Compìta: un progetto per la letteratura delle competenze
L’interpretazione nasce da uno sforzo concertato, che tende alla riconfigurazione dei contesti dati, mettendo alla prova la loro validità e cercando di far sì che si indirizzino verso una produzione di novità.
Yves Citton
Dai lettori-interpreti
Negli ultimi anni l’attenzione dedicata alla difesa degli studi umanistici da parte di specialisti del settore, docenti, critici, scrittori e lettori, è cresciuta esponenzialmente e ormai i titoli non si contano più. Da una parte gli intransigenti custodi di un sapere trasmesso e mantenuto nei secoli, sostenitori del prestigio della conoscenza, dall’altra, invece, quelli che chiamerò lettori-interpreti di saperi tradotti e tràditi di secolo in secolo, di generazione in generazione, nella inevitabile rinegoziazione che avviene tra il passato e il presente quando ci si avvicina a un’opera letteraria, un testo cioè che ha dentro di sé intrecciati molteplici percorsi di senso e, sedimentate, le diverse letture che nel tempo si sono concrezionate su di esso e che riprendono vita nell’incontro con il lettore.
Tra i due schieramenti di fieri oppositori, credo che il primo sia destinato a perdere. Mantenere vivo il patrimonio letterario comporta selezione e attribuzione di significati nel presente, altrimenti la memoria si riduce a un esercizio trasmissivo e ripetitivo sterile per le nuove generazioni. Leggere, comprendere, riappropriarsi e interpretare un’opera letteraria sono alcune delle operazioni cognitive che ogni lettore, e anche lo studente a scuola, è chiamato a esercitare in un rapporto vivo e vitale con la parola letteraria, portatrice delle tante voci che risuonano nella sua materialità semantica e fonetica.
Nel primo dei saggi che compongono Il senso della letteratura di Ezio Raimondi , intitolato L’interpretazione come esperimento, il grande italianista da poco scomparso osserva che «un testo si trasforma in opera, se all’atto di leggerlo si vede e si comprende nella dinamica inventiva della forma una coscienza diversa, ossia un altro individuo, circoscritto dalla propria extralocalità temporale e culturale» (2). L’incontro con l’opera, dunque, è esperienza della distanza storica e culturale che in essa il lettore riporta in vita; l’atto interpretativo è sempre conoscenza e riappropriazione di un’alterità vivente nel testo.
La centralità dell’atto interpretativo allora è motivata dalla convinzione che ogni incontro con le opere letterarie del passato riattiva una circolazione di possibilità esistenziali, formali, culturali, linguistiche, che risuonano nel presente storico del lettore, sia esso il singolo individuo che sperimenta l’epifania straordinaria di un grande classico sia esso un tempo e una civiltà letteraria e artistica che tornano a interrogare i propri antenati. In entrambi i casi, i grandi classici garantiscono la gioia della avventura e la sfida del senso, e si offrono in tutta la loro irriducibile distanza e estraneità agli orizzonti di tempo e di spazio dei lettori. Applicare la lente interpretativa ai testi della nostra tradizione letteraria, allora, non significa soltanto apprendere strumenti adeguati per conoscerne la genesi testuale, per descriverli e analizzarli sul piano linguistico, semantico e retorico, facendoli rivivere nel loro contesto storico di appartenenza; significa anche domandarsi ogni volta il significato per noi, l’eredità palpitante e vitale che ne possiamo trarre in termini di arricchimento conoscitivo, di esercizio di confronto, di un sapere cioè che si trasforma in apprendimento permanente, per la vita.
Al progetto Compìta
Questo è il tema su cui è nato Compìta un progetto pilota sulle competenze dell’italiano nella scuola secondaria. Di durata triennale, dal 2010 al 2013, Compìta è nato dalla sinergia dei docenti di dieci università, (Bari capofila), e di quarantacinque scuole sparse su tutto il territorio nazionale, impegnati nella sperimentazione di un modello di didattica della letteratura per competenze ovvero per apprendimenti costruiti, conoscenze mobilitate in situazione nuove finalizzate a favorire l’apprendimento per la vita dello studente in diversi e complessi contesti d’uso.
