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Antonello da Messina 080

L’ignoto marinaio sorride anche a noi

La produzione di marginalità sociale è un problema costantemente presente nel mondo contemporaneo, come le cronache ci ricordano ogni giorno. Consolo ne ebbe consapevolezza, come risulta evidente dalla lettura del suo secondo romanzo: Il sorriso dell’ignoto marinaio, pubblicato da Einaudi nel 1976. L’opera, che è un romanzo storico sul Risorgimento in Sicilia, colpì la critica per la sua particolare struttura: un alternarsi di diegesi e appendici. Accanto alla narrazione vera e propria infatti egli pone dei documenti appartenenti alla storiografia del tempo. Una scelta che produce un effetto straniante sul lettore, convinto di trovarsi davanti ad un romanzo di un genere consolidato come quello storico. Ed effettivamente proprio questa particolarità ci fa parlare anche oggi del Sorriso, facendone emergere l’importanza a livello letterario anche per un nuovo pubblico.

Il romanzo racconta di un momento cruciale della storia d’Italia, visto però in una prospettiva straniante data dal confronto tra il protagonismo rivoluzionario dei ceti popolari e la riflessione di un intellettuale membro delle élite. L’idea gramsciana di Risorgimento come rivoluzione mancata viene letta e interpretata attraverso la narrazione di un episodio marginale e dimenticato, ovvero i moti di Alcàra li Fusi. È questo un piccolo paese sui monti Nebrodi dove, come nella più famosa sollevazione contadina di Bronte, i popolani insorsero spinti dall’arrivo di Garibaldi, chiedendo giustizia e terre. Ma anche questo episodio fu motivo di violenza sociale: i moti furono sedati e si conclusero con arresti e fucilazioni da parte di quelle stesse truppe garibaldine che, per i contadini, erano state ispiratrici della rivolta. In questa cornice Consolo colloca i suoi personaggi storici: il barone Mandralisca di Cefalù, fervente studioso dalle idee liberali e collezionista di lumache; l’avvocato Giovanni Interdonato, esule rivoluzionario dal ʼ48, che rivestirà numerose cariche sotto la Dittatura di Garibaldi. Se inizialmente Interdonato avrà il compito di scuotere Mandralisca dalla sua attitudine contemplativa convincendolo della necessità di agire per la causa della rivoluzione, in un secondo momento la situazione si ribalterà. Mandralisca infatti si troverà casualmente ad essere uno spettatore postumo dei moti di Alcàra e assumerà la prospettiva dei popolani comprendendo che nella storia la parte degli umili deve essere rappresentata da questi stessi senza la mediazione equivoca e mistificatrice dell’intellettuale. Così si rivolgerà al suo interlocutore Interdonato: «E cos’è stata la Storia sin qui, egregio amico? Una scrittura continua di privilegiati. A codesta riflessione sono giunto dopo aver assistito a’noti fatti».

È interessante notare come nel romanzo venga stabilita una stretta connessione tra l’incomunicabilità dei linguaggi e la violenza della storia. Consolo pone cioè al centro della sua riflessione il problema della prospettiva facendo emergere una posizione inedita rispetto alla storiografia ispirata dai ceti dominanti: quella della classe di contadini analfabeti che aveva visto nell’arrivo di Garibaldi una possibilità di riscatto. La storiografia avrebbe quindi solo riempito pagine piene di menzogna escludendo i vinti, non in grado di esprimere e tramandare la loro parte poichè estranei alla lingua del potere. In questo senso la riflessione sulla storia è molto legata alla scrittura, rivelando una dicotomia letterati/illetterati che inevitabilmente coinvolge anche il linguaggio. Nel romanzo questa distanza è espressa nel difficile dialetto di San Fratello che, se risulta espressione di una comunità di uomini, non può certamente essere veicolo di idee condivise da tutte le classi. La sua non comunicabilità è infatti mimesi del mancato connubio tra la rivoluzione sociale portata avanti istintivamente dai contadini per il possesso della terra e quella politica, ideologica e ragionata del ceto aristocratico-borghese. È questa l’intuizione più importante di Mandralisca, che alla fine del romanzo arriva a sperare nella possibilità di un linguaggio inclusivo e non oppressivo: «ah tempo verrà in cui da soli conquisteranno que’ valori, ed essi allora li chiameranno con parole nuove, vere per loro e giocoforza anche per noi, vere perché i nomi saranno intieramente riempiti dalle cose». Questa speranza in una possibile equivalenza tra le parole e le cose coincide con l’idea di un linguaggio che non risulti un codice imposto, ma naturalmente utilizzato per una positiva comunicazione tra le classi. Si capisce quindi come un episodio così marginale della storia d’Italia sia utile a spiegare un problema più generale che, prendendo le mosse dalla preistoria del nostro tempo, ovvero il Risorgimento, arrivi a parlare del presente. Un episodio minore, ma non poco importante, perché da questo piccolo evento in controtendenza con la narrazione lineare, è possibile afferrare la complessità e la problematicità del fatto storico. Come lo stesso Consolo ha più volte dichiarato, gli interrogativi che il romanzo pone sono manzonianamente, e quindi metaforicamente, volti alla lettura del presente. L’interrogazione sul passato, il recupero della memoria storica dei luoghi, dei linguaggi e dei fatti, costituiscono per Consolo il metodo attraverso il quale ripensare ad un possibile futuro. Tutto questo avviene attraverso l’utilizzo della metafora che introduce una doppia lettura del discorso che si muove tra passato e presente al di là del continuum temporale, come è evidente dalla costruzione narrativa del romanzo soggetta a interruzioni e a cambiamenti nello statuto della narrazione. Questa particolare struttura, come si accennava prima, dà l’idea di trovarsi davanti ad un romanzo difficile, la cui difficoltà è proprio volta a svelare il meccanismo della finzione. Erede di Manzoni e Sciascia, Consolo rivela attraverso le appendici d’epoca la persistenza di una storiografia vuota di senso, ma piena di retorica. La presenza di queste interruzioni è volta alla creazione di un lettore che sia un produttore critico rispetto ai fatti che vengono narrati, in grado cioè di fermarsi, nell’intervallo allegorico tra diegesi e documento, a interrogarsi sulla veridicità o meno di ciò che si trova a leggere. Ripartire dai margini, dalla memoria storica e letteraria, dà l’idea, di fronte all’appiattimento di un tempo immanentemente presente, di una dinamicità positiva in grado di percepire il futuro attraverso il passato. Il Sorriso si chiude con l’idea di Mandralisca, poi realizzata, di donare i suoi libri alla cittadinanza di Cefalù e di fare della sua casa un liceo, in modo da rendere possibile a tutti un livello di istruzione. Ma la coesione tra le classi, il connubio tra intellettuale e società, sono nodi che la contemporaneità deve ancora sciogliere. Perché leggere il Sorriso? Perché l’Ignoto marinaio di Antonello al museo di Cefalù, sorride ancora «agli imbecilli e ai pazzi allegri». 

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