Insegnare italiano tra secondaria di primo e secondo grado: stereotipi, riflessioni e buone pratiche
Questo articolo nasce da una domanda: è la domanda che mi ha fatto Lorenzo, uno studente intelligente e piuttosto allegro della mia seconda delle scienze applicate, non particolarmente amante delle humanae litterae ma con un buon rendimento anche nelle mie materie. Stiamo leggendo il libro IV dell’Eneide, e al verso “L’Aurora seguente illuminava le terre” ci interroghiamo sull’uso della maiuscola per un nome comune e riprendiamo il concetto di personificazione. A quel punto, Lorenzo alza la mano e, senza altri preamboli, mi chiede il significato del termine “aurora”. Ho risposto con lo stesso tono morbido con cui avrei spiegato il termine “geremiade” e mi sono ripromessa di riflettere sulla questione, unendo questo episodio alla chiacchierata di qualche giorno prima con una collega sorpresa dal fatto che più di metà della sua prima classe dichiari di non aver studiato l’analisi logica alla secondaria di primo grado; ai lavori di scrittura dei miei studenti del biennio, in cui abbondano correzioni ortografiche e ripetizioni evidenziate con i colori per renderle ben visibili; alla verifica di storia, in cui ho letto che Nerone aveva un laghetto nel cortile; a Luca, che cercava sul dizionario di italiano un sostantivo al plurale e dichiarava che mancasse la parola. Interrogarsi, interrogare, leggere, scardinare convinzioni (le proprie, in primis). Rendere comprensibile, affrontare la complessità, spalancare porte e aprire strade. Educare a lungo termine. Sono questi, i miei doveri di insegnante.
La secondaria di primo grado: chiudere il primo ciclo
Sono fermamente convinta che l’obiettivo più alto di tutto il percorso della secondaria di primo grado sia quello di formare “teste ben fatte”: dare strumenti, insegnare strategie, avviare all’autonomia, sviluppare spirito critico, sostenere la capacità di farsi domande e cercare risposte, esplorare i diversi campi del sapere, accendere la curiosità.
La prima attività essenziale è quella del laboratorio di lettura e scrittura. Partiamo dalla lettura, un tema che è stato affrontato da Linda Cavadini ed Emanuela Bandini al convegno di LN a Palermo (qui il link alla relazione). Sono le stesse Indicazioni nazionali, vera e propria bussola per progettare l’attività didattica, a mettere al centro la lettura, e non solo quella connessa allo studio, ma anche quella che si pratica per piacere, per il gusto estetico. Non tutti gli studenti e le studentesse hanno familiarità con i libri: trovare biblioteche di classe ricche e varie, avere qualcuno che ti fa dono della lettura ad alta voce e dedicarci del tempo in maniera sistematica rendono la nostra esperienza a scuola democratica e inclusiva. Le Indicazioni nazionali, inoltre, evidenziano la necessità di sviluppare strategie e tecniche che favoriscano la comprensione e che rendano la lettura efficace: osservare un testo da vicino, imparare dai maestri, comprendere il contenuto, interrogarsi su quel contenuto, collegarlo a conoscenze pregresse e alla realtà attivano il cervello di lettrici e lettori, insegnando loro modalità che poi potranno replicare in numerosi altri ambiti di studio. Tutte queste azioni plasmeranno quelli che chiamiamo lettori per la vita.
Le Indicazioni nazionali, infine, sottolineano che educare alla lettura sia compito di tutto il consiglio di classe, non solo dell’insegnante di lettere: trovo questo aspetto lungimirante e rivoluzionario, e allo stesso tempo poco considerato e ancor meno applicato. Portare riviste specializzate, presentare un romanzo o un saggio che si colleghino al tema che si sta affrontando, scegliere di esplorare testi “alternativi” come le graphic novel o le poesie anche per parlare, per esempio, di questioni ambientali o tecnologiche, sono pratiche semplici, ma che realizzano pienamente questa direttiva delle Indicazioni Nazionali. In più, considerare l’allenamento alla lettura una responsabilità condivisa tra professori a righe e professori a quadretti potrebbe essere il trait d’union tra i dati ISTAT che affermano che i lettori più forti sono le ragazze tra gli 11 e i 14 anni e i numeri ancora relativamente bassi di iscrizioni femminili ai percorsi universitari dell’ambito scientifico. Aggiungo alle riflessioni emerse finora che leggere allena all’ascolto e alla concentrazione, capacità quanto mai da potenziare in un mondo che corre alla velocità di uno scroll.
