Il Mistero delle Tre Buste / 3 Dall’altra parte della cattedra
Pubblichiamo la terza e ultima parte del lavoro dedicato alla nuova prova orale dell’Esame di Stato. Questa volta la parola passa agli studenti. Per ragioni di tempo e nella modalità amichevole e informale con cui abbiamo lavorato, ci siamo limitati a chiedere un parere solo agli allievi di quei docenti che si sono offerti, direttamente o indirettamente, di condividere le loro considerazioni nella prima e nella seconda parte: è un campione significativo, che non ha la pretesa di essere esaustivo, ma solo di avviare una riflessione comune, che riteniamo indispensabile.
ANDREA BENEDETTI – LICEO SCIENTIFICO “F. BUONARROTI” – PISA
Quale scegli quella a sinistra? Quella a destra? O quella centrale? Sono queste le domande più frequenti che ci vengono poste dai nostri compagni prima dell’ingresso nella stanza del colloquio, questa nuova modalità che inizialmente sembrava voler trasformare questo ultimo atto del nostro percorso scolastico in una sorta di quiz televisivo preserale, di quelli in cui devi pescare il “pidigozzo” che contiene l’argomento delle domande, e ti porta a chiederti, cosa sarebbe successo se ne avessi preso un altro. Voler aggiungere un’esplicita componente di “fortuna” all’interno di un esame non sembra inizialmente un’ottima idea, ma alla fine la sorte gioca sempre il suo ruolo: nella modalità “classica” potevano comunque capitare domande che si potessero ritenere fortunate o sfortunate. Quello che cambia è forse la consapevolezza che la scelta dipenda da noi: alla fine siamo noi a sorteggiare il nostro “destino”.
Ma la particolarità delle buste, non è solo nella modalità di scelta dell’argomento da cui iniziare: essa ha finito per essere determinante anche nell’intera modalità di svolgimento del colloquio.
Lo studente si trova davanti ad un nuovo test che non ha mai svolto durante gli anni scolastici; deve in tutti i modi, abbattere i muri che separano i compartimenti stagno delle varie materie, che fino ad allora tenevano separate le discipline come fossero acqua ed olio, per riuscire a collegarle un unico discorso che gli permetta di parlare di tutto, e di evitare le domande, che dovrebbero arrivare solo in caso di “stallo”. Ed è qui che troviamo la chiave di volta della nuova formulazione di questo fantomatico esame orale. Se vogliamo paragonarlo con la vecchia formulazione può sembrare che quello che ci viene richiesto adesso sia una tesina improvvisata su un argomento casuale, e da un certo punto di vista è così; ma il trucco si rivela essere provare a non improvvisare. Mi spiego meglio: prima dell’inizio degli orali non ci eravamo resi conto di quanto fosse determinante sapere già cosa si andrà a dire, l’approccio era quello classico di studio, materia per materia con i compartimenti stagni ancora belli intatti. Quello che non ci era saltato all’occhio era la libertà di esposizione che questa nuova forma permetteva: come si può sapere cosa si andrà a dire se si deve partire con un argomento che non conosciamo? Provando ad esporre le materie collegandole fra di loro, ci si rende, però, conto che bene o male “tutte le strade portano a Roma” o comunque un modo per arrivarci si trova; capito questo quello che gran parte di noi ha fatto è stato quello di mettersi seduti di fronte alla commissione con una strada fissa in testa da percorrere, che comprendesse tutte le materie. La difficoltà diventava quella di utilizzare tutte le forze per riuscire ad andare dove volevamo senza dare nell’occhio. I collegamenti possono essere stati forzati – è vero – ma, alla fin fine, riuscire a parlare di quello che si vuole è il segreto del successo dell’esame delle tre buste. Eliminata la variabile delle domande poste dai singoli professori (che in questa nuova versione non compaiono se non per aiutare il candidato, o sopperire a mancanze di contenuto in una particolare materia) il pieno controllo del dialogo è in mano allo studente che deve riuscire a impadronirsi dell’argomento “pescato” e trovare una via che porta in un punto qualsiasi del percorso preventivato; a quel punto, se si procede senza dire “castronerie” e non si lascia fuori alcuna materia, l’esame è concluso con pieno successo. Dietro la maschera delle tre buste si nasconde quindi un esame che punta totalmente sulla capacità di esposizione e garantisce una libertà al candidato notevolmente superiore a quanto si aveva in passato.
