Sull’autorevolezza dell’insegnante
Oltre le gogne
L’ennesimo video di uno scontro filmato in aula tra un ragazzo e una docente ha fatto il giro della rete in questi giorni. Naturalmente è partita la gogna socialmediatica. Il partito in questo caso maggioritario è stato quello contro il ragazzo all’insegna del «ma dove siamo andati a finire, ecco il prodotto più fresco della razza dell’oggi», ma c’è stato anche chi ha voluto prendersela con «quell’incapace della docente». Al netto dell’amarezza per semplificazioni dozzinali di questo tipo, spesso fatte proprio da docenti, è innegabile come l’episodio, uno dei tanti, chiami alla riflessione sul tema spinoso dell’autorità dell’insegnante.
Autorità o autorevolezza?
Tante volte ci siamo trovati a dire o ascoltare questa proposizione, vera per quanto eterea: «a Scuola ci vuole autorità, ma per far sì che non diventi autoritarismo, che non serve a niente anzi è dannoso, bisognerebbe sapere essere autorevoli». Per quanto mi riguarda la riflessione resta assolutamente complessa, perché chiama in causa la natura intima del rapporto docente-alunno; di contro avverto come ogni insegnante si renda perfettamente conto come sia questo uno snodo decisivo per la propria funzione educativa. Per questo, dichiarando il valore dell’autorità come positivo ma astratto, proverò a ragionare intorno alla virtù necessaria dell’autorevolezza. Perché in effetti, per chi scrive, proprio di virtù si tratta.
Un’idea di libera adesione
Come spesso accade, è utile tornare all’origine delle parole per capire dove queste possano accompagnarci. Alla radice della parola autorità (auctoritas) c’è un’idea di accrescimento (augere), che implica un processo, se autentico, intimamente libero e mai costretto. Ci si accresce mai per coercizione, in quel caso il processo sarebbe mosso da una forma di potere (potestas), ma per libera adesione. E in fondo la liceità stessa dell’idea di autorità nel contesto scolastico dovrebbe essere tutta qui: l’autorità è tale quando viene riconosciuta, scelta e seguita liberamente dagli studenti. Ciò non nega il fatto che spesso, per far funzionare l’istituzione sia necessario esercitare anche la forma del potere. Ma in questo caso stiamo parlando di autorità. In modo semplice e consequenziale potremmo quindi definire come autorevolezza la capacità di chi propone e rappresenta l’autorità (l’insegnante, ma non solo) di suscitare una libera e consapevole adesione a questa. Ciò si intenderà ancora meglio se si riflette sul contrario di autorevolezza, ovvero autoritarismo. Entrare in classe decidendo a priori che gli studenti debbano seguire, debbano fare, debbano essere, secondo un proprio pur legittimo principio di autorità ma per il semplice dato dei ruoli (insegnante/docente), è la premessa di ogni autoritarismo. Attenzione, si tratta di una premessa che conserva una parte di realismo (l’indicazione di un percorso), ma che marcisce nel passo successivo, che nel caso dell’autoritarismo è un passo immobile: ciò che si decide a priori è dato in quanto dato, punto. Diversa l’opzione dell’autorevolezza che ribalta completamente tale processo, in modo da rispondere alla natura del termine autorità, ovvero adesione senza costrizione: il passo non è immobile, ma precedente e agito da chi guida (l’insegnante, ma non solo) e può portare a posteriori e non a priori gli studenti a seguire, a fare, a essere liberamente, secondo un legittimo principio di autorità. Resta da stabilire cosa si intenda per passo che non sia immobile. Significa, per quanto mi riguarda, semplicemente mettere in atto come insegnante tutte quelle prassi, quegli atteggiamenti, quei modi di essere che concretamente suscitino negli studenti la voglia di aderire a quell’autorità proposta e che in quanto tale, proprio perché accettata, diventa autorevolezza. Modi virtuosi in definitiva: vere e proprie virtù.
