non bastano più”, e che “occorre fornire le competenze necessarie per produrre, comprendere e gestire la complessità in nuove forme e attraverso nuovi strumenti”. Come la produzione automatizzata di merci nell’età dell’industrializzazione comporta enormi rischi nel mondo reale, così il passaggio alla produzione automatica di informazioni costituisce un momento delicatissimo nelle trasformazioni del pensiero e dell’immaginario. Consentire agli studenti/cittadini di comprendere il processo in corso e contribuire alla sua gestione è quindi un compito ineludibile, che non può essere affrontato servendosi semplicemente degli strumenti intellettuali legati alla cultura del buon vecchio libro di carta.
Il mondo del digitale sta attraversando una fase storica in cui prevalgono manifestazioni e prodotti segnati da granularità, frammentazione, dispersione, ma Roncaglia ritiene che questo non sia un destino, ma un passaggio: il recupero della complessità, di una nuova epoca di critica e logica basata anche sul contributo del digitale non è solo un orizzonte utopistico, ma una concreta possibilità.
La scuola potrà essere protagonista del cambiamento, a condizione che quelli che oggi sono sporadici tentativi (e talvolta mode) diventino parte integrante delle pratiche educative e didattiche. Non lo sarà certamente, se non si supereranno sterili contrapposizioni fra i cantori del nuovo che avanza e i laudatores temporis acti.
2. Frammentarietà e complessità del sapere: non un destino, ma una scelta
Questa tesi viene esposta in modo articolato, dapprima sul piano teorico, e in seguito attraverso l’illustrazione di concrete esperienze progettuali. La più significativa fra esse – che caratterizza alcuni snodi fondamentali del ragionamento – è la partecipazione dell’autore alla stesura del Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD), in cui ha scritto il testo delle azioni 23 e 24, dedicate alla riflessione sui contenuti di un curricolo digitale a scuola (sullo sfondo del rapporto fra questo apprendimento e quelli relativi alle discipline).
Roncaglia si preoccupa di sgombrare il campo da alcuni possibili equivoci legati ai termini “competenze” e “scuola digitale”, intercettando interrogativi ed idee cruciali nella nostra esperienza di insegnanti.
Sottolinea che l’interdipendenza fra conoscenze e competenze può sembrare ovvia, ma una concezione spesso troppo astratta della didattica per competenze finisce per associarle in modo quasi esclusivo ai processi e alle pratiche: ne deriva l’impressione che “una sottovalutazione – spesso implicita ma comunque assolutamente perniciosa – del rilievo dei contenuti si sia insinuata in molta parte del dibattito e delle azioni volte a definire le politiche pubbliche nel settore della scuola e della formazione”.
Al digitale, e al suo utilizzo nelle pratiche didattiche, Roncaglia associa idee di permanenza, trasversalità, interoperatività, chiarendo che l’espressione “scuola digitale” è frutto di un’estrema sintesi comunicativa e comporta il rischio “di far percepire il digitale come una sorta di ideologia totalizzante o come una variabile indipendente, un ingrediente autonomo sufficiente a identificare da solo specifiche pratiche formative”. Al contrario, al centro del concetto (e delle pratiche che ne possono derivare), è “il ruolo che diverse tipologie di contenuti informativi e di strumenti per la produzione, elaborazione e gestione dell’informazione hanno nella costruzione delle nostre conoscenze e delle nostre competenze”.
L’autore riconosce con onestà l’ambivalenza e le contraddizioni di molte azioni didattiche intraprese nel nome del digitale, a partire dal “peccato originale” di ritenere gli studenti “nativi digitali”, e quindi ontologicamente predisposti a nuove forme di apprendimento. Sulla scorta di evidenze scientifiche e culturali ormai assodate, sottolinea l’infondatezza della categoria di “nativo”, spostando l’attenzione dal cervello e dall’individuo che apprende (che rimangono gli stessi di un tempo) all’ambiente (che affronta invece mutamenti rapidi e sostanziali).
Lo studio della relazione fra apprendimenti formali (tradizionali/ istituzionali) e apprendimenti informali (innovativi/ non istituzionali), viene quindi impostato in modo originale, partendo dall’idea che sia necessario integrare diversi ambiti, modalità, strumenti conoscitivi, “se vogliamo evitare una scuola schizofrenica, in gran parte ostinatamente legata al secolo scorso e lontanissima dall’universo comunicativo di chi la frequenta, e nelle punte che si vorrebbero più avanzate sedotta dalle sirene del digitale debole, nel quale la frammentazione e l’illusione dell’autosufficienza prevalgono sulle competenze legate alla costruzione di complessità”.
