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diretto da Romano Luperini

Intrecci tra letteratura e vita: una proposta didattica intorno alle lettere su Clizia-Irma Brandeis

Muse…mute

Laura, Fiammetta, Alessandra Benucci, Lucrezia Bendidio, Luisa Stolberg, Lina e altre ancora: la letteratura italiana è attraversata da muse femminili, interlocutrici mute, oggetto della passione amorosa (spesso non corrisposta) del poeta che le ha cantate in versi divenuti immortali. Raramente sentiamo però la loro voce e, soprattutto, riflessioni e aspri giudizi sui componimenti di cui sono state protagoniste.

Fa eccezione Irma Brandeis, la dantista americana che nel 1982 Luciano Rebay identificò nella donna nascosta sotto le iniziali I.B. della dedica alle Occasioni, e cantata nelle liriche montaliane con il senhal di Clizia. La relazione con il poeta ligure, iniziata nel 1933 e poi interrottasi nel 1939, trasfigurata in componimenti come Ti libero la fronte dai ghiaccioli, Iride o la celebre Primavera hitleriana, ha ricevuto nuova luce dalla pubblicazione delle lettere inviate da Montale negli anni Trenta, e donate dalla Brandeis al Gabinetto Viesseux nel 1983, con la clausola che venissero secretate per venti anni.

Uscito nel 2006 a cura di R. Bettarini, G. Manghetti e F. Zabagli, ripubblicato poi nel 2024 per la collana Lo specchio, l’epistolario consta di «155 missive (più una) dal tratto forte, delicato e feroce, che giorno dopo giorno costituiscono di fatto un racconto amaro e dolce, d’amore e di rancore, un documento frammentario di fede e di disperazione, di gossip velenoso, di malizie e di pietà» (E. Montale, Lettere a Clizia, a cura di R. Bettarini, G. Manghetti e F. Zabagli, Mondadori, Milano 2024, pp. VII-VIII). Dalle lettere scopriamo il Montale uomo, fotografato negli anni fiorentini, tra una routine demotivante al Gabinetto Viesseux e gli slanci amorosi per Irma, subito repressi dai doveri quasi coniugali verso Drusilla Tanzi, che in questo epistolario assurge a donna isterica, in grado di rendere la vita del poeta una vera e propria prigione.

Un percorso interdisciplinare

Uno degli aspetti più interessanti delle lettere di Montale è l’utilizzo di una lingua inglese a volte goffa e altre alternata con l’italiano, ma non vanno dimenticate le due preziose lettere in inglese di Clizia poste in appendice, che illuminano su aspetti della loro relazione e sulla personalità dei soggetti coinvolti nel triangolo amoroso. Il quadro si è arricchito, poi, di recente, con la pubblicazione, nel 2015, di volumetto curato da Marco Sonzogni e intitolato «Questa stupida faccia». Un carteggio nel segno di Montale, che contiene le lettere scambiate negli anni Ottanta da un’anziana Brandeis con Gianfranco Contini, ma anche con Eduardo Saccone e Serena Cenni Santi. L’importanza ai fini didattici di queste lettere consiste nella possibilità di vedere uno smarcamento di Brandeis da quel senhal di Clizia a cui è stata associata dai critici, con la significativa reazione di Contini che, dalle prime lettere in cui si rivolge a lei con Cara Clizia, passa repentinamente al Cara Irma Brandeis a partire quella del 28 giugno 1985.

Pur dotato di un buon livello di inglese, non me la sono però sentita di proporre il percorso didattico in autonomia; così, nelle tumultuose settimane di maggio, in prossimità delle Colonne d’Ercole oltre le quali difficilmente si naviga, ovvero la letteratura post-montaliana, ho deciso di chiedere aiuto alla collega d’inglese amante della letteratura per progettare, in compresenza e svincolato (incredibile dictu) dalla valutazione, un itinerario all’interno di quel “sottobosco” rappresentato dalle lettere di Montale a Clizia e dalle lettere di Clizia su Montale, pubblicate dopo la morte del poeta.

