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diretto da Romano Luperini

scrittura 20140524 0102

“Pangramma” ed “Esercizi di stile”. Due esperienze didattiche di scrittura creativa

 Questo intervento consta di tre sezioni. La prima è introduttiva e contiene alcune riflessioni sulla «scrittura creativa» (che cos’è, se è “seria”, perché può essere utile per la didattica dell’italiano); la seconda descrive due esperienze di scrittura creativa in classi delle scuole superiori (ciò non toglie che con opportune semplificazioni esse possano essere perfettamente adattate anche alla scuola media); la terza (un’appendice) riporta alcuni dei testi scritti dagli studenti, a titolo esemplificativo.

Chi non fosse interessato alle riflessioni generali della prima sezione può perciò saltare direttamente alla seconda. A chi, invece, fosse sospettoso di fronte al termine stesso «scrittura creativa», consigliamo di provare almeno a leggere la terza sezione, per verificare de visu i risultati concreti dell’attività.

 1. La «scrittura creativa»

Nella prefazione a un libro che nella didattica dell’italiano nella scuola media ha fatto la storia, I draghi locopei, Umberto Eco riferì di una lettera ricevuta dalla professoressa-autrice, Ersilia Zamponi, che lo rassicurava sul fatto che i giochi linguistici e gli esercizi di scrittura raccolti nel libro erano stati riservati all’orario extracurricolare. Eco rassicurò a sua volta la professoressa (e i lettori): quei “giochi” si potevano fare tranquillamente anche in orario curricolare, al posto di altre attività “tradizionali” di scrittura.

A che punto siamo, oggi, quanto all’uso della scrittura creativa nelle scuole italiane? È quasi impossibile dirlo, perché l’attività didattica è un buco nero. Quanti di noi insegnanti sanno davvero (per averlo visto: non per sentito dire, sulla base di malignità di corridoio o per auratica fama di eccezionalità) che cosa faccia precisamente il collega che sta nell’aula a fianco della nostra? Dunque, descrivendo le nostre due esperienze di scrittura creativa, non sappiamo precisamente se ci rivolgiamo a colleghi che ne hanno fatte magari di assai più intelligenti ed efficaci, o se invece stiamo esplorando un terreno vergine. Facciamo l’ipotesi minimalista: la scrittura creativa non è ancora diffusa nella nostra scuola, o lo è ancora troppo poco. Per questa ragione occorre spiegare almeno per sommi capi di che cosa si tratti e se sia una “cosa seria” e non un capitolo della retorica da Silicon Valley applicata alla scuola, sui giovani geni che inventano un processore nel chiuso di un garage di provincia e diventano milionari.

La scrittura creativa è, innanzitutto, una delle vie possibili da percorrere per far scrivere a scuola. Ce ne sono altre, altrettanto degne: non è sostitutiva, ma addittiva (salvo, naturalmente, la dannata spada di Damocle del tempo che ci pende sulla testa). Il ricorso ad essa permette, però, di raggiungere con grande efficacia e alta motivazione per gli studenti alcuni obiettivi importanti della didattica della scrittura e dell’apprendimento linguistico (e che emergeranno dalla descrizione delle due esperienze).

La scrittura creativa è assai meno “creativa” di quanto non possa far pensare l’aggettivo: si basa infatti sull’idea che sia possibile scrivere solo a partire da una forma che ci vincoli (è l’antico principio che impone di rispettare la scansione strofica, la misura dei versi, la rima, … per esprimersi poeticamente). Non è, perciò, la libera ed informe espressione della propria irripetibile soggettività, anzi, esattamente il contrario. Il vincolo, tuttavia, è neanche troppo paradossalmente liberatorio e sprigiona energie intellettuali e linguistiche. Ogni insegnante sa quali stenti risultati si raggiungano chiedendo agli studenti di parlare genericamente “di quel che vogliono” o di “una esperienza personale”: si indichi loro, al contrario, un tracciato, una porzione circoscritta nel dicibile, una piccola idea seminale, e cominceranno a camminare.