3. Cambiare senza tradire: libri e schermi nelle classi del futuro
Roncaglia ragiona quindi sui possibili scenari di incontro, al contempo fisici e simbolici, fra cultura del libro e cultura del digitale. Il suo discorso verte soprattutto su tre strumenti conoscitivi fondamentali: la classe, il libro di testo e la biblioteca. In pagine appassionate, descrive potenzialità e rischi insiti nella progettazione e nella realizzazione di nuovi design per l’ambiente–classe in cui viene vissuta l’esperienza dell’insegnamento/ apprendimento, per i libri di testo e per le biblioteche.
Il discorso teorico sul disegno della classe come luogo ideale è interessante, ma è certamente il più esposto ad una lettura soggettiva, condizionata dalla qualità effettiva degli spazi che ciascuno di noi abita nel quotidiano. Leggendo che “l’ambiente di apprendimento contribuisce a fare sì che i protagonisti del processo di apprendimento si trasformino in una comunità”, immagino che molti di noi pensino alla pagina di un romanzo utopistico piuttosto che ad una proposta realizzabile.
Lo stesso Roncaglia, quando scrive di libri cartaceo/ digitali e biblioteche scolastiche innovative, non nasconde le difficoltà e i parziali insuccessi, legati al complesso intreccio di intenzioni pedagogiche, investimenti economici per l’istruzione, interessi economici degli editori; sottolinea anzi la latitanza dei decisori politici, tanto lungimiranti a parole quanto ambigui nei comportamenti.
Tuttavia, la sua analisi del contributo che l’editoria scolastica potrebbe fornire nell’incontro fra vecchi e nuovi modelli di insegnamento è convincente, poiché evidenzia due ambiti rispetto ai quali un’integrazione intelligente di “cartaceo” e “digitale” potrebbe giocare un ruolo significativo:
la capacità di motivare allo studio, suscitando energie e sentimenti profondi nello studente, e la qualità della narrazione di contenuti e temi delle discipline. Nel quadro del suo ragionamento, il digitale non costituisce un distrattore o una moda; assume invece la funzione di “colla narrativa”. Del resto, il valore tradizionale del libro di testo viene pienamente riconosciuto, poiché esso assolve la funzione di cornice culturale, di riferimento canonico, di autorevolezza; in quest’ambito, l’autore non fa nessuna concessione alla moda (tipica di una lettura superficiale del digitale) del libro autoprodotto e validato dalla stessa comunità che lo produce e lo utilizza.
Particolarmente incisiva risulta poi la riflessione dedicata al ruolo delle biblioteche scolastiche, motore del recupero di una nuova complessità di pensiero, animate da una ricerca intellettuale libera e non costrittiva. Parlando dei gruppi di lettura, ad esempio, Roncaglia insiste sull’idea che la loro importanza “trascenda (…) l’ambito strettamente didattico e linguistico-letterario al cui interno sono nati”, e che essi non debbano essere trasformati in strumenti coercitivi e valutativi, mantenendo la loro dimensione di “scoperte ed esplorazioni autonome delle varie dimensioni del testo”.
Quest’invito rivolto alla scuola perché indirizzi gli studenti alla libera ricerca, segnato da una profonda fiducia nella loro autonomia di pensiero e nella professionalità degli insegnanti, riassume degnamente lo spirito del libro.
4. Apprendere, giocare, scegliere: quale digitale vogliamo nella scuola di domani?
Nelle ultime pagine, analizzate le dicotomie che ritiene fuorvianti (perché conducono ad una sterile contrapposizione fra tradizione ed innovazione), Roncaglia focalizza l’attenzione sulla sfida vera dei prossimi anni, che opporrà un “digitale debole” ad un “digitale forte”.
Il primo, dispersivo e superficiale, “orientato solo alla decostruzione e alla granularizzazione dei contenuti”, che “produce a sua volta una scuola debole e persa nella frammentazione”; il secondo “forte e strutturato”, legato ad “un uso più organizzato, meno dispersivo, meno occasionale di contenuti formativi e di apprendimento più strutturati e complessi”.
Sarà la sfida fra un digitale che promuove l’istituzionalizzazione dell’ignoranza e lo svilimento di contenuti e competenze, ed un digitale che dall’incontro e dall’integrazione con la cultura tradizionale del libro guadagna in solidità e in profondità, regalando alla civiltà della lettura orizzonti nuovi e stimolanti.
Sull’esito di questa sfida si può essere pessimisti, ma L’età della frammentazione infonde coraggio e determinazione.
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