Si è trattato di un viaggio in un terreno plurilingue che ci ha permesso di vedere con occhi nuovi il poeta ligure, di relativizzarne il mito, ma anche di leggere sotto una nuova luce delle liriche di cui si sono scoperti i retroscena o dietro le quali si è percepito un certo grado di finzione. Lungi, infatti, dall’essere una vendetta postuma dell’amata, le lettere di Montale a Clizia illuminano aspetti della personalità degli interessanti e risultano proficue per presentare agli studenti un quadro dell’autore quanto più proteiforme possibile.

Non perdersi nel mare di lettere: punti fermi dell’agire didattico

Montale, come scritto in precedenza, rappresenta davvero le Colonne d’Ercole della classe quinta, dal momento che, scorrendo i documenti del 15 maggio preparati per l’Esame di Stato, costituisce l’ultimo grande autore affrontato nell’itinerario letterario del quinto anno. L’idea che deriva dalle liriche antologizzate è quella di un vero e proprio classico del Novecento, di un poeta ormai entrato a far parte stabilmente del canone e autore di una vera e propria opera-mondo. Il rischio è che, però, lo studio diventi progressivamente cristallizzato e, giocoforza, monotono e demotivante per noi docenti. Lasciandomi quindi guidare da una passione nata nel lontano anno accademico 2005-2006, frequentando un laboratorio su Montale lettore di Dante condotto dal Prof. Scaffai, ho cercato di innovare costantemente le proposte antologiche, sicuro di trovare nuovi spunti in un autore davvero ricco di stimoli. Dopo essermi accertato con la collega d’inglese dell’accessibilità delle lettere per studenti del quinto anno, ho quindi impostato un laboratorio in compresenza, della durata di quattro ore, intitolato Irma Brandeis: una musa parlante.

Diverse sono le motivazioni alla base di questa proposta didattica, ovviamente riducibile, ma anche allargabile, a seconda del monte ore a disposizione: anzitutto legare l’epistolario a occasioni poetiche, cercando di istituire collegamenti tra determinate lettere e alcune liriche montaliane; in secondo luogo conoscere un Montale “dietro le quinte”, analizzandone le insicurezze, la sua incapacità di lasciare Drusilla Tanzi e partire per l’America, sfruttando anche l’amicizia con Prezzolini: dalle missive emerge un uomo ben diverso dal poeta tragico e del “male di vivere” che ci consegnano i manuali. Da ultimo, attraverso le lettere si possono potenziare le capacità di collegamento interdisciplinare: parlare di letteratura italiana in inglese e analizzare le scelte lessicali tanto di Montale quanto della Brandeis nell’esprimere le proprie emozioni e preoccupazioni rappresenta una palestra linguistica e culturale di alto livello, oltre a un tentativo di uscire dagli stretti confini entro cui spesso la letteratura italiana viene spesso imbrigliata.

Le lettere di Montale sono numerose e, non essendo destinate alla pubblicazione, tradiscono spesso aspetti concreti della vita di tutti i giorni risultando quindi, in alcuni casi, letterariamente irrilevanti; così, per proporre un itinerario didattico dotato di senso e che vada oltre il semplice pettegolezzo o la “chicca” di fine anno, è opportuno selezionare alcune missive significative, che illuminino aspetti della personalità del poeta degni di interesse. Per completare il cerchio, assai rilevanti sono le lettere dell’ottantenne Irma Brandeis, pubblicate nel volumetto edito da Archinto, che si possono usare come sequel di una storia d’amore tra le più belle, ma complicate, della letteratura del XX secolo.

Una storia d’amore scandita dalla carta

Com’è noto, il primo incontro tra i due avviene il 15 luglio del 1933; Irma Brandeis è una giovane americana di origini ebraiche (la famiglia era emigrata dall’Austria a metà Ottocento), di 28 anni, molto colta, poliglotta, traduttrice e docente di lingua e letteratura italiana e francese al Sarah Lawrence College di New York;  Brandeis aveva letto gli Ossi di seppia e viene in Italia per conoscerne l’autore, che lavorava in quegli anni al Gabinetto Viesseux a Firenze. Le missive del 1933 testimoniano una relazione amorosa definibile come un vero e proprio colpo di fulmine, come si può notare già dalla lettera del 2 agosto 1933 (si cita sempre dalle Lettere a Clizia del 2024, p. 4):

My dearest Irma,

don’t write me here, because I’m leaving Paris for London. (Oh my bad English!)