La scrittura ricopre un ruolo altrettanto significativo: richiede tempi distesi, riflessione, pazienza, metacognizione. Scrivere è un’attività certosina, che insegna la cura del labor limae e l’importanza del processo, oltre che del risultato: è di fondamentale importanza, secondo il mio punto di vista, che gli scrittori e le scrittrici della secondaria di primo grado approdino alle superiori con la consapevolezza che scrivere non è un atto da invasati, ma una tecnica; che non tutti saremo Stephen King, ma che tutti possiamo imparare a comunicare per scritto in modo corretto ed efficace.
Il laboratorio di scrittura va visto come un vero e proprio allenamento, alla pari di quello di lettura: poco, ma tutti i giorni. Con la pratica, le due attività finiranno per legarsi indissolubilmente e studenti e studentesse diventeranno sempre più abili a leggere con lo sguardo di chi è anche scrittore e a scrivere alternando le prospettive. Per realizzare questo obiettivo, credo che sia imprescindibile e preziosa l’esplorazione della varietà di generi e di tipologie testuali: in questo modo, si scardina l’idea di una lingua monolitica e solo dogmatica e si impara a usarla con consapevolezza sempre crescente, interrogandosi sullo scopo, sul destinatario, sulla struttura, sulle scelte lessicali. Insomma, non è del tutto vero che non si iniziano le frasi con “ma”: vogliamo parlare del potentissimo “Ma” pascoliano in Novembre? La chiave di tutto risiede nell’approccio laboratoriale: è la modalità “bottega” che fa davvero la differenza.
In questo quadro, deve trovare spazio anche la riflessione sulla lingua: le stesse Indicazioni nazionali lo richiedono. La vera domanda è come. Assolutamente prioritario nel primo ciclo è secondo me il lavoro sull’ortografia (alla primaria, soprattutto), sul lessico, sui registri linguistici, sulla classificazione delle parole nelle diverse parti del discorso; del tutto secondario, invece, è dedicare memoria e risorse alle minuzie teoriche e alla tassonomia esasperata: i manuali andrebbero alleggeriti, rivisti, popolati di esercizi che richiedano di fare i conti con i vari contesti comunicativi e con la scrittura, che lavorino in modo funzionale. Inoltre, è importante che alla secondaria di primo grado si affronti l’analisi della frase semplice e complessa: si tratta infatti di una grande palestra di ragionamento, ciò che fornisce a studenti e studentesse gli strumenti per trasformare un loro pensiero più o meno articolato in una frase chiara ed efficace. Infine, la riflessione sulla lingua non può fare a meno di tenere in considerazione la propria lingua e quindi di accompagnarsi a un lavoro di metacognizione: riconoscere i propri errori tipici, costruire liste di controllo personalizzate e autocorreggersi sono processi capaci di rendere l’apprendimento significativo.
Lo studio della grammatica è oggetto di grande dibattito e mette in difficoltà anche me, devo confessarlo; la mia (breve) esperienza sui due ordini di scuola mi porta a credere che il grado in cui andrebbe frequentato di più (azzardo: addirittura esaurito) è proprio la secondaria di primo grado: conoscere il codice comune della comunicazione è la chiave di accesso a tutti i contesti d’uso e alla realtà.
Includo nel primo ciclo la necessità di diventare abilissimi nell’uso del vocabolario, cartaceo e digitale: mettere in ordine alfabetico le parole, essere capaci di leggere e capire l’entrata di un dizionario è un requisito fondamentale, che va appreso ben prima di arrivare al liceo.
E la letteratura? A tal proposito, occorre distinguere tra la letteratura intesa in senso ampio e la storia della letteratura. Alla prima, si spalanchino le porte: nella bottega dei lettori e degli scrittori che è ogni classe abbondino gli esempi di letteratura di qualità, adatti all’età di riferimento, letti per quanto possibile in forma integrale, in autonomia e/o ad alta voce. Non devono mancare, inoltre, le occasioni di confronto: l’insegnante propone testi modello a seconda delle strategie di scrittura o lettura su cui vuole lavorare e prevede momenti in cui studenti e studentesse possano interagire e parlare di libri, sfruttando la potentissima arma del contagio e mettendo in atto le competenze sociali.
Sulla storia della letteratura, invece, mi sento di essere più cauta: inserirei opere “storiche”, ma sempre nell’ottica laboratoriale di cui abbiamo parlato sopra, sempre partendo dai testi e sempre lavorandoci per leggerli in profondità. Secondo il mio punto di vista, è del tutto inutile che studenti di dodici anni studino tramite semplificazioni e banalizzazioni la poetica del fanciullino o il pessimismo leopardiano e poi non riescano a comprendere un testo adatto alla loro età o a produrre uno scritto chiaro e ben organizzato. Non a caso, la storia della letteratura non è citata nelle Indicazioni nazionali.
In