Il dominio della testualità. L’insegnamento dell’italiano nella scuola secondaria di primo grado
Questo intervento è stato presentato al convegno dell’ASLI “La disciplina “Italiano” a scuola: due competenze, due insegnamenti”, Roma, 29 Settembre, 2014. Il testo è anche reperibile, in una forma più lunga, all’indirizzo La disciplina “Italiano” a scuola: due competenze, due insegnamenti Asli.
L’insegnamento dell’italiano nella scuola secondaria di I grado è considerato fondamentale in rapporto alla crescita culturale dello studente e all’introduzione delle diverse discipline in cui si articola il curriculum. La lingua infatti è lo strumento primario di incontro con la realtà, tanto che gli altri linguaggi vengono appresi se ricondotti alla lingua primaria. Ciò implica che gli insegnanti di tutte le discipline siano coscienti di essere responsabili della crescita linguistica degli studenti e si adoperino per ampliare il loro bagaglio lessicale e la loro capacità sintattica. L’insegnante di italiano ha però un compito peculiare rispetto agli altri docenti: rendere consapevole lo studente delle dinamiche della lingua che normalmente usa per comunicare e introdurlo nel patrimonio linguistico e testuale della nostra tradizione, con particolare attenzione al testo letterario, nel quale la lingua si mostra in tutta la sua potenzialità comunicativa ed estetica per incarnare i significati ultimi dell’esistenza.
Si potrebbe dire che di fatto è una la competenza cui mira l’insegnamento dell’italiano: il “dominio della testualità”, considerando la polisemia del termine “dominio”. “Dominio” come oggetto di conoscenza specifico di una certa disciplina, nel caso dell’italiano il testo – e dunque finalità dell’insegnamento è insegnare a comprendere e interpretare vari tipi di testo; “dominio” come padronanza – dunque capacità di produrre testi corretti, congrui e significativi. La consapevolezza dello strumento principale per comprendere e produrre testi, cioè la lingua, è da considerarsi funzionale a tale dominio. Ciò non esclude, anzi, che nella didattica la riflessione linguistica, la lettura e la produzione testuale si svolgano in occasioni separate, in lezioni e attività dedicate esplicitamente a ciascun ambito, ma concettualmente esse non sono irrelate.
Tale unità però si verifica a determinate condizioni ed è frutto di una didattica pienamente consapevole delle sue scelte, sia per quanto riguarda i contenuti sia in relazione ai metodi di insegnamento e apprendimento. Tre sono, a mio parere, le condizioni per ricondurre a unità l’insegnamento dell’italiano, altrimenti piuttosto frammentario:
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la qualità dei testi proposti;
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il metodo di insegnamento della grammatica;
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lo spazio dedicato all’oralità e alla scrittura.
La qualità dei testi prodotti
Prima condizione di una didattica unitaria dell’italiano è la scelta dei testi proposti, siano essi manuali di studio o testi letterari.
I manuali in circolazione nelle medie peccano spesso di eccessiva schematicità, non curano la congruità, l’articolazione del discorso, il lessico, in nome di una mutata modalità di lettura degli studenti che sarebbero portati, per influenza delle nuove tecnologie, a imparare a spot, a frammenti. Da qui un eccesso di immagini, stralci di testo disposti in modo non consequenziale sulla pagina, che vorrebbe riprodurre così la pagina web accattivando lo studente. Ciò non lo aiuta in nessun modo a dominare il testo.
Anche un certo modo di proporre testi letterari da parte di docenti e antologie ha fuorviato spesso gli studenti da una autentica esperienza di lettura: la pagina pur bella, ma decontestualizzata, non favorisce la comprensione del significato e dei significati testuali, che necessita di un tempo disteso per penetrare nel mondo possibile rappresentato.
Per favorire una reale esperienza di lettura e, conseguentemente, di introduzione alla complessità dei contenuti disciplinari e alla letteratura, sin dalla scuola media occorre scegliere con molta cura i testi. Insieme alle spiegazioni, alle narrazioni, alle argomentazioni dei docenti, i libri di testo sono infatti il modello di testualità, le fonti di nuovo lessico e di categorie (strumenti di lettura della realtà), nonché di modelli sintattici e organizzativi del pensiero e del ragionamento.
Non vi è alle medie l’indicazione ministeriale di proporre un percorso di storia della letteratura (gli studenti non hanno ancora peraltro le categorie necessarie per affrontarlo), bensì quella di essere introdotti al mondo letterario leggendo “testi […] di vario tipo e forma (racconti, novelle, romanzi, poesie, commedie)” (INperC). I docenti sono dunque liberi di scegliere un percorso di letture attingendo nello sconfinato repertorio di testi letterari.
Ecco alcuni criteri di scelta rivelatisi efficaci in ordine all’unitarietà dell’insegnamento:
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La classicità, intesa come riconoscimento dato dalla tradizione letteraria e culturale ad un testo in forza della sua capacità di parlare all’uomo di ogni tempo. È spesso preoccupazione degli insegnanti quella di seguire le mode del momento pur di invogliare i ragazzi a leggere, mentre dovrebbe interessare loro che gli studenti leggano non multa sed multum, cioè non tanti libri, o peggio stralci di testi, ma testi che davvero divengano pietre miliari nella loro formazione esistenziale, linguistica e culturale, non ultimi i poemi omerici.