I miss awfully you, «this is the question»; and I can’t help thinking of you everywhere, mia cara Irma.

So, Paris is uninteresting to day, and London will be ridiculous, I’m sure.

Don’t forget your friend, Irma, and don’t think of me as a common italianaccio.

Con tutto il cuore, mia cara Irma,

yours

                                                                                                 Arsenio

Le reazioni di Montale, che si firma spesso Arsenio oppure Arsenius, agli incontri con Irma Brandeis appaiono con evidenza nelle missive e, a differenza dell’amore idealizzato e spirituale che emerge dalle poesie, le lettere ne lasciano trasparire uno più carnale, come nell’epistola del 5 settembre 1933, in cui scrive: «Ieri sera siamo stati per la prima volta insieme al Piazzale. Non dimenticherò mai quel ritorno tra scale acque e terrazze. Mi sentivo ubriaco, non di quel fiasco a doppio fondo, cara Irma, ma di te e della tua presenza» (p. 9).

L’interesse didattico delle lettere consiste poi nel far luce sul triangolo amoroso Arsenio-Clizia-Mosca; nell’estate del 1934 Montale deve confessare alla Brandeis la presenza di un’altra donna, come testimonia la lettera del 4 agosto, in cui scrive «Darling, nel momento più doloroso della mia vita, t’ho detto, dietro tua richiesta, la situazione nella quale mi trovato, e ho ottenuto, anziché comprensione e consiglio, di essere semplicemente considerato come un rat» (p. 88). La relazione con Drusilla Tanzi, a dispetto dell’immagine tenera e struggente che traspare da Satura e dalla celeberrima Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale, consiste in una vera e propria prigione: nella lettera del 26 settembre 1934 Montale scrive che «il cerchio del soffocamento aumenta di giorno in giorno» e che la relazione amorosa con la sorella di Silvio Tanzi, chiamata «black woman» è una vera e propria «prigione» (p. 94).

Il ritratto che emerge di Mosca, nelle lettere, è davvero impietoso: in quella del 6 aprile 1935 Arsenio sottolinea l’egoismo della compagna, indicata con la lettera X, e si lascia andare a considerazioni poco lusinghiere su di lei: «Intanto ha già capito tutto, e dall’atteggiamento di Nemesi vendicatrice è passata a quello di chi chiede semplicemente pietà; atteggiamento, per me, ancora più pericoloso in un certo senso, e senza dubbio più umiliante (per me). […] Mi sono anche chiesto se non devo fare io il gesto che temo in altri (il suicidio, n.d.r.), e farla finita una buona volta con questa vita. Ma esistite ed esiste ancora mia madre, sicché cerco ora di tenere lontana questa solution (pp. 146-147).

Gli stessi toni sono presenti in una missiva di grande valore, posta in appendice e trascrizione di una minuta di una lettera di Irma a Montale databile al 21 febbraio del 1935 (grassetto mio):

I think you believed you were making everything plain to me, while making nothing plain. You said: give me 6 months to make this difficulty straight. Even a year. That was quite easy to do. You were never going to tell me that you knew it was impossible? Here’s the situation: a hysterical woman threatens to commit suicide and so holds two other people’s lives in suspense as long as she may live. One of them chooses to accept this, the other simply hasn’t any choice. Anything may happen to this other, it will be bearable so long as SHE doesn’t threaten to commit suicide.

There are four alternative solutions, but only one of them saves two people. The others ruin two. Or else we might all three kill ourselves and put an end to talk. I love you, worse luck. Anything you do to hurt yourself, you do equally to me. I cannot bear this unheroic, almost ludicrous sorrowful life we lead, but I see that it’s too late now to mend. I only wish you had treated me more like an intelligent person, in this situation with you, and capable of sharing (rather, entitled to share) everything that happened in it or concerned it. (p. 278).