Il risultato, che inizialmente pensavamo dipendesse moltissimo dalla sorte, si rivela alla fine dipendere dalla nostra capacità nell’autogestirci un percorso: tutt’altro che fortuna! Non avendo svolto la vecchia maturità mi viene impossibile confrontarle di fatto, ma, se l’obiettivo deve essere di valutare le competenze trasversali più di ogni altra cosa, conoscenze incluse, allora possiamo dire che la busta svolge il proprio lavoro.
ALESSIA CASSONI – LICEO LINGUISTICO (IND. ESABACH) “G. LEOPARDI”- RECANATI
Il nuovo esame di stato è arrivato portando con sé da una parte la paura del nuovo e inesplorato, dall’altra la speranza di qualcosa di migliore e più “a portata di studente”.
Prima ancora delle vere e proprie prove d’esame, il “colpo” è stata la conferma che la riforma sarebbe partita da quest’anno, il che ha lasciato noi ragazzi un po’ spiazzati. La prima prova non ci ha posto grandi problemi, e da quest’anno la seconda prova ha avuto non una ma due materie di indirizzo: le sei ore che abbiamo avuto a disposizione sono state da una parte abbondanti, dall’altra appena sufficienti.
Ma siamo tutti d’accordo sul fatto che la prova più spaventosa sarebbe stata la terza: l’orale.
Forse i cambiamenti più significativi si sono visti proprio in questa prova, che non è più caratterizzata dalla tesina, sostituita dalla fatidica Busta. Ebbene sì, la busta è il nuovo incubo dell’esame, ed è stata tanto contestata quanto temuta.
Se vogliamo definire il termine con la connotazione che ci riguarda, potremmo dire :
“Busta: per busta si intende un foglio con su scritto un argomento, chiuso appunto in una busta di carta, sigillata e posta in un gruppo di sue simili, che il maturando pesca a caso sperando nella favorevole sorte di aver perlomeno sentito parlare del contenuto.”
Questa è la spietata rappresentazione dell’immaginario comune, ma c’è da dire che le cose sono effettivamente un po’ diverse.
In primo luogo, tutti i contenuti delle buste (foto, testi, grafici, ecc.) sono ricollegabili ad argomenti affrontati durante il percorso di studi, che è vasto, sì, ma i collegamenti che lo studente deve fare, partendo dalla busta, con tutte le materie d’esame, sono a livello generale.
Non è ancora chiaro se in fin dei conti questo sia un bene o un male: infatti, se il fatto che le competenze in primo piano hanno (teoricamente) abolito le domande specifiche sul percorso di studi, contemporaneamente il lavoro richiesto è stato diverso: più collegamenti tra le materie, più attualità, più concentrazione sui nuovi PTCO. Che dire, una sfida a tutti gli effetti.
In verità, non è stata poi così spaventosa (ovviamente detto da chi ha trovato un argomento sul quale ha saputo dire qualcosa!). E c’è anche da dire che se di una materia ci sfugge il collegamento, la situazione non si fa drammatica, poiché il collegamento verrà suggerito dai professori e il ragazzo provvederà poi ad esporre gli argomenti indicati.
Alla fine, a giochi fatti, noi ormai maturi possiamo affermare che forse il segreto è prendere la scuola con curiosità e interesse piuttosto che come un obbligo. Prestare attenzione a tutto ciò che ci succede intorno, senza limitarsi agli argomenti del programma, tornerà infatti sempre utile. Per il nuovo esame, ma soprattutto per il nostro futuro.
VALENTINA CATELLANI – LICEO SCIENTIFICO “SPALLANZANI” – REGGIO EMILIA
Tempistiche. I pacchetti di 5 minuti a materia con cui studenti e professori devono misurarsi producono due conseguenze: 1. superficialità espositiva, connessa al tentativo dello studente di parlare quanto più possibile per non farsi interrompere o perlomeno dire qualcosa per prendere tempo… Il risultato, in entrambi i casi, è quasi sempre un’esposizione caotica che rischia di allontanarsi dal tema di partenza; 2. controllo eccessivo da parte del docente che raramente si pone come ascoltatore interessato e più spesso sonda la preparazione con domande eccessivamente mirate. È un atteggiamento riscontrato principalmente negli “esterni”.