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Un secondo criterio è il genere di appartenenza dei testi, in quanto ogni genere ha in sé una particolare valenza educativa e un’età ideale a cui essere proposto, dai generi più fantastici e avventurosi, alle opere realistiche o comunque più impegnative dal punto di vista linguistico, narrativo ed esistenziale. La pluralità dei generi proposti è funzionale alla scelta del proprio genere ideale: non si è liberi di scegliere se non si conosce! Può essere utile individuare in ogni genere il suo ‘classico’, condividerne la lettura integrale con gli studenti offrendo loro un termine di paragone per la lettura di altri testi dello stesso genere.
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Introdurre gradualmente i differenti generi è un’esigenza connessa a un altro importante criterio di scelta dei testi, anche non letterari, ovvero la tipologia di problematiche in essi presentate e di conseguenza il grado di difficoltà di interpretazione, anche linguistica. Un testo si configura infatti come tentativo di risposta a una domanda sottintesa: se questa domanda non è ancora sorta nel lettore, il testo risulterà poco attraente e la lettura sarà al massimo un esercizio didattico con, peraltro, scarsi risultati. È altresì vero che un testo deve anche essere in grado di stimolare la curiosità e smuovere interrogativi nel lettore, che altrimenti lo lascerà cadere nell’oblio.
La scelta consapevole dei testi letterari da parte del docente è condizione necessaria ma non sufficiente affinché la lettura sia educativa e stimolante. Innanzitutto andrebbe superata l’idea di lettura come occasione strumentale esclusivamente finalizzata all’apprendimento delle tecniche di scrittura o ancor peggio come spunto per parlare di tematiche stabilite a priori, scadendo facilmente nel moralismo o nell’ideologia. Inoltre è facilmente verificabile che per entrare nelle pieghe del testo, per interpretarne il senso e i significati, per gustarne la modalità con cui è scritto, le scelte linguistiche dell’autore, occorre tempo, fedeltà. La lettura del testo diviene esperienza di conoscenza e di comprensione se implica la ri-lettura, intesa come attività diversificata (scrittura, ri-scrittura, illustrazione, recitazione…) in ordine a una comprensione approfondita del testo, a partire dall’ipotesi di senso che inevitabilmente si formula a una prima lettura, fino all’esercizio del giudizio critico.
Il metodo di insegnamento della grammatica
La fruizione dei testi è strettamente connessa alla crescita della consapevolezza linguistica, in quanto l’interpretazione del testo, che ha natura di segno, implica il coinvolgimento di tutte le componenti del significante, per non ricadere in una scissione tra forma e contenuto pericolosa per lo sviluppo linguistico e cognitivo. Nella scuola media occorre pertanto spendere un tempo consistente in lezioni appositamente dedicate alla riflessione sulla lingua, concentrando l’attenzione soprattutto su due aspetti: la morfosintassi e il lessico.
Per quanto riguarda l’aspetto più propriamente grammaticale, il docente non può non porsi la domanda circa quale grammatica insegnare, la grammatica essendo un metodo per indagare e per sistematizzare le conoscenze di quell’oggetto vasto e a tratti misteriosi che è la lingua. La formazione dei docenti non sempre prevede una valida conoscenza delle conquiste della linguistica del secolo scorso, e si tende a riprodurre nell’insegnamento l’atteggiamento normativo di cui si è fatta esperienza come studenti. Dalla linguistica contemporanea provengono invece concetti e suggerimenti di metodo preziosissimi per la didattica della grammatica nella scuola, suggerimenti che andrebbero conosciuti e introdotti senza assolutizzarli o senza abbandonare la grammatica tradizionale, ma rileggendoli alla luce di scoperte importanti quali il sintagma, inteso come unità significativa della sintassi, o il potere del verbo di organizzare sintatticamente la frase in base alla sua semantica (grammatica valenziale di Tesnière). Dalla pragmatica proviene invece l’attenzione alla situazione comunicativa: le strutture linguistiche vengono organizzate dal parlante per produrre atti comunicativi in particolari situazioni e per ottenere determinate finalità: ciò implica che lo studio della grammatica di una lingua non possa del tutto prescindere dall’interrelazione tra parlante, testo e contesto.
L’ora di grammatica dunque può essere un momento fondamentale dello sviluppo del “dominio della testualità”, cioè della consapevolezza del proprio pensiero e del proprio ragionamento, a condizione che l’insegnante non si limiti a dare le norme che devono poi essere applicate meccanicamente nell’esercizio personale e ad addestrare gli studenti all’analisi grammaticale e logica. Occorre a tal proposito che la lezione si configuri come scoperta guidata dei fatti linguistici in atto nei testi e di esercizio diversificato, al fine di fornire più di una strada per conoscere lo stesso fenomeno. È insomma importante che nello studio della lingua si eviti il pericolo del meccanicismo, essendo questa uno strumento dato all’uomo per attestare, in libertà, il suo rapporto con il reale e con sé stesso.