Giusti
Per essere autorevole un insegnante dovrebbe essere anzitutto giusto. Si è giusti stando con dignità nel proprio lavoro: rispettando per primo i luoghi della scuola, quelli comuni e quelli personali. Utilizzando in modo responsabile le risorse materiali, rispettando profondamente il lavoro di chi cura il decoro della Scuola, contribuendo alla dignità materiale dei propri spazi. Si è giusti gestendo in modo etico il tempo del proprio lavoro: arrivando puntuali a scuola, alle lezioni, alle riunioni e ai consigli. Rispettando per primi i tempi della didattica, siano essi i tempi di una verifica corretta da riportare in tempi giusti o l’organizzazione di una programmazione consapevole, impegnandosi per la gestione responsabile e attenta dei tempi di verifica. Si è giusti facendo in modo serio il proprio lavoro: insegnando la serietà gratificante di fare le cose bene, del rifuggire la mediocrità dell’arrangiarsi in basso, dello spendersi con intelligenza per essere migliori. Mostrando come ogni lezione sia un’occasione colta ancora prima dal docente che ha voluto prepararla con cura, come il primo a spendere tempo vero per costruire sia proprio il capocantiere, come ogni istante rubato al fare con coscienza sia rubato al mondo intero. Si è giusti vivendo in modo alto il proprio lavoro: con in testa un’idea nobile della funzione chiamati a svolgere, che non abdichi mai a quanto di bello ci si senta di poter trasmettere, con la voglia di contagiare i ragazzi della passione che ci lega a quanto insegnato. Lo si è consegnando la certezza di una strada di umanizzazione attraverso l’impegno, la dignità di spendersi oltre le mediocrità del fare comune, il privilegio di appropriarsi della propria vita nel tempo della sua edificazione.
Forti
Per essere autorevole un insegnante dovrebbe poi essere forte. Si è forti sapendo stare da donne e uomini nelle difficoltà che l’avventura educativa ci propone. Sapendo vivere lo scoraggiamento come passaggio temporaneo e mai definitivo, perseverando giorno dopo giorno nonostante tempi lunghi di possibili fallimenti, non cedendo tempo e spazio a un quieto accontentarsi. Si è forti testimoniando forza al ragazzo che ci è affidato. Tenendo saldo il pavimento su cui per natura vorrà puntare il piede del conflitto, piantando fermo il paletto che saprà curvarne il corso irrequieto, lasciando accesa quella luce che nel buio potrà apparire fin troppo intensa. Si è forti dicendo sempre che c’è il possibile. Raccontando Dante oltre gli ignavi, irritando la parte viva che è nascosta nella pigrizia, stringendo allo spasmo ogni minuto fino a stillarne vita. Si è forti consegnando sempre un di più di speranza. Convinti come, cascasse il mondo, non possa mancare la vita quando appena sta iniziando, spalancando gli occhi a chi dovrebbe addirittura sgranarli, indicando la vetta a chi si è perso in basso.
Equilibrati
Per essere autorevole un insegnante dovrebbe essere inoltre equilibrato. Si è equilibrati quando anzitutto lo si è con se stessi, il che significa essere maturi relazionalmente ancor prima che intellettualmente, padroni delle proprie emozioni e dei propri sentimenti, vigili sulle proprie passioni. Significa portare in classe un adulto che sappia comunicare stabilità, che rifugga l’umoralità, che sappia mantenere il dovuto controllo. Si è equilibrati quando si è in grado di interagire con il costitutivo squilibrio dell’adolescenza, con le sue vette e i suoi abissi, con la perenne fragilità sia essa vestita dei semplici panni della timidezza o di quelli speculari dell’arroganza maleducata. Si potrà essere così in grado di gestire la rabbia con la calma, la paura con la fiducia, la tristezza con l’accoglienza. Si è equilibrati quando si è in grado di stare nella comunità scolastica, di sentirsi parte di un progetto comunitario, di sentire come necessario l’apporto del collega, di pensare come un corpo la Scuola tutta. Sarà così semplice capire il danno della svalutazione dell’altro insegnante, il valore del rinforzo reciproco, il balsamo grande del poter lavorare insieme. Si è equilibrati quando si è in grado di ponderare il giusto peso della società in cui siamo inseriti, di leggere il contesto di provenienza di ogni ragazzo, di valutarne l’incidenza familiare. Ciò permetterà di dare pesi diversi a situazioni diverse, di quadrare cerchi per logiche rigide mai misurabili, di capitalizzare ragione e intuito.
