Inchiesta sulle scuole di scrittura/3 – Marco Franzoso
A cura di Morena Marsilio e Emanuele Zinato
Il blog “Laletteraturaenoi”, dopo inchieste sugli editor, sui traduttori, sulle copertine, sulla scrittura per giovani-adulti e sui narratori d’oggi, continua il suo sondaggio sulle forme del lavoro culturale odierno con un questionario rivolto a chi insegna nelle scuole di scrittura: l’appuntamento ha cadenza quindicinale.
Nella sua Introduzione al volume Convergenze del 2010, Remo Ceserani rilevava il persistere di una “straordinaria vitalità della narrazione in tutte le sue forme”: da una parte il genere romanzo, “un gatto sornione dalle sette vite”, dall’altra il diffondersi di un “vero e proprio bisogno di narrazione (…) in pratiche conoscitive che programmaticamente si distinguono dai romanzi”, lo storytelling.
A oltre dieci anni da quel saggio si assiste alla continua espansione delle scuole di scrittura, alcune delle quali includono la pratica dello storytelling nei loro intenti programmatici. Il blog “Laletteraturaenoi”, dopo le precedenti inchieste (editor, traduttori, copertine, librerie indipendenti, scrittura per giovani-adulti e narratori d’oggi) continua il suo sondaggio sulle forme del lavoro culturale odierno con un questionario rivolto a chi insegna nelle scuole di scrittura.
1. Come è approdato/a alla docenza in una scuola di scrittura? Da quanto tempo insegna? Ha frequentato a sua volta una scuola di scrittura?
Sono approdato alla docenza in una scuola di scrittura per motivi molto pragmatici, è una delle strategie che a suo tempo ho individuato per affrontare e risolvere i miei problemi economici. Insegno da una ventina d’anni e no, non ho mai frequentato scuole di scrittura, ma ho letto praticamente tutta la manualistica esistente in lingua italiana ed inglese sull’argomento.
2. In base alla sua esperienza quali sono le aspettative di chi si iscrive a un corso di scrittura e quali gli obiettivi a cui un docente può ragionevolmente mirare? Insomma quanta possibilità di incontro esiste tra la molla che muove la “domanda” e le possibilità oggettive con cui l’”offerta” risponde?
Nell’arco di questi anni ho tenuto forse un centinaio di corsi di scrittura e le motivazioni sono le più disparate, non da ultima quella di ‘fare un corso interessante nel quale incontrare e conoscere persone interessanti’. Ho conosciuto molte persone spinte da un desiderio generalizzato di ‘scrivere un libro’, ma non ho mai incontrato qualcuno che abbia voglia di affrontare davvero l’argomento e di mettersi in gioco per portare a termine la propria opera. Il massimo a cui si può ambire tenendo corsi di scrittura è aiutare le persone che vi partecipano ad avere uno sguardo più profondo su ciò che leggono e sui loro scrittori preferiti. Una lettura più consapevole, quindi.
3. Come i suoi studenti si approcciano al desiderio di esordire e, più in generale, come guardano al mondo editoriale?
Molti studenti hanno voglia di esordire, spinti soprattutto da una motivazione personale, di autogratificazione. La gran parte dimostra un atteggiamento di diffidenza nei confronti del mondo editoriale, inteso come un luogo a cui si accede non per merito, ma per ‘raccomandazione’.
4. Quale peso ha, nell’attività didattica, il momento della lettura? Quali opere si leggono?
Per me nell’attività didattica la lettura è centrale. In funzione all’argomento che sto trattando scelgo i libri che mi sembrano più consoni e che vanno dai classici a letture decisamente più contemporanee.
5. Le parole-chiave della critica e i metodi della teoria letteraria vengono percepiti da chi insegna come strumenti di mediazione e di accesso al testo o come astrazioni non pertinenti a questa forma di insegnamento-apprendimento?
Non ho mai percepito la critica e la teoria letteraria come avulse dalla scrittura narrativa in senso stretto. Apparteniamo tutti a uno stesso territorio – il mio percorso personale inizia tra l’altro lì – e cerco sempre dei miei corsi di affrontare globalmente sia i temi e le forme della scrittura, e di utilizzare la critica e la teoria letteraria. Queste ultime per aiutare i partecipanti a capire di che cosa stiamo davvero parlando quando scriviamo e leggiamo.
6. La nuova, diffusa confidenza con la scrittura acquisita sui social ha contribuito a “desacralizzare” una pratica tradizionalmente riservata a fasce più ristrette. Quanto la “graforrea” (Antonelli) dei media alimenta l’espansione recente delle scuole di scrittura? Fra i bisogni intercettati, quanto è dovuto alla “cultura del narcisismo”?
Per quanto riguarda me e la mia esperienza, non credo di avere mai incontrato qualcuno che partecipa a un mio corso spinto da queste motivazioni. Anzi capita piuttosto il contrario, chi partecipa ad un corso di scrittura vive intimamente una sorta di diffidenza e di distacco rispetto a chi agisce la scrittura nel mondo dei nuovi media. Percepisco quindi per opposto piuttosto una sorta di ri-sacralizzazione della scrittura narrativa.
7. Chi scrive oggi spesso si attiene al livello standard dell’“italiano digitato”. In una scuola di scrittura quanto si lavora sulla lingua e sullo stile? Nei corsi che tiene lavora sui testi dei suoi studenti e come? Come cambia la cognizione di chi frequenta i corsi rispetto al fatto che la scrittura “non può insomma avere nulla di ingenuo o spontaneo ma deve essere il frutto di una consapevole ricerca stilistica” (Luigi Matt)?
Il lavoro sulla lingua in senso stretto necessita di un livello alto di consapevolezza nei confronti dello strumento che si sta usando. Io tratto sempre l’argomento della lingua e dello stile, sia dal punto di vista teorico (cos’è davvero lo stile), sia dal punto di vista pratico, di approccio alla scrittura di un proprio testo. Esiste ancora molto forte nella cultura media e comunque nella cultura di chi affronta un corso di scrittura l’idea che la scrittura sia il frutto di una qualche spontaneità o ingenuità pura che si trasmette da una qualche emozione interiore provata alla pratica dello scrivere. Questo molto spesso provoca addirittura delle situazioni di conflitto da parte di gran parte degli stessi partecipanti a questi corsi, troppo spesso a mio parere forgiati da un’idea ‘romantica’ della scrittura. Solo i più motivati, pochi, sentono forte il desiderio di raggiungere una consapevolezza superiore.
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