Il CTS del progetto (Comitato Tecnico Scientifico) è giunto alla definizione di un Quadro di riferimento sulla competenza interpretativa come obiettivo dell’ultimo triennio dei licei e degli istituti professionali e tecnici, dove lo studio della letteratura non prosegue quasi mai in un percorso universitario. Gli esiti di questa prima sperimentazione compongono il sesto Quaderno della ricerca sulle competenze letterarie (3), che raccoglie i Documenti, le riflessioni sul metodo, sulla programmazione e sul canone degli autori, le considerazioni teoriche e le proposte operative, su Leopardi, sulla poesia simbolista e decadente, su scienza e letteratura, sulla traduzione dalla narrativa al teatro, di alcuni dei docenti che hanno aderito al Progetto nazionale (Pasquale Guaragnella, Carla Sclarandis, Andrea Manganaro, Lucia Olini, Federico Batini, etc.).
Qual è il merito e quali i risultati dello sforzo progettuale e della sperimentazione didattica di Compìta?
Il primo dato significativo è l’aver intrecciato le forze di due mondi, scuola e università, che storicamente stentano a dialogare pur condividendo lo stesso destinatario a cui è rivolto il loro insegnamento, lo studente, nella errata convinzione che nel passaggio da un segmento all’altro della formazione si possa fare a meno della riflessione teorica sulla didattica, sugli strumenti e sugli obiettivi stessi dell’insegnamento letterario. Se il mondo della scuola, infatti, si è sempre interrogato sulle pratiche didattiche più efficaci per ottenere il massimo del successo formativo, all’università manca o è poco diffusa una assidua riflessione sulla didattica della letteratura. Esistono esperienze isolate, magari eccellenti, oppure tentativi di avviare una riflessione condivisa su tali questioni, che stentano però a radicarsi nel costume del docente universitario, ancora legato al vecchio corso monografico o a una didattica trasmissiva attenta più ai contenuti che al possesso di strumenti critici e metodi di analisi e di interpretazione e, di conseguenza, a una valutazione che misura la quantità delle informazioni memorizzate e non il saper fare raggiunto.
Per tornare ai meriti del progetto Compìta, quindi, va riconosciuto quello di aver riportato al centro del dibattito scientifico il soggetto che apprende, lo studente con i suoi bisogni e stili cognitivi, il quale sarà valutato per la capacità di adoperare il sapere appreso, di manipolarlo e farlo proprio in maniera critica e inventiva. Lo studente sarà portato a essere interprete competente dei contesti e dei codici linguistici dati verso i quali potrà esprimere consenso oppure scarto e distanziamento critico. Intesa in questo modo, «l’interpretazione (letteraria) porta un contributo decisivo a quanto esiste di più attivo in una cultura: la cura nella coltivazione di un’eredità comune in modo tale da far fruttificare la costruzione di un avvenire collettivo» (4). Ecco che allora, il rapporto con la tradizione si caratterizzerà per una tensione dinamica per la quale un singolo elemento del passato, isolato e proiettato nel presente, lo illuminerà di luce nuova, trasformandolo e vivificando entrambi, l’antico e la progettazione del futuro.
La letteratura, pur nella sua marginalità, ha ancora un compito da assolvere: l’invito alla conoscenza di sé attraverso la voce o le voci del testo, per dirla con Raimondi(5), e trasformare la memoria in costruzione, la tradizione in invenzione.
_______________
NOTE
1) L’epigrafe è tratta daY. Citton, Future umanità. Quale avvenire per gli studi umanistici?, :duepunti edizioni, Palermo, 2010, p. 43
2) E. Raimondi, L’interpretazione come esperimento, in Id., Il senso della letteratura, Il Mulino, 2008, p. 32.
3) Per una letteratura delle competenze, a cura di Natascia Tonelli, I Quaderni della Ricerca, n. 6, Loescher, Torino, 2013
4) Y. Citton, Future umanità. Quale avvenire per gli studi umanistici?, cit., p. 87
5) Mi riferisco al libro di E. Raimondi, Le voci dei libri, Il Mulino, Bologna, 2012 in cui è ricostruita la rete di relazioni umane attraverso le quali libri straordinari e indimenticabili giungevano al giovane Raimondi, studente e poi docente universitario e lettore appassionato. Ognuno di essi portava con sé la vita, il respiro esistenziale che lo aveva visto nascere e attraversare il tempo fino al suo speciale lettore.
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