Ma invece di fornire una traccia con vincoli di contenuto, la scrittura creativa si basa sul principio che questi debbano essere soprattutto di forma: nella struttura del testo, nel genere, nella focalizzazione, … ma anche nello stile, nel registro, nel lessico. La scrittura può anche essere riscrittura, nel senso che i vincoli non vengono posti alla creazione di un testo d’invenzione, ma diventano indicazioni per riscrivere un testo già fornito.

Il fatto che la scrittura possa essere riscrittura fa capire che l’originalità di un testo creativo sta più nello scintillio d’intelligenza del linguaggio, dello stile, delle scelte retoriche, che nelle idee, le quali possono anche essere “prese in prestito”. A scuola chiediamo spesso agli studenti di esprimere per iscritto opinioni su questioni sinceramente troppo grandi per loro, e spesso senza che abbiano avuto la possibilità di meditare le opinioni degli esperti. Ma l’originalità non è un atto demiurgico che crei la materia ex nihilo, bensì, sempre, la creativa rielaborazione di idee altrui. Tuttavia non è facile nemmeno rielaborare (criticamente o creativamente) quanto sia stato detto o scritto da altri. La scrittura creativa e la riscrittura facilitano proprio questo passaggio: il fatto che si prescriva attraverso quali modalità testuali o linguistiche si debbano rielaborare le idee altrui, consente allo studente di concentrarsi sui mezzi linguistici con i quali realizzare quelle prescrizioni.

La scrittura creativa perciò, molto di più che altri approcci didattici, potenzia la competenza degli studenti nella scrittura (in termini di competenza lessicale, morfologica, sintattica, testuale, retorica). Questa competenza accresciuta, va da sé, potrà poi essere messa a disposizione di ogni altra occasione di scrittura; anzi, quando lo studente si troverà di fronte alla necessità di argomentare il proprio pensiero, di scrivere un articolo di giornale, di parafrasare e commentare un testo letterario, riuscirà forse a trovare con più facilità le “parole giuste” per farlo.

2. Le due esperienze didattiche: i lipogrammi e gli esercizi di stile

Le due esperienze didattiche di scrittura creativa hanno coinvolto alcune nostre classi sia di biennio che di triennio. Ciascuna si ispira a un libro: la prima a Lettere. Fiaba epistolare in lipogrammi progressivi di Mark Dunn, la seconda agli Esercizi di stile di Raymond Queneau.

Presentiamo le due esperienze una alla volta, dapprima illustrando il contenuto dei due libri, successivamente descrivendo l’attività didattica che è stata progettata a partire da essi.

Mark Dunn, Lettere. Fiaba epistolare in lipogrammi progressivi. In una non ben identificabile isola americana, un tale Nollop, in un impeto di passione linguistica, idea un pangramma (un frase contenente almeno una volta tutte le lettere dell’alfabeto, nessuna esclusa): Fu questa volpe a ghermir d’un balzo il cane. A cento anni di distanza, Nollop è ormai diventato il nume tutelare dell’isola, che ha anche assunto il suo nome: la sua eccelsa grandezza è ricordata dall’iscrizione del suo pangramma sulle piastrelle del cenotafio a lui dedicato. Ma la colla che tiene su le piastrelle non regge all’usura del tempo e quella su cui è scolpita la lettera Z cade a terra. Dovendo darsi una spiegazione dell’accaduto, il Gran Consiglio dell’isola opta per quella più inattesa e sconvolgente: la caduta della lettera sarebbe un segno della volontà del grande Nollop, che dall’aldilà vieta a tutti i concittadini l’uso orale e scritto della lettera. Così l’uso della Z viene bandito nel paese, pena la perdita dei diritti e dei beni e, nel caso di reiterazione del “delitto d’uso”, pena la morte. Ma altre lettere cadranno e la risposta del Gran Consiglio sarà sempre la stessa, così che gli abitanti dell’isola saranno costretti a inventare strategie comunicative sempre nuove, per superare il vaglio di una censura che agli occhi dei lettori ha un forte sapore orwelliano.