Prudenti
Per essere autorevole un insegnante dovrebbe essere infine prudente. Si è prudenti quando si capisce di non essere onnipotenti, di poter essere dannosi, di quanto certi sbagli possano costare. È in questo modo che prende sostanza la responsabilità del valutare, il compito altissimo del giudicare, il magistero di ratificare. Si è prudenti quando si cura come un tesoro il proprio discernimento, quando si scherma da ogni rumore di fondo una decisione importante, quando la scelta fa i conti con la complessità. Ciò rende nitida la necessità di curare se stessi, l’importanza della propria serenità, la coscienza del prezioso amor proprio. Si è prudenti quando ogni ragazzo diventa un volto, ogni casella di un registro il mattone di una vita, ogni scambio un pezzo di strada camminato insieme. È la scelta di abitare un mondo di persone, di curarle proprio all’ingresso nella vita, di affidargli un po’ di mondo. Si è prudenti quando si sa di partecipare all’edificazione della grande Storia, nel destino di ogni ragazzo, nell’incontro con ogni generazione. Perché mai abbastanza sarà l’onore, il timore, l’amore per il mestiere di chi sull’oggi innesta il domani.
Passaggio a valle
In fondo non si è detto nulla di nuovo. Si educa per fascinazione e non per imposizione: è questa un’idea ricorrente in forme diverse, in epoche e latitudini diverse, in culture diverse. Facile a dirsi. Come il discorso appena concluso, non lo nego, potrebbe apparire idealizzato e poco aderente alla ruvida prosaicità delle nostre classi. Fatto sta che mi pare che mai come in questi ultimi anni sia in crescita esponenziale la richiesta dei docenti di formazione sul tema della gestione delle classi. È altresì altrettanto vero come sia innegabilmente decisivo il peso del carisma individuale di ciascun docente. Ci sono insegnanti che per dote naturale riescono a improntare dinamiche nemmeno troppo pensate che imboccano naturalmente il sentiero del successo didattico. Altri che con ben maggiore fatica e al netto delle migliori intenzioni vivono delle vere e proprie campagne di guerra in classe. Le questioni sono molte e complesse dunque. Proprio per questo motivo ritengo il percorso di conquista di una propria autorevolezza un passaggio a valle fondativo e possibile perché dipendente anzitutto dal lavoro su se stessi. Da questo punto di vista resto convinto che prima di ogni strategia gestionale, al netto delle possibili doti o carenze personali, un investimento serio e voluto sulla propria identità di insegnante sia l’unica scelta possibile. Che sia una scelta prima o poi destinata comunque ad essere confermata anche dalla risposta positiva della classe è convinzione personale certa, che proprio non riuscirei a nascondere.
Fotografia: G. Biscardi, Pinocchio, dittico 2016.
