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diretto da Romano Luperini

Robert Fitterman: nelle vene di Creve Coeur

Pubblichiamo la prima parte di Creve Coeur, per gentile concessione dell’autore e dell’editore, nella traduzione e con una presentazione di Roberto Balò.

Robert Fitterman rappresenta una delle voci più significative e provocatorie della poesia concettuale americana. La sua opera si muove al confine tra poesia, arte, performance e critica culturale, sfidando il lettore a ripensare cosa significhi scrivere e leggere poesia nel XXI secolo.

Nato nel 1959 a St. Louis, Missouri, e attivo sulla scena poetica newyorkese, Fitterman è associato al movimento della poesia concettuale, corrente poetica che si sviluppa tra gli anni Novanta e i primi Duemila e che mette in discussione l’originalità autoriale, la funzione espressiva del linguaggio e le modalità di produzione testuale nell’era digitale. Attraverso la pratica di appropriazione, montaggio o l’uso di procedure e vincoli strutturali (come le contraintes tipiche dell’OuLiPo), vengono demolite le convenzioni liriche tradizionali.

Robert Fitterman è autore di numerosi volumi di poesia, tra cui spiccano la serie Metropolis (Sun & Moon Press 2000, Coach House Press 2006, Hedge Books 2010, Make Now Press 2012), Rob the Plagiarist (Roof Books, 2009), Holocaust Museum (Counterpath Press, 2012) e No, Wait. Yep. Definitely Still Hate Myself (Ugly Duckling Presse, 2014). Sulla poesia concettuale ha pubblicato insieme a Vanessa Place il saggio Notes on Conceptualisms (Ugly Duckling Presse, 2009). È membro fondatore del collettivo internazionale di artisti-poeti Collective Task. Parallelamente alla sua attività poetica, Fitterman insegna scrittura presso la New York University.

Lo stile di Robert Fitterman è fortemente sperimentale, decostruttivo e spesso impersonale. Le sue poesie si costruiscono attraverso il collage testuale, il cut-up e, soprattutto, il cosiddetto plagio intenzionale, una sorta di ready-made duchampiano applicato al linguaggio. L’obiettivo non è tanto comunicare un contenuto personale, quanto riflettere criticamente sul linguaggio contemporaneo, sulle sue strutture retoriche e sulle implicazioni sociali e politiche della sua diffusione. Il poeta, in questo contesto, non è un creatore “originale”, ma un curatore di materiali linguistici preesistenti. È il caso, per esempio, del libro Holocaust Museum, in cui Fitterman presenta una serie di descrizioni di fotografie tratte dal sito dello United States Holocaust Memorial Museum, senza alcun commento o contesto aggiuntivo lasciando che sia la memoria collettiva a ricostruire l’immagine assente. Il risultato è una poesia che solleva interrogativi sul trauma, sulla memoria storica e sull’etica della rappresentazione, proprio attraverso l’assenza di voce autoriale.

Un altro esempio emblematico è No, Wait. Yep. Definitely Still Hate Myself, costruito interamente con frasi tratte da blog e forum di auto-aiuto e ansia sociale: la monotonia e la reiterazione creano un duplice effetto di straniamento e, al tempo stesso, di empatia, lasciando emergere la sofferenza collettiva dietro la banalità del linguaggio condiviso.

L’attività poetica di Robert Fitterman non si limita alla scrittura, ma trova espressione anche nella dimensione performativa, come accade in Rob’s Word Shop (Ugly Duckling Presse, 2019), un progetto che mette in scena una riflessione radicale sul linguaggio come merce. Il libro nasce da una performance reale: un negozio temporaneo dove Fitterman vendeva parole su richiesta, al dettaglio, come fossero beni di consumo. Le interazioni tra “venditore” e “clienti” venivano registrate e sono oggi disponibili su YouTube, in modo da ampliare la dimensione performativa e documentaria dell’opera. Il dispositivo concettuale di base è semplice ma incisivo: trasformare il poeta in un commerciante di parole, e il lettore/spettatore in un consumatore. Le parole, spogliate di qualsiasi aura lirica, diventano oggetti vendibili, standardizzati, accumulabili, e riflettono il modo in cui la comunicazione viene oggi spesso automatizzata, quantificata e monetizzata.

Con il suo ultimo lavoro, Creve Coeur (Winter Editions, 2024), realizza una delle sue opere più complesse e stratificate, sia sul piano formale che tematico. L’opera si presenta come una riscrittura mimetica di Paterson di William Carlos Williams, non nel senso di un semplice omaggio, bensì come vero e proprio palinsesto poetico: Fitterman ricalca l’architettura e lo spirito del più importante poema modernista americano, sostituendone però i contenuti con un montaggio di materiali sia originali sia appropriati. Il “luogo” del poema, Creve Coeur (sobborgo di St. Louis, dove il poeta ha vissuto fino ai diciotto anni), prende il posto di Paterson, diventando un crocevia di storie individuali, talvolta autobiografiche, e collettive. Il testo alterna brani lirici, documenti, articoli, discorsi tecnici, materiali prelevati e riformulati: una polifonia che ricalca la struttura compositiva di Williams, ma la reindirizza verso una critica del presente. In Creve Coeur la dimensione personale si intreccia costantemente con quella collettiva restituendo un testo profondamente politico che, attraverso una ricostruzione storica-documentaria, denuncia il degrado urbano, il razzismo sistemico, la speculazione farmaceutica, il capitalismo incontrollato, disegnando una mappa poetica delle contraddizioni, o addirittura delle patologie, dell’America di ieri e di oggi.

Creve Coeur: libro 1

PREFAZIONE

Il rigore della bellezza è quel tipo di sfida per chi e per che cosa?