Il lettore apprende la storia dell’isola di Nollop dal rapporto epistolare, sempre più difficoltoso e fantasioso per la carenza di lettere, tra due cugine, una delle quali residente sull’isola. Non racconteremo come finisce il romanzo, perché è tempo di passare alla descrizione dell’attività didattica.

In classe (una terza) è stato appeso, senza dare spiegazioni, un cartellone recante l’iscrizione del pangramma di Nollop in lettere rimovibili. Durante una mattinata di scuola, la prima delle lettere scollatesi nel racconto, la Z, è stata fatta cadere; conseguentemente agli allievi è stato vietato l’uso della lettera “caduta” nelle successive esercitazioni di scrittura domestica. Ogni tanto veniva elargita qualche informazione sulla vicenda di un misterioso romanzo (il nostro, appunto), a margine delle lezioni di letteratura italiana, per tener vive attesa e curiosità. Ogni mese è caduta una nuova lettera, nell’ordine suggerito dalla vicenda del testo di Dunn, così che gli studenti, per ovviare ai sempre più numerosi limiti imposti negli scritti a casa, si sono trovati a dover mettere in atto strategie comunicative alternative: sinonimi, iperonimi, perifrasi…

Abbiamo potuto constatare come i testi prodotti in questo modo fossero sicuramente più corretti e sorvegliati da un punto di vista ortografico e con un lessico più vario e preciso di quello, scarno ed essenziale, usato abitualmente. In un tempo in cui la drastica riduzione del vocabolario dei ragazzi è una inevitabile conseguenza della rapidità e concisione della comunicazione tecnologica si tratta di una piccola goccia nel mare… ma “tutto fa”.

Fondamentale per motivare i ragazzi alla scrittura è stato il pungolo della curiosità intorno al libro “segreto”: il titolo e l’autore del romanzo sono infatti stati tenuti segreti durante tutto l’anno scolastico, anzi, del libro è stata vietata la ricerca e la lettura, salvo fornire maliziosamente, come si è detto, alcuni cenni su di esso a margine delle lezioni di letteratura.

La curiosità e il divieto hanno ovviamente spinto molti a seguire le tracce sparse del romanzo e, una volta trovatolo, a leggerlo e a discuterne con i compagni.

L’ultimo testo dell’anno era veramente povero di lettere (ne erano cadute ben dodici!) ed è stato dunque proposto agli studenti come facoltativo. Il suo, peraltro, era un “titolo impossibile” come Il legno come materiale da costruzione, per abituare gli allievi a scrivere anche di argomenti decisamente lontani dai loro interessi (ma questo è un altro esperimento e, quindi, un’altra storia). Possiamo dire che, nonostante la facoltatività, quasi tutti gli studenti hanno voluto cimentarsi con quest’ultimo testo.

Il romanzo di Dunn è stato infine assegnato, a fine anno, come lettura estiva fra altre.

Raymond Queneau, Esercizi di stile. Il libro è costituito da 98 variazioni su un breve testo iniziale, Notazioni, piuttosto cronachistico e banale (in effetti un mero pretesto per la reinvenzione): un narratore non meglio identificato assiste a un litigio su un autobus parigino; poco dopo, vicino alla stazione, rivede il giovane protagonista del litigio insieme a un amico.