L’educazione al senso critico passa anche da un altro aspetto della riflessione linguistica, ovvero la presa di coscienza delle potenzialità sintattiche e semantiche delle classi del lessico (le tradizionali parti del discorso), approfondendo quanto gli studenti hanno appreso, quasi per osmosi, nella scuola primaria. In particolare per quanto riguarda la semantica, va considerato che non si studia il lessico parlando delle parole, ma mettendo a tema le “cose”, cioè gli oggetti e i concetti. Sicuramente esistono dei fenomeni linguistici che vanno indagati con gli studenti a livello di sistema (formazione delle parole, organizzazione del lessico in campi semantici, relazioni fra i significati delle parole…), ma la consapevolezza lessicale matura in context: sorprendere le parole nei testi e restituire loro il giusto spessore semantico, anche facendo ricorso all’etimologia, quando è di aiuto. Spesso infatti la povertà lessicale che gli insegnanti lamentano nei loro studenti non è dovuta tanto a una mancanza di termini nel loro vocabolario, quanto a una mancanza di esperienza relativa a tali termini, che va favorita e richiamata alla coscienza.
Lo spazio dedicato all’oralità e alla scrittura
La crescita della consapevolezza linguistica, culturale, esistenziale trova un prezioso strumento nella produzione di testi scritti e orali. Essa è infatti occasione, ancor prima che di comunicazione, di crescita della consapevolezza di sé in rapporto agli oggetti di conoscenza. L’io si struttura nel rapporto con ciò che incontra, e conoscendo desidera dirsi e comunicare. Va quindi favorita, nella pratica didattica, la produzione di testi scritti e orali che narrino il vissuto, attestino le costruzioni della fantasia, giudichino quanto viene conosciuto, convincano il lettore della fondatezza di una propria riflessione.
La scrittura e l’oralità non vanno infatti considerate esclusivamente in funzione della comunicazione di quanto è stato imparato (l’interrogazione e la verifica), ma devono essere considerate quali momenti privilegiati di costruzione del sapere e di ricerca, a cui dedicare spazio adeguato nell’attività didattica. In ordine a tale finalità, si dovrebbe pertanto strutturare un percorso che gradualmente conduca il ragazzo ad affrontare varie tipologie testuali, da quella narrativa ed espositiva, a quella lirico-descrittiva e a quella argomentativa, sempre e comunque attenti a non scadere nel verbalismo e nell’esercizio di una retorica avulsa dal senso: non esiste testo dove non si istituisca un nesso tra significante e significato. È anche importante sottolineare come una didattica consapevole non si limiti a proporre strategie di scrittura, peraltro in molti casi utilissime, ma sia forma di incoraggiamento, sostegno, correzione nella produzione di testi (molte sono le esperienze positive di laboratori di scrittura e oralità a cui ci si può ispirare e che dimostrano che il modo migliorare per imparare a scrivere e parlare sia farlo insieme, docente e studente).
La meta di un siffatto percorso di scrittura e oralità è la prova di italiano nell’esame finale, che alle medie prevede ancora il tema e il colloquio pluridisciplinare. Da qualche anno rivalutato in ambito scolastico, il tema rimane infatti uno dei segni più importanti di maturazione del “dominio della testualità”, in quanto attesta la capacità raggiunta di costruire in proprio un discorso intorno a un argomento dato, nel rispetto dei requisiti formali e logici della testualità (correttezza e congruità). Tale capacità, per certi aspetti verificabile anche nel momento del colloquio orale, non si improvvisa, ma è frutto di un lungo lavoro che inizia nella scuola primaria, con la quale occorre senza esitazioni dialogare al fine di ipotizzare percorsi sensati e non contraddittori, per favorire uno sviluppo armonico e senza intoppi della testualità.
Una didattica volta a sviluppare una competenza unitaria che contempli lo sviluppo delle abilità sia linguistiche sia testuali, deve in ultima analisi tener conto che la disciplina “italiano” ha come dominio i testi, cioè i segni linguistici, formati dall’unione di significante e significato, l’interpretazione e la produzione dei quali, per non ridursi a decodifica e applicazione di norme e procedimenti dati (come nella segnaletica stradale), deve configurarsi come ricerca del senso, che nei testi è al contempo celato e svelato. Tale ricerca è sicuramente più rispettosa della natura della ragione umana e pertanto ne facilita lo sviluppo, favorendo al contempo la crescita della consapevolezza linguistica, in quanto la lingua è lo strumento principale della ragione, e della capacità di dominare testi, in quanto il testo è la forma più usuale di esplicitazione e comunicazione del pensiero e del ragionamento.
Roma, 29 settembre 2014
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La problematica della testualità è un problema serio. Perché il dibattito qui in Camerun è altro. Quale testo per insegnare l’italiano nei nostri licei?