Tra il 1936 e il 1938 Montale e Irma Brandeis non si scambiano più lettere; nell’agosto del 1979, in uno scritto intitolato Al lettore da I.B., Irma ricorderà questi anni con toni duri: «In 1934 I returned to Florence, and learned for the first time of Mosca’s existence. From the moment she learned of mine, and that we wanted to marry, she was implacable. She promised to kill herself. Her love for him saw no reason not to torture him – and so she did. She wrote me a vile letter which I hope to attach to these others. She forced him to write a parting letter – and he did so, warning me of it beforehand and asking me to disregard it, to understand it as necessary to prevent her death» (p. 280).

Negli anni del ricordo dolce e nostalgico della defunta Mosca, affidato a Satura, il pensiero di Clizia-Irma non abbandona però il vecchio poeta, che scrive nel 1981 un ultimo biglietto alla donna, definita come Goddes e my divinity.

Irma,

you are still my Goddes,

my divinity. I prie for you,

for me. Forgive my prose.

Quando, come ci rivedremo?  (p. 156)

Ti abbraccio

Cortocircuiti tra lettere e poesie: due casi celebri

Lo studio delle missive e la lettura di alcune di queste in classe ha permesso anche di comprendere a fondo dei componimenti che, senza questo retroterra, risultano difficili da interpretare, in quanto privi, per utilizzare le parole di Montale, «dell’occasione-spinta». Prendiamo, a titolo di esempio, il sesto mottetto, La speranza di pure rivederti…, incluso in quello che Montale ha definito il suo «romanzetto autobiografico»: il finale enigmatico, con la terzina, tra parentesi, «(A Modena, tra i portici, / un servo gallonato trascinava / due sciacalli al guinzaglio)», riceve nuova luce da alcune lettere, scambiate tra il 1934 e il 1935, in cui Montale segnala l’apparizione di flaconi, porcospini, porcellini d’India; si veda quella 14 novembre 1935:

Darling gattino,

Beautiful and gentle fingered Goddess, new animals in sight. The little porcupine in the cage, near il mercatino di San Piero. He is brown, soft (?), with nice fingers and toppin dark eyes. […]

Two falcons in Piazza San Firenze. Young, red and brown, in love with outside dogs and one’s another. They mix their beaks and drink love like a cocktail. So did once an ugly poet in Via Romana 32 and the other falcon wore bangs, earrings and magnificent eyes (p. 189).

Interessanti interpretazioni, che collegano il bestiario montaliano alle poesie, ma anche a un racconto A Lady alone di Irma Brandeis, sono presenti nell’articolo di Giovanni Palmieri, Due sciacalli in chiaro? Montale e il VI mottetto: convincente, a mio avviso, è l’associazione di Montale e Brandeis ai due sciacalli, tenuti al guinzaglio dal «servo gallonato» Tanzi. Scrive Palmieri: «che il poeta sentisse Drusilla, la Mosca, come un guardiano sia prima che dopo la separazione da Irma, è confermato da alcuni versi abbastanza noti. In Satura, ad esempio, possiamo leggere nella quinta poesia:

Non ho mai capito se fossi io

il tuo cane fedele incimurrito

o tu lo fossi per me» (G. Palmieri, Due sciacalli in chiaro? Montale e il VI mottetto, «Griselda online», 20, 1 | 2021, p. 173).

Le lettere, in questo caso, costituiscono una fonte interessante per interpretare in modo corretto alcuni testi che, senza questi riferimenti biografici, risultano enigmatici; come ammise d’altra parte Montale stesso in una lettera a Glauco Cambon in merito alla propria lirica: «Io parto sempre dal vero, non so inventare nulla» («Giorno e notte» (1962), in E. Montale, Il secondo mestiere. Arte, musica, società, a cura di G. Zampa, Milano, Mondadori, 1996, p. 1499).