Le variazioni, di norma, non sono più lunghe di una pagina. Benché nel libro di Queneau siano presentate secondo un ordine libero, esse possono essere raggruppate in categorie: riscritture basate su giochi linguistici (Partita doppia: ogni parola piena – aggettivi nomi verbi – viene appaiata a un sinonimo, ad esempio «nel mezzo della giornata e a mezzodì»; Definizioni: ogni parola viene sostituita dalla sua definizione (il più ridondante possibile), per cui autobus diventa «un grande veicolo automobile pubblico destinato al trasporto urbano»; Anglicismi: «Un dèi, verso middèi, ho takato il bus»; …), riscritture basate sulla trasformazione dello stile (Sogno, dall’andamento ondivago e onirico; Precisazioni, dove tutto viene misurato per peso, dimensioni, durata; Ignoranza, dove il narratore è “uno che se ne sbatte”; Me guarda, dove il narratore parla in un italiano regionale del Nord; Dunque cioè, che sembra scritto da un adolescente della “generazione cioè”; Ampolloso, pieno di metafore classiche e omeriche; Volgare, dove il narratore parla in romanesco e dice parolacce; …), riscritture basate su un preciso genere testuale o letterario (Svolgimento, un “pensierino” scritto da un bambino delle elementari; Lettera ufficiale, un testo in burocratese; Telegrafico, redatto come un vecchio telegramma; Interrogatorio, un dialogo tra un poliziotto e un indagato; …), riscritture basate sulla trasformazione dei tempi verbali (Presente, immediato e referenziale; Passato remoto, aulico e sostenuto; Imperfetto, descrittivo; …), riscritture basate sull’uso di figure retoriche (Litoti: «Non s’era in pochi a spostarci. Un tale, al di qua della maturità, e che non sembrava un mostro d’intelligenza…»; Negatività: «No, non era uno scivolo e neppure un velivolo ma un automezzo, di trasporto terrestre…»; Metaforicamente: «Nel cuore del giorno, gettato in un mucchio di sardine passeggere d’un coleottero dalla grossa corazza biancastra»; …).

Dopo aver letto, in classe e a casa, Notazioni e una selezione delle 99 variazioni, gli studenti, sotto la guida dell’insegnante, hanno cercato di “smontare” il meccanismo di ciascuna riscrittura per comprenderne le regole. Ad esempio, si è osservato che per scrivere un testo come Definizioni basta sostituire ad ogni parola la sua definizione da vocabolario, possibilmente dilatandola il più possibile, mentre per scrivere un testo come Passato remoto occorre mettersi dal punto di vista di un narratore che racconti il banale episodio sull’autobus come se fosse una grande storia da romanzo.

Dopo questo lavoro di lettura e analisi, agli studenti è stato fornito un altro testo-base, preparato dall’insegnante, e si è chiesto loro di riscriverlo più volte seguendo l’esempio di Queneau. In alcuni casi la riscrittura ha rispettato il mandato dell’originale, in altri casi esso è stato aggiornato o adattato al contesto: la variazione Dunque, cioè, adatta alla “generazione cioè” degli anni Ottanta, è diventata la variazione della “generazione ‘tipo’”; il romanesco di Volgare è diventato il vernacolo toscano della classe, e così via.

La scelta da parte degli studenti di quali variazioni sperimentare può essere totalmente libera o orientata dal docente: si può, ad esempio, costringere a scegliere una riscrittura da ciascuna categoria (giochi linguistici, figure retoriche, genere testuale e letterario, …) o, volendo sfruttare la scrittura creativa per far comprendere quali effetti stilistici e narrativi abbia la scelta di un tempo verbale, si può chiedere di riscrivere il testo prima al presente, poi al passato remoto, ecc.. Le riscritture degli studenti sono state lette in classe e analizzate collettivamente, per valutarne il grado di efficacia.

Il percorso didattico si è concluso con un compito in classe nel quale, a partire da un altro testo-base, del tutto nuovo, gli studenti hanno ripetuto l’esperienza del laboratorio. Naturalmente la valutazione ha tenuto conto, oltre che della correttezza morfologica, sintattica, ortografica, anche del grado di efficacia della riscrittura e del rispetto dei vincoli della variazione prescelta.

3. Appendice: i testi degli studenti

Per concludere, riportiamo, a titolo esemplificativo, alcuni dei testi prodotti dagli studenti. Per onestà intellettuale, precisiamo che si tratta di testi particolarmente belli, perché vorremmo mostrare a quali risultati si possa arrivare con la scrittura creativa. Altri studenti, naturalmente, hanno scritto testi meno riusciti e piacevoli. Tutti, però, hanno lavorato appassionandosi al compito; inoltre – anche questo va detto per onestà intellettuale – gli studenti poco brillanti e scarsamente dotati nella scrittura hanno prodotto testi mediamente migliori di quelli a cui ci avevano abituato.