Programmi e nuclei tematici. Programmi molto vasti sono un po’ difficili da gestire; emergono carenze diffuse nell’arte del riassunto critico (divenuto tra l’altro un requisito per superare la prima prova). Ho trovato particolarmente utile in questo senso i ripassi in classe (di storia e filosofia) e le “simulazioni” che hanno integrato le lezioni di italiano e latino a fine anno. Un lato positivo di quest’esperienza è la condivisione e l’aiuto reciproco fra compagni di classe. Sarebbe stato apprezzabile che per le discipline non collegabili fossimo noi a proporre argomenti, più che rispondere a una domanda posta dall’insegnante.
Buste, fortuna e libertà confinata. Ho riflettuto molto sull’impatto che il documento incognito estratto dalle famigerate buste ha avuto sui colloqui: non era assolutamente scontato che le tematiche ricollegate ai nuclei da noi fossero le stesse inserite nelle buste. Lo studente deve dimostrarsi perspicace e condurre il discorso al meglio delle capacità e possibilità; per il futuro bisogna chiarire bene quanto un professore abbia diritto di intromettersi. Lo scopo ideale di verificare le competenze dialettiche e argomentative acquisite dallo studente non è stato del tutto raggiunto, perché i ruoli non sono stati definiti. È fisiologico che certi argomenti si siano ripetuti insistentemente, spesso più volte in una giornata! Dipende forse da come sono stati affrontati durante l’anno, dalle grandi tematiche universali a cui possono essere ricondotti; non siamo noi a peccare di banalità e rifiuto categoricamente di sentir dire a un ragazzo, specie se in difficoltà: “No, quello no, l’ho già sentito troppe volte”. Mi appello ai professori nel chiedere che valutino maggiormente collegamenti creativi e inusuali se argomentati, che si incuriosiscano: lasciateci parlare!
Cavie. Sfido chiunque a negare che la classe dei 2000 sia la generazione della rivoluzione last minute e pecco forse di complottismo spicciolo nello scrivere che “ogni volta che cambia il governo, cambia l’esame di stato”, ma succede veramente (fu così anche con la classe dell’89 ad esempio). Professori e studenti hanno oggettivamente avuto poco preavviso e istruzioni vaghe su come si sarebbero svolte le prove: l’incertezza e le voci distorcevano tempi, sequenza delle varie parti del colloquio, presenza o meno di argomenti di Cittadinanza e costituzione (risolti in una domandina insignificante di cultura generale), quanto peso dare alla relazione di alternanza scuola-lavoro (unica parte preparata in modo non dissimile da una piccola tesina e per molti un cavallo di battaglia), etc…
Non posso certo biasimare nessuno se non il ministero per questo, un cambiamento “graduale” non avrebbe certo guastato.
Mi si lasci dire che, a 19 anni, di fronte a una squadra di professori (di cui oltre la metà mai incontrati prima) non è facilissimo porsi con “spigliatezza”. Penso che atteggiamenti più distesi favoriscano un colloquio improntato su un dialogo costruttivo, soprattutto da parte di chi non conosce il percorso scolastico costruito dallo studente e si trova sulle spalle la responsabilità di giudicare degli estranei. Che le regole di questo “gioco culturale con le buste” siano limpide e le decisioni non affrettate, il nostro spirito d’adattamento è grande, siamo giovani elastici, ma anche noi possiamo raggiungere un punto di rottura.
NICOLE LIGGERI – LICEO SCIENTIFICO “ARCHIMEDE” – ACIREALE (CT)
Ripercorrere il documento del 15 maggio, materia per materia, come segmenti di un monolite, o allenarmi da subito costruendo una rete di collegamenti, di argomento in argomento? Seguire il metodo di studio consolidato, quello che dà sicurezza e che ha fin lì dato anche risultati, o allenare la mente al tipo di prova, perché al momento del bisogno possa affrontarla senza sforzo? Da studentessa, questo è stato il primo e principale scoglio da superare; e l’idea nebulosa che avevo della prova orale del nuovo esame di stato non mi ha certo aiutato. Ho quindi scelto una forma di studio ibrida, che fosse il meno possibile dispersiva e il più possibile funzionale.
Impegnarmi a rintracciare legami è stato in molti casi nuovo e stimolante, “intelligente” (soprattutto nelle contestualizzazioni storiche), ma ho sofferto fin troppo l’effetto contrario: l’appiattimento di un autore su un altro o, addirittura, di un artista su uno scienziato.