Anche la poesia Il sogno del prigioniero, ultimo testo de La bufera e altro, riceve un nuovo piano di lettura leggendo le missive a Clizia; come sottolineano Scaffai e Campeggiani nell’edizione commentata della terza raccolta, «la condizione descritta nella poesia può essere messa in relazione però anche con il livello biografico, come suggerisce in particolare l’epistolario montaliano» (E. Montale, La bufera e altro. Edizione commentata da I. Campeggiani e N. Scaffai, Mondadori, Milano 2019, p. 383). Nella lettera del 31 luglio 1938, infatti, Montale scrive alla Brandeis: «I have a terrible enemy to fight in myself, in that sense of self destruction who strikes me, who kills me, who compels my life in an iron-box of a few inches» (Lettere a Clizia, cit., pp. 225-266); a completare il quadro, in una missiva del 14 novembre 1938, Montale introduce l’immagine della reclusione «in the cellar», che rimanda alla cella, ma è interessante (e decisiva per far interagire lettere e poesia) la presenza, in quella stessa lettera, del duplice ruolo di lamb e butcher («I was the lamb and everyone thought that I was the butcher», p. 256), che può ricordare il gioco di parole sul farcitore e farcito presente nel Sogno del prigioniero: «e ancora ignoro se sarò al festino / farcitore o farcito» (vv. 32-33).

Contro Clizia, a murderess: le lettere tra Brandeis e Contini

Se le lettere illuminano occasioni e chiariscono allusioni presenti nella produzione montaliana, questo puzzle ha ricevuto l’aggiunta di una nuova (e, aggiungo, fondamentale) tessera dalla pubblicazione, nel 2015, delle lettere scambiate tra un’anziana Irma Brandeis e Gianfranco Contini, amico e studioso della poesia di Montale. Per la prima volta nella letteratura italiana, ci troviamo infatti di fronte a una musa che si svincola dal suo senhal, accusando il poeta di averla associata a una assassina (murderess nelle lettere). Proficua è l’analisi in classe della lettera del 22-23 maggio 1985, in cui un’ottantenne Clizia scrive (grassetto mio):

Dear Gianfranco Contini,

If I had so beautiful a name I would permit no nicknames, or other forms of address. As for me, I must certainly not be called Clizia. I have spent sleepless nights codifying the reasons why I am not she. But in the end there is one that holds and always makes me shudder. Clizia, ever-faithful to her love, was a murderess. I think the whole story suits better someone else. I am tired of reading that C. was an American who went back to her own country. I did not want to go. (I. Brandeis, G. Contini, «Questa stupida faccia». Un carteggio nel segno di Montale, Archinto, Milano 2015, p. 24).

Dopo la lettura di questa missiva, si possono vedere con altri occhi alcuni testi analizzati in classe, comela celebre Primavera hitleriana, in cui Montale crea il mito di «Clizia-Cristofora, votata a ripetere un’Incarnazione laica, e cioè a rappresentare il collegamento con la dimensione terrena – e civile – dei valori della cultura, di valori cioè non religiosi, ma innalzati dalla personale mitologia di Montale a un livello quasi religioso» (P. Cataldi, Montale, Palumbo, Palermo 1991, p. 41). Ma questo significa raccontare qualcosa, forse, di parziale, perché la Clizia che emerge dalle lettere rifiuta questa identificazione, si svincola dalle interpretazioni sulla sua figura o, forse, aggiunge elementi che ce la fanno apparire più umana e meno musa.

Interessante è infatti la risposta sul senhal Clizia da parte di Contini, che negli stessi anni de La bufera e altro aveva pubblicato un’edizione delle Rime di Dante citata nell’epigrafe che precede La primavera hitleriana; il filologo, dopo aver chiamato Irma Brandeis Clizia, scrive: «Mi sento di difenderlo (Montale, n.d.r.) di averLa chiamata cripticamente Clizia. Non pensava a Ovidio, ma ai versi (danteschi? Nelle mie Rime di Dante, 1939, “il non mutato amor mutata serba”, indipendentemente dai cambiamenti di luogo, e di situazione, cosa che, ne sono persuaso, valeva soprattutto per lui). Nella bibliografia, compresa la mia, è un modo rispettoso di nominarLa senza nominarLa» (p. 30).