I testi sono sei. I primi tre sono nati dall’esperienza del pangramma (sono lipogrammi nei quali sono assenti le lettere Z, Q, H, D; ai ragazzi è stato chiesto di parlare del colore che più li contraddistingue o che più suscita in loro emozioni). Gli ultimi tre sono nati dall’esperienza degli esercizi di stile: sono il testo-base ispirato a Queneau e fornito dal docente, la riscrittura Anglicismi, la riscrittura Volgare (in vernacolo senese).

1) CUPA VIVACITA’

Meravigliosi i colori. Sono il sorriso sulla terra. Certamente non l’unico, altrimenti nessun piacere se non osservi. Nonostante li ami tutti, ce n’è uno veramente insopportabile: lo scorgo in ogni luogo, sempre più spesso. Lo noto strisciare per metri, infinitamente, arrampicarsi nel vuoto, appare con stile nelle fotografie meno recenti e, fra ottobre e febbraio (talvolta mi insegue pure in luglio e agosto, seppure con un altro sapore), ricopre e scolorisce. Come un velo Maya all’opposto, la mia pacata e colorata vita.

Insopportabile il grigio!

Il bianco è pulito, trasparente e onesto, forse un po’ superbo; il nero tetro, sfrontato e consapevolmente onnipresente, ti segue insegue anticipa: non ti lascia fiato! Ma il grigio? E’ impacciato. Se è nell’aria, irrita: più è scuro, più mi fa tossire. Se lo scorgo nel cielo mi incupisco, annoiato. Ogni volta in città è la stessa storia: non sopporto il non riuscire a sopportarlo. Ma tant’è… Fa giungere in bocca un sapore acre, amaro: non lo ingurgito, morirei piuttosto. Mi giro e sputo. Per una volta trascuro la vergogna. (Efrem)

2) BIANCO: PENSIERI IN LIBERTA’

Neve, sorriso, farina, luce, pareti… Il bianco mi avvolge e mi protegge; Bianca è la mia mamma e bianco è il primo nutrimento vitale. Sulla neve sottile cammini e lasci impronte, in un nebbioso mattino primaverile ancora avvolto in una morsa gelata. Su un velo di farina puoi lasciare traccia con le tue falangi. Sorrisi e luce si imprimono in te e raccontano momenti felici. I bambini scrivono spesso sulle immacolate pareti nella casa. La cartacea pagina bianca raccoglie in sé infinite possibilità, infinite frasi, infinite parole non ancora scritte. Bianca è la tela, vuota e contemporaneamente piena. Nivea è l’elegante tenuta tennistica nel torneo principale. Bianca è la notte in cui si veglia. Libero, il bianco può accogliere tutte le altre sfumature, riceverle in sé e farle vibrare. Amo il bianco, sintesi luminosa per tutti i colori, sobrio e rilassante eppure forte, talvolta accecante, vigore lucente opposto all’oscurità. (Antonio)

3) CROMIA POSITIVA

C’è solo un colore in cui mi rifletto. Nella tetraggine metropolitana, appena appare, le auto si muovono. Nella grigia città, se lo noti a terra, lì il suolo è stato risparmiato. Non è passato l’uomo a costruire. Forme colorate con un senso di libertà. Spiccano tra la monocromia triste e pesante, risaltano e portano la mente al movimento, all’aperto, al pulito, alla campagna e agli alberi, all’abisso marino incontaminato, alla libertà. Il mio è un colore leggero soave simpatico, si contrappone all’antipatico rosso. Il rosso è sangue e guerra, amore e passione. Non va. Il rosso è falso, cela troppe cose, è abile a negare e a allontanare. Il rosso nega il passaggio alle automobili, è lui a segnalarti un pericolo, se lampeggia. Invece se una cosa è tinta col mio colore è giusta, è regolare e bella. Proprio per tal motivo è il colore per me. E’ il colore per il sì, non nega, non mette in pericolo, non è falso, non ti arresta o ferma, è unico e ti fa libero. (Alessandro)