Seguendo gli esami prima del mio, soprattutto, ho visto più volte concretizzarsi il timore che l’argomento della busta fungesse, più che da perno per un’argomentazione critica, da capofila per una lunga catena di analogie: nella smania, giustificabile, di collegare tutte le materie d’esame, è una minaccia continua il capitombolo nella banalità o, peggio, nella banalizzazione.
Restava sempre il dubbio che al momento di scegliere un punteggio per il candidato, la commissione si sarebbe risolta a premiare l’eloquenza rispetto al rigore argomentativo, l’erudizione all’elaborazione ragionata, ma quando poi anch’io ho cominciato a cercare improbabili analogie tra il razionalismo in storia dell’arte e gli idrocarburi aromatici di chimica, me ne sono un po’ vergognata. Il giorno del mio esame, estraendo il documento dalla mia busta, “Il sublime come contrasto tra immaginazione e ragione”, ho ringraziato la mia buona stella e mi sono rassegnata a chiedere alla professoressa di scienze che mi facesse lei una domanda per verificare le mie conoscenze.
Insomma, l’impressione che ho ricavato è che il nuovo esame di stato sia semplicemente il vecchio esame con tre buste extra per aggiungere un po’ di pepe: l’interdisciplinarità non ha in effetti lo spazio che le premesse promettono. Se la capacità estemporanea di muoversi trasversalmente vorrà essere l’oggetto della nuova prova, bisogna che il tempo che si dedica in classe a “fare i collegamenti” sia più di un volenteroso approfondimento extra.
MARIANNA MARTINI – LICEO SCIENTIFICO “A. MESSEDAGLIA” – VERONA
Ansia. Credo sia questa la prima parola che associo alle famose “buste” che hanno caratterizzato l’orale del nostro nuovo esame di maturità. Ansia; perché hanno davvero avuto questo merito: nel bene e nel male, forti della loro totale imprevedibilità, quei comuni fogli di carta ci hanno agitati tutti, persino i più inimmaginabili, nessuno escluso.
Eppure, ritengo che non siano state solo questo. Non hanno costituito unicamente un additivo di tensione in un periodo che, da anni e anni, tra l’afa e la stanchezza, ha sempre turbato l’animo di quasi ogni liceale. Forse, per chi si è impegnato e ci ha lavorato, esse sono riuscite a cambiarci, hanno avuto il potere di minare le rigide caselle in cui eravamo soliti collocare le nozioni appena apprese, e ci hanno permesso di aprire un poco la mente.
Come una scossa che si origina in profondità per un debole movimento sotterraneo e che si propaga poi sulla superficie con intensità crescente ed effetti assai rilevanti – spesso irrimediabili, del tutto travolgenti – , queste buste, dettate all’origine da una scelta (discutibile) del Ministero, hanno mutato la nostra maniera di relazionarci con quanto studiavamo, hanno trasformato i nostri precedenti schemi di pensiero, anche rispetto alla vita.
Me ne sono resa conto per la prima volta quando, in un momento di pausa dallo studio, dondolando su un’amaca con un mio amico (tutt’altro che un “secchione”, devo dirlo), lo ho ascoltato mentre, da discorsi frivoli di ragazze e sport, di colpo, illuminato dal nostro oscillare, era passato a parlarmi del pendolo “dolore-noia” di Schopenhauer e di quanto quel concetto fosse correlabile a numerosi aspetti della sua esistenza, dell’esistenza di quel mio amico che – con tutto il rispetto – è tutto tranne che filosofo.
Sollecitati da questo continuo esercizio di collegamento tra materie differenti (a volte piuttosto improprio e forzato), avevamo cominciato ad osservare, oltre che gli argomenti svolti a scuola, anche la realtà, persino le più sciocche banalità che ci circondavano, con una prospettiva più aperta, molto più tendente alla riflessione, alla rielaborazione.
Non so se sia capitato solo a me e ai miei amici più stretti, non so se sia stata la terribile ondata di caldo, ma nei giorni precedenti all’esame ho cominciato a sentirmi matta: mangiavo un ghiacciolo e pensavo alla fugacità del tempo, al flusso inarrestabile che è la vita di cui trattano Pirandello e molti altri; vedevo, camminando, una gru e d’istinto mi ritrovavo a meditare su Einstein e sul Novecento, su come in ogni campo esistente qualcuno avesse demolito le basi passate, per costruirne di nuove, più veritiere. All’orale, aperta la “fatidica busta” che, tra tante, avevo scelto, mentre mi scervellavo a trovare e motivare collegamenti, mi sono ritrovata a sorridere per la maggior parte del tempo: in fondo, mi stavo quasi divertendo. Sentivo gli ingranaggi lavorare nella mia mente; facevo riflessioni profonde e potevo condividerle con persone competenti.
