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Territori in rivolta: nessuno tocchi la Global Sumud Flotilla

“Se qualcuno vi dice sì, vabbè, è una pupazzata, considerate che in passato l’esercito israeliano ha anche aperto il fuoco su imbarcazioni di attivisti che hanno provato a forzare il blocco navale”. Così  avverte Zerocalcare, in un video pubblicato qualche giorno fa, nel tentativo di “accendere un riflettore” sulla Global Sumud Flotilla, la flotta pacifica e non violenta diretta a Gaza, la cui missione a oggi lascia intravedere esiti tutt’altro che prevedibili. Di sicuro resta difficile derubricare questa impresa dal basso come una “pupazzata”, appunto, data la portata della mobilitazione di fronte alla quale il Governo, per il momento, specie per bocca del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, non ha saputo però fare niente di meglio che mugugnare come in definitiva l’iniziativa abbia un legittimo valore politico e simbolico ma non certo importanti ricadute concrete, perché sarebbe ben altra la consistenza degli aiuti di cui ha bisogno la popolazione palestinese. Aiuti che però, come noto, dopo due anni di assedio genocidiario e di immobilismo della comunità internazionale di fatto non arrivano. Soprattutto è difficile delegittimare l’iniziativa se si guarda a quello che sta effettivamente accadendo nelle realtà che si stanno mobilitando. Infatti, mentre la Global Sumud Flotilla arriva appena a lambire i confini della comunicazione massmediatica (non c’è stata traccia della notizia sui tg nazionali fino praticamente al momento della partenza), sui territori le cose si muovono in un modo forse imprevisto, che non si vedeva da molto tempo. Forse, per ritrovare qualcosa di analogo bisogna tornare indietro a Genova 2001. E non sarà un caso se proprio da Genova è venuto uno dei segnali più forti, quando la sera del 30 agosto, in concomitanza con la partenza delle quattro imbarcazioni dirette a Gaza, l’intera città si è mobilitata con una manifestazione di circa 40.000 persone, guidate dalla sindaca Silvia Salis che sfilava in testa al corteo con tanto di fascia tricolore. Una mobilitazione che nasce da lontano. Dietro ci sono i lavoratori del porto di Genova, la forza del Capl (Collettivo autonomo lavoratori portuali), un sindacato in ascesa nelle realtà portuali come l’Usb. C’è una storia di rivendicazioni sociali che sanno guardare a Gaza come a qualcosa che profondamente ci riguarda. C’è la consapevolezza di essere uniti e di avere la forza per poter perseguire un obiettivo: nessuno tocchi la Global Sumud Flotilla. Lo ha detto chiaramente del resto Riccardo Rudino del Calp proprio la sera del 30 agosto: se anche solo per venti minuti perdiamo il contatto con le imbarcazioni, blocchiamo tutto e dal porto di Genova non uscirà più neanche un chiodo. Ma Genova è solo la punta dell’iceberg di quanto sta accadendo. Non c’è realtà territoriale, piccola o grande che sia, che non si stia mobilitando per Gaza. Ci sono realtà (è il caso di Civitavecchia, ad esempio, in provincia di Roma) in cui in una sola giornata sono state raccolte ben cinque tonnellate di aiuti, attraverso una mobilitazione spontanea dei cittadini. E dalle mobilitazioni spontanee stanno nascendo nuove forme di organizzazione dal basso. Come si è visto nessuna bandiera di partito o altri vessilli che non siano quello palestinese e quello della pace sono ammessi nei presidi. Ma se i partiti sono in certa misura messi al bando (e questo è anche il drammatico segno della loro perdita di credibilità), non significa che la mobilitazione non stia ponendo questioni rilevanti sul piano strettamente politico. Se ci si aspetta che in tutte le realtà i sindaci sfilino con la fascia tricolore nelle giornate di mobilitazione, non è così semplice che questo accada, finanche nel fronte del centro-sinistra e in particolare del Pd, dove parole di chiarezza rispetto al genocidio in corso per alcuni continuano a sembrare parole non pronunciabili. Ma i territori stanno esercitando una forte pressione sulle istituzioni locali, con l’obiettivo che i sindaci a loro volta esercitino pressioni sul Governo, per garantire protezione agli attivisti che viaggiano a bordo delle imbarcazioni della Sumud. Come si accennava in apertura il pericolo è tutt’altro che aleatorio, come risulta dalle parole del ministro israeliano per la sicurezza Ben Gvir, che ha annunciato che gli attivisti saranno trattati come terroristi. E conviene non confidare sul fatto che si possa trattare di dichiarazioni folcloristiche. Le parole del ministro israeliano recano con sé una precisa dottrina e tutto si può dire di Israele tranne che non sia uno stato coerente, che non attui cioè con brutale determinazione ciò che di volta in volta minaccia. Ne sono consapevoli i volontari, le cui testimonianze riferiscono di uno stato d’animo tutt’altro che tranquillo, anzi disposto al peggio. Tra loro anche quattro parlamentari italiani: l’eurodeputata Benedetta Scuderi (Avs), i deputati Annalisa Corrado e Arturo Scotto (Pd), il senatore Marco Croatti (Cinque Stelle). Le barche italiane della Flotilla sono ora ormeggiate a Catania e Siracusa, da dove la partenza è slittata due volte. Dapprima infatti era stata fissata per il giorno 4, giornata in cui si sono comunque tenuti i programmati presidi sui territori. Slittata poi anche la partenza programmata per il 7, in attesa che siano pronte anche le imbarcazioni in partenza dalla Tunisia. Attraverso un sito che traccia le rotte è possibile seguire il percorso di ogni singola imbarcazione della flottiglia. L’attenzione di chi sta a terra sarà sempre più importante e necessaria via via che le imbarcazioni si avvicineranno a Gaza, al punto che da Civitavecchia è stato proposto l’allestimento di presidi permanenti per monitorare in tempo reale la situazione ed essere pronti a ogni evenienza. E in questo movimento massivo di barche che navigano verso Oriente non c’è solo il valore politico di mettere in atto un’azione concreta nei confronti del popolo palestinese e di richiamare l’attenzione del mondo sul genocidio. C’è il portato simbolico di una rotta che non ci è familiare, nella misura in cui fa a pezzi il nostro immaginario di barconi che da Oriente viaggiano verso Occidente. Stavolta ci si muove in direzione ostinata e contraria, un’ostinazione che è contro i fatti ma contro anche un modo di pensare che dalla notte dei tempi ha tracciato una linea di demarcazione tra culture, che ha costruito un Oriente di fatto a noi sconosciuto, ma solo pensato e rappresentato per i fini poco nobili della sua presunta controparte, l’Occidente. Di fronte a tutto questo, alle ricadute dei fatti recenti sulle giovani generazioni, sarà importante che anche la scuola e i docenti sappiano trovare una loro voce ed essere parte attiva nella narrazione di questi accadimenti. Le iniziative non mancano, molti insegnanti si sono organizzati per la presentazione di mozioni su Gaza nei rispettivi collegi, ma servirebbe la forza di un coordinamento, anche alla luce delle relative note che stanno diramando alcuni Usr, come quello del Lazio, che in riferimento agli eventi geopolitici in corso invita i dirigenti scolastici a fare in modo che le riunioni degli organi collegiali siano “finalizzate alla trattazione delle tematiche relative al buon funzionamento dell’istituzione scolastica” e non ad altre finalità.

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