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Teresa D’errico
Lavoro su se stessi, carisma, giustizia, forza, equilibrio, prudenza (le quattro virtù cardinali!): ma parliamo di persone o di santi? Il carisma è degli unti dal Signore! Attenzione, il mondo reale rivendica i suoi diritti! Gli insegnanti sono persone colte, che amano il loro lavoro e lo svolgono con passione, dignità, senso del dovere e responsabilità. Purtroppo la diffusione sul web del video cui lei si sta riferendo è la prova della scarsa stima di cui gode la classe docente in Italia, rappresentata anche mediaticamente come incapace di gestire le intemperanze adolescenziali e inadeguata a quella che – secondo i più – dovrebbe essere una missione (queste sono le parole usate in varie occasioni dalla ministra Giannini!). Invece gli insegnanti – guarda un po’ – sono persone. E nell’esercizio delle loro funzioni sono dei pubblici ufficiali. E quel video non testimonia certo la scarsa “autorevolezza” della docente, ma documenta – piuttosto – l’aggressione verbale – perseguibile penalmente – di cui è stata vittima. E non c’è carisma che tenga. Con tutta la comprensione per le problematiche giovanili, certi comportamenti vanno stigmatizzati. Siamo stanchi – noi docenti – della retorica del senso di colpa: se gli alunni non studiano, è perché non sappiamo motivarli; se ci insultano, è perché non abbiamo carisma; se ci aggrediscono … se non vanno a scuola … se … se…
I sensi di colpa e l’automacerazione sono caratteristiche proprie degli asceti. Noi insegnanti siamo persone. Certo, abbiamo intelletto e volontà (come gli angeli), ma la passione che ci fa amare il nostro lavoro ribolle contro una società che ci svilisce e che attraverso questi video non fa altro che promuovere l’immagine falsata di una realtà, a metà strada tra il pietismo e la condanna!
Lei scrive: “il discorso appena concluso, non lo nego, potrebbe apparire idealizzato e poco aderente alla ruvida prosaicità delle nostre classi”. Appunto.
Per Teresa
Cara Teresa, grazie per il suo intervento. Continuo ad interrogarmi su quali siano le “parti sane” attivabili per noi docenti, soprattutto in un contesto sociale dove ragazzi di quel tipo tendono ad aumentare esponenzialmente, soprattutto in un contesto dove, come giustamente lei osserva, la tutela sociale della nostra funzione è ai minimi termini. Avverto comunque l’esigenza di mettermi continuamente alla ricerca di risposte che non mi confinino nella perdita di speranza nel sistema Scuola (che ovviamente coinvolge famiglie, società, istituzioni). L’idea di investire su se stessi per essere credibili, mi pare una delle vie praticabili che possano qualificare per lo meno le diciotto ore durante le quali siamo in classe. Non si tratta di ipotizzare modelli astratti, si tratta per quanto mi riguarda di perseguire vie concrete e necessarie. Capisco perfettamente la sua rabbia perché è anche la mia rabbia di certe giornate. Ma non riesco a fermarmi lì, se lo facessi avrei davvero la tentazione di cambiare mestiere (insegno da quindici anni in istituti professionali e tecnici dove la vita spesso è difficile). Ecco quindi l’idea di riflettere su quali siano le virtù da coltivare, anche al prezzo di essere frainteso. Va da sé che l’intervento non riguarda affatto la vicenda del video, dal quale prende solo spunto, anzi di tutto quello che si è detto (e mi pare che l’introduzione lo specifichi bene) la cosa più triste sia stata la sarabanda di giudizi superficiali spesso dati proprio da colleghi sulla vicenda.
Grazie di nuovo per il suo intervento, continuerò sicuramente a rifletterci.
Un caro saluto.
Roberto
Bell’articolo
Buongiorno Roberto, i miei complimenti per l’articolo.
Molto bello e significativo. Sono un coach motivazionale e un formatore. Il tuo pezzo mi è talmente piaciuto che ne ho inserito un piccolo estratto nel mio nuovo libro “Come Mantenere Viva l’Attenzione in Aula”. Naturalmente ho citato anche la fonte. Se mi invii il tuo indirizzo a questa casella di posta elettronica – info@giancarlofornei.com – appena pronto il libro, te ne invierò una copia in omaggio con dedica.
Pur non essendo laureato (e dunque, un insegnante di ruolo), ho avuto il piacere e l’onore di insegnare nella Terza Area di molti istituti superiori (una sorta di area professionalizzante).
Ho particolarmente apprezzato il riferimento all’autorevolezza dell’insegnante e concordo totalmente con te.
Da oggi seguirò con attenzione questo blog.
I miei complimenti a tutti voi.
Giancarlo Fornei