Ma le giustificazioni di Contini non bastano alla dantista, che ribatte nella lettera del 1 agosto 1935 (grassetto mio):

I wanted to answer you about the name Clizia. When I wrote you I knew the sonnet and the line that led E.M. to choose that name. Indeed, I only learned who Clizia was from your foot-note: my translated Ovid calls the lady Clytie. But I did learn who she was, and the name remains for me somehow an irony. In any case it is not mine; I was never called by it nor could have been; it belongs only to a figure of poetry. And that is why I wrote you as I did. (p. 33).

Una delusione necessaria?

Le lettere di Montale a Irma Brandeis e quelle scambiate tra l’anziana donna e Contini sono la conclusione, inaspettata, di una delle storie d’amore letterarie più affascinanti della letteratura italiana: leggerle insieme alla classe e alla collega di inglese, che è riuscita a far ragionare gli studenti sul lessico delle emozioni e sugli appellativi che Montale riserva alla sua musa rappresenta, a mio avviso, un approfondimento non superfluo, ma volto a indagare al meglio il rapporto tra poesia e dato storico, concreto.

L’immagine di Montale-uomo, dall’analisi di alcune missive, ne esce con le ossa rosse: irrisoluto, bugiardo, incapace di decidersi a lasciare Drusilla Tanzi, egli risulta l’opposto del poeta ufficiale dell’Italia del secondo dopoguerra; Clizia, al contrario, da oggetto statico della passione amorosa, assurge a donna decisa, bisognosa di risposte, dotata di un’intelligenza acuta e di una squillante ironia.

Dopo aver ricevuto la copia del volume Eugenio Montale: immagini di una vita, scrive infatti a Contini svincolandosi, per l’ennesima volta, dal suo senhal: «I hope you are sure that I do not like the publicity that has followed the identification of I.B. I did not want the identification to occur (because E.M. did not) and disliked the publicity because it invited misreading of the poems. I hope you are sure that I know that Clizia is a figure of poetry, not of life. (When I complained to you that she was an unfortunate choice, it was not because I thought of the myth as reflecting on me, but on the lady of the Clizia poems) (I. Brandeis, G. Contini, «Questa stupida faccia, cit., p. 41).

Un bilancio di lettura

Si è trattato, davvero, di una misreading of the poems? Oppure questa resa dei conti dopo la morte del poeta va limitata a chiacchere e pettegolezzi che non cambiano la sostanza di componimenti ormai divenuti immortali? Le Lettere a Clizia dovrebbero rimanere confinate nel chiuso dei seminari montaliani e nelle letture di specialisti oppure sarebbe interessante proporne una scelta anche nelle storie della letteratura del quinto anno?

Pur nel tentativo di non assolutizzare un’esperienza personale, devo ammettere che la lettura di questi brani scelti ha incuriosito e affascinato molto gli studenti; il genere epistolare, specie nel caso in cui non venga condizionato da esigenze legate alla pubblicazione, risulta ancora capace di consegnarci aspetti dell’autore preziosi e utili alla comprensione globale dell’opera. Ha consentito, inoltre, di ragionare sul legame tra letterato e uomo e di interrogarci sul rapporto tra statura intellettuale e morale di un autore; le medesime riflessioni su Montale possono essere infatti applicate, per esempio, a Pirandello, d’Annunzio, Pasolini e altri letterati del Novecento.

Ma, soprattutto, questo focus sulle lettere ha illuminato, più di Montale, Irma Brandeis-Clizia, uno delle donne, a mio avviso, più interessanti del Novecento; messe per un attimo in secondo piano le polemiche sul suo senhal, credo che Contini abbia ben sintetizzato il ruolo di Irma Brandeis, definendola una donna «di eccezionale valore umano, di squillante intelligenza e di ilare, nonostante tutto, umorismo»: insomma, non possiamo che essere concordi sul fatto che «Clizia […] era ben degna di essere Clizia» (F. Contorbia, Eugenio Montale: immagini di una vita, Mondadori, Milano 1996, p. XII).

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