Credevo che, terminati gli esami, avrei odiato cercare ancora collegamenti; ho scoperto, invece, che mi piace essere “matta” e che preferisco continuare a osservare e riflettere su ogni aspetto del mondo – soprattutto i più comuni e mediocri – molto, molto profondamente. Almeno per un po’.
VALENTINA SAPIENZA – LICEO LINGUISTICO “LOMBARDO RADICE” – CATANIA
L’Esame di Stato sembra essere la cosa più importante nella vita di uno studente finché non viene superato. Quest’anno si è a lungo parlato del nuovo esame, del colloquio e delle temute buste. Come tutti i maturandi, ho affrontato una situazione sconosciuta e nuova, ma, questa volta, lo sarebbe stata anche per i commissari. L’inesperienza, dunque, ci ha accomunato, e credo che proprio questo abbia reso la prova meno difficile del previsto.
Avendo avuto la possibilità di assistere a diversi esami, non ho potuto fare a meno di notare quanta fretta ci sia stata durante il loro svolgimento.
Forse per inesperienza, appunto. Forse per mantenere l’impressione che si avesse tutto sotto controllo, fin quando si aveva qualcosa da dire, da collegare, fino ad esaurimento argomenti.
Il risultato, il più delle volte, è stato un colloquio veloce, in cui, per ogni disciplina, si aveva spazio solo per un autore, un concetto, un’opera. Il candidato è stato esortato a proseguire dalla prepotenza di quella fretta che spesso, purtroppo, lo ha obbligato al nozionismo, pur di rientrare nei tempi stabiliti. Della presunta valutazione della capacità critica evocata come giustificazione per le modifiche all’esame, quindi, nessuna traccia.
Nonostante tutto, per quanto inadeguato allo scopo io lo consideri, credo di potermi ritenere abbastanza soddisfatta del colloquio sostenuto. Nel mio caso, infatti, non ci sono state né complicazioni causate dalle domande della commissione, né collegamenti forzati. Magari, però, avevo solo scelto la busta giusta.
Fondamentalmente, credo che l’inadeguatezza del nuovo esame sia da individuare nello scollamento fra teoria e prassi.
Sebbene ritenga che i presupposti teorici di queste nuove disposizioni siano validi, in quanto, come studentessa, credo che la capacità di trattare un argomento da diversi punti di vista, attraversando le diverse discipline, sia utile per dimostrare le conoscenze e le competenze acquisite durante il proprio percorso di studi, non sono affatto convinta che la prassi, cioè il modo in cui si è effettivamente svolto il colloquio, sia adeguata. Per ovvie ragioni.
Innanzitutto, è impensabile che l’organizzazione e l’argomentazione di un discorso tale possano avvenire in circa 15 minuti, considerando che la discussione pluridisciplinare sul contenuto della busta scelta costituisce solo 1/4 dell’esame. Dati i tempi e la rigida divisione delle diverse fasi, quindi, è chiaro che si rischia di rendere terribilmente superficiale proprio quella parte in cui dovrebbero, invece, risaltare le capacità del candidato.
Seppure questo fosse possibile, poi, ritengo alquanto improbabile che tutti possano riuscire a dimostrare allo stesso modo la propria profondità di pensiero.
D’altronde, considerando che la prestazione del candidato sembra essere giudicata in base alla destrezza con la quale è in grado di conciliare le diverse discipline al contenuto della busta, credo che nel discutere della riforma, si tenda troppo spesso ad ignorare l’assurdità del fatto che, adesso, un traguardo fondamentale come l’Esame di Stato sia basato sull’estrarre a sorte, sul caso, che suscita quell’inevitabile, disperata speranza in ogni maturando di un salvifico coup de chance.