4) NOTAZIONI

La spiaggia era ancora deserta, erano appena le sette. Stesi il mio asciugamani sulla sabbia fina e mi sdraiai. Mi addormentai di colpo. Quando mi svegliai, il sole era alto. La spiaggia si era riempita di gente, fino a scoppiare. In particolare notai vicino a me una famigliola con due bambini già ricoperti di crema bianca e appiccicosa, due ragazzini che si baciavano – per questo una vecchietta in costume viola con un vistoso fiore finto su una delle bretelle mormorava indignata sulla nuova gioventù -, un ridicolo culturista che esibiva i muscoli dentro un minuscolo costumino a slip e un chiassoso gruppetto di adolescenti che giocava a spruzzarsi in acqua.
Ma dovetti riscuotermi ben presto dalle mie osservazioni, perché mi accorsi di un tremendo bruciore su tutto il corpo. Ecco che cosa capita ad addormentarsi in spiaggia senza la crema solare. (testo fornito dal docente)

5) ANGLICISMI

The spiag was veri desert bicos era veri veri prest, circa the seven. I have stended my telo on the sab that was very sottil and I hev sdraied. I fell in a very profondo sonno. When I sveglied the sun was very alto in the cielo. The spiag hev bin riemped of gent, quasi fino a scopping. In particular I hev noted a cute famigliola with ciù bambini ricopred by an appicchiching and white crema, ciù adolescents che si stavano sbaciucching and an old nonnettA, with a very vistos fint flower on a bretel of her viola costum, that was mormoring about new giovinez, a ridiculus cultirst that was esibing his muscols in a troppo piccolo costumino and a chiassos group of ragazzins that was playing at schizzing in da water. I had to riscuotermi about my osservation bicos I had sin that I was red like a pepper. This is what appens when you addormenti in the spiaggia widaut solar crema. (Marta)

6) VOLGARE

La spiaggia era vota, ma vota vota eh… ma verai, erano le sette di mattina. Alché stendo un telaccio nella sabbia che pare’a farina e mi ci spaparanzo. Mi piglia un abbiocco che un poi capi’, ma poi tutto insieme oh. Quando mi ripiglio, c’è un sole che spacca le pietre e la spiaggia è piena zipilla di gente, si sta fitti come penne di nana. Mi casca l’occhio su una famigliola con du’ cittini bianchi caciati perché cheddì, oh un l’avranno tufati per intero nel barattolo di una crema bianca e appiccicosa? Vabe. Poco più giù, c’erano du’ citti che facevano franella e per questo, una signora con un fiore finto nel su’ costumino viola che la faceva sembra’ un chicchino, si lamentava delle nuove gioventù, un gazzilloro col tanga che faceva il ganzo perché era pompato e un gruppetto di figlior di buone donne che facevano un casio della Madonna per tirassi du’ gocce d’acqua. A un certo punto mi sento come se pigliassi foho e infatti, maremmaccia maiala impertata, ero rosso come un tacchino, arrostito come una castagna pel Corso. Ecco che succede se fai il ganzo in spiaggia e t’abbiochi senza la crema. (Alessia)

BIBLIOGRAFIA

  1. MARK DUNN, Lettere. Fiaba epistolare in lipogrammi progressivi, ed. Voland, Roma, 2008 (1a ed. statunitense 2001)

  2. RAYMOND QUENEAU, Esercizi di stile, Einaudi, 2014 (1a ed. francese 1947)

  3. ERSILIA ZAMPONI, I draghi locopei, Einaudi, 2007 (1a ed. 1986)

  4. GIULIO MOZZI – STEFANO BRUGNOLO, Ricettario di scrittura creativa, Zanichelli, 2000


Fotografia: G. Biscardi, 2014

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