Alla fin fine perché parlare dell’io, sogna, che non mi interessa quasi per niente?

 Incominciamo: vengo da un posto 
chiamato Creve Coeur, Missouri.
Creve Coeur, tradotto liberamente dal francese come
cuore spezzato, un sonnolento sobborgo di St. Louis.
Il nome deriva da un mito controverso—
un amore tormentato tra una donna Osage
e un cacciatore di pellicce francese, conclusosi,
probabilmente, con il suicidio della donna. Questa stessa storia
viene raccontata per molti laghi del Midwest
e ricorda un po’ quella di Pocahontas della Disney—
la principessa Disney numero sette della serie.
La leggenda narra che quando gli amanti furono separati,
la donna si gettò verso la morte dalla cascata
in fondo al lago Creve Coeur.
Lo specchio d'acqua prese allora la forma 
di un cuore spezzato. Hmm, il volto della cascata rabbrividisce:
è una storia con cui sono cresciuto.
Un ruscelletto lacrima
                                              lungo la fronte
della cascata come i gradini dell'anfiteatro
di Uthina, chiazzato dal limo
leggero del Missouri, muschio, strati di schiuma verde.
La cascata di Creve Coeur ha molti nomi:
Dripping Springs, The Bluffs,
ma è più simile a una sporgenza che a una cascata—
non è molto alta né suggestiva.
Non mi è mai sembrato il luogo ideale,
o addirittura possibile, per un suicidio—
per pene d'amore o altro.
                                  La cascata ha le sue
storie da raccontare: un corrotto
comitato cittadino consultivo sui parchi,
le rivolte razziali e il massacro del 1917,
l’ignobile sciagura di Pruitt-Igoe,
le atrocità perpetrate nel quartier generale 
mondiale della Monsanto a Creve Coeur.
                                 La camminata sportiva cambia la vita.
Il modo migliore per descrivere la camminata sportiva
è pensarla come un'alternativa a basso impatto al jogging.
In pratica, è una normale camminata a intensità accresciuta.
Se si mettono due camminatori uno accanto all'altro,
e si dice a uno di loro di andare a passo moderato
con le braccia lungo i fianchi,
e si dice all'altro di aumentare la velocità
muovendo allo stesso tempo le braccia—
                questa è la tecnica!
Ben conosciuto da queste parti, il camminatore di Creve Coeur
si spinge sui marciapiedi, al crepuscolo, sulle più morbide
delle scarpe morbide, sfreccia accanto ai residenti assonnati
che stanno ancora annidati nelle loro morbide camere da letto
nelle case più morbide
sulla Terra. Se Dio vuole.
                                         Imbocca le strade
di servizio private della Monsanto, regola il volume
del suo Walkman e guarda verso i laboratori:
ingegneri, avvocati, chimici iniziano a rovesciarsi nel vasto parcheggio.
Swoosh! è il suono della tuta in policotone del camminatore,
                                                 chiamata anche tipped fleece, 
di un rosso borgogna intenso ben bilanciato dal bianco
delle New Balance nuove di pacca.
Accelera il passo:
                                                si slancia sul marciapiede di Schnucks,
oltre McDonald's e verso una futura
Creve Coeur.

Creve Coeur: Book 1

PREFACE

Rigor of beauty is what sort of quest and what for and for whom?

Why even speak of I, he dreams, which interests me almost not at all?

To make a start: I come from a place
called Creve Coeur, Missouri.
Creve Coeur, loosely translated from the French
as broken heart, a sleepy suburb of St. Louis.
The name is derived from a dubious myth—
a tortured love between an Osage woman
and a French fur trapper, presumably
ending with the woman’s suicide. This same story
is retold about a lot of midwestern lakes
and it lands not too far from Disney’s Pocahontas—
number seven in the Disney princess line-up.
Legend has it that when the lovers were torn apart,
the woman leapt to her death off the waterfall
into the bottom of Creve Coeur Lake.
The body of water, then, formed the shape
of a broken heart. Hmm, the face of the Falls cringes:
it’s a story I’ve grown to live with.
A thin stream trickles
down the face
of the Falls, a far cry from the steps of the Uthina
amphitheater, slick with some vague
Missouri silt, moss, layers of green scum.
The Creve Coeur Falls has many names:
Dripping Springs, The Bluffs . . .
but it’s more like a ledge than a waterfall—
it’s neither very high nor impressive.
It never seemed ideal to me,
or even possible, for a suicide—
lovesick or otherwise.
                          The Falls has its own
stories to tell: a corrupt
citizen’s advisory committee on parks,
the 1917 race riots and massacre,
the infamous Pruitt-Igoe disaster,
the atrocities hatched at the Monsanto
Creve Coeur World Headquarters.
                           Power walking changes lives.
The best way to describe power walking
is to think of it as a low-impact alternative to jogging.
Basically, it takes regular walking and ups the intensity.
If you put two walkers next to each other,
and told one to move at a moderate pace
with their arms at their sides,
and told the other to increase their speed while
simultaneously pumping their arms—
             that’s the technique!
Known in these parts, the Creve Coeur walker
powers up the sidewalks, at dusk, in the softest
of soft shoes, speeding past sleepy residents
who are still nestled in their soft bedrooms
in the softest homes
on earth. God willing.
                                     Winding through the private
Monsanto service roads, he adjusts the volume
on his Walkman and looks out over the laboratories:
engineers, lawyers, chemists start to roll into the vast parking lot.
Swoosh! is the sound of the walker’s poly-cotton track suit,
                                       also called tipped fleece,
a deep burgundy offset nicely by his stark white
just-out-of-the-box New Balance.
He picks up his pace,
                                    powering onto the sidewalk at Schnucks,
onward past McDonald’s and into a future
Creve Coeur.

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