LORENZO SCIACCA- LICEO CLASSICO “N.SPEDALIERI” – CATANIA
Mosso, come ormai sono, dalla volontà di collegare qualsiasi elemento della mia esperienza umana ad almeno un argomento del documento del 15 Maggio, è per me imperativo che il resoconto di questo nuovo esame di Stato avvenga attraverso i momenti della celebre dialettica triadica hegeliana.
- L’idea in sé: L’ordinamento. Dopo un primo, lungo momento dedicato all’autocommiserazione, l’idea mi è apparsa per quel che era: l’approccio interdisciplinare, posto come principio cardine su cui organizzare il colloquio, non era una perfida manovra del ministero per precludermi la pace dello spirito, né la scelta delle tre buste doveva necessariamente ridursi a gioco sadico con la mia sorte, ma, con un non indifferente impiego di atteggiamento positivo, poteva diventare persino occasione favorevole. Così, ha avuto inizio il frenetico tentativo da parte dei docenti di adattare il metodo d’insegnamento utilizzato per quasi cinque anni alle nuove richieste dell’esame: intere giornate dedicate al collegamento compulsivo dello scibile umano con qualsiasi autore testo documento affrontato durante l’anno, un rinnovato interesse per argomenti di Cittadinanza e Costituzione e infine innumerevoli ore spese in un irrisolvibile dibattito tra allievi e docenti sulle effettive modalità di svolgimento dell’esame orale. A fronte di una preparazione comunque dignitosa, restava l’incognita principale, quella che solo il tempo avrebbe potuto rivelare: la reale adeguatezza di questa preparazione rispetto al colloquio vero e proprio.
- L’idea fuori di sé: il colloquio. Fin dai primi colloqui, come parola chiave accanto a interdisciplinarità ne è naturalmente germinata una seconda: anarchia. Ogni singola commissione d’esame è divenuta stato indipendente e sovrano sulle rispettive classi, enclave nel sistema scolastico munito di ampi poteri d’interpretazione dell’ordinamento e senza un tribunale a cui rivolgersi che dichiarasse “incostituzionale” un’azione rispetto ad un’altra. E tuttavia ho ben poco da imputare a queste tendenze interpretative dei docenti, di fatto abbandonati all’inventiva. In concreto, il colloquio è stato una sintesi tra il vecchio esame ed elementi cardine del secondo; è poi toccato alle varie commissioni decidere in che misura far prevalere la fisionomia dell’uno o dell’altro. Ho quindi registrato esperienze legate, sì, da un filo comune, ma a volte anche di molto discordanti tra loro. Chi è stato lasciato indisturbato a parlare ininterrottamente per l’intera durata del colloquio, chi è stato immediatamente bersagliato di domande non sempre attinenti alla busta selezionata, chi, nonostante avesse compiuto autonomamente un discorso completo, alla fine è stato comunque bersagliato, chi ha sostenuto un esame di diritto costituzionale, chi si è limitato all’articolo 1, chi ha parlato troppo dell’alternanza scuola lavoro, chi poco, chi niente. Queste differenze tra un colloquio e un altro lasciano non pochi dubbi su quale debba essere o quale sia, se effettivamente c’è, il criterio di giudizio.
- L’idea ritorna a sé. L’esame di quest’anno era inevitabilmente destinato, se non a fallire, sicuramente a non concretizzarsi nei termini e nei modi nei quali era stato ideato, poiché non sono stati adeguatamente formati i docenti, coloro che devono nei fatti condurre l’esame, né lo erano realmente gli studenti, che nei fatti lo devono sostenere, e c’è stata una confusione generale sulle modalità d’applicazione delle direttive ministeriali. L’idea resta però un’idea dotata di una sua dignità e, se realizzata a dovere, perseguirebbe anche degli obiettivi didattici di fondamentale importanza come il riconoscimento dei nessi fra le materie o la contestualizzazione degli argomenti. Sarebbe dunque un errore accantonarla in toto e, per evitarlo, è necessario pensare a questo esame in divenire, quindi come qualcosa di positivo, ma, per il momento, solo potenzialmente.
Si ringraziano anche: Margherita Albi (Liceo Scientifico “Spallanzani”, Reggio Emilia); Francesco Lorenzoni (Liceo Scientifico “F. Buonarroti”, Pisa); Simone Pardini (Liceo Scientifico “F. Buonarroti”, Pisa); Elettra Solignani (Liceo Scientifico “A. Messedaglia”, Verona): i loro contributi, non pubblicati solo per ragioni di spazio, possono comunque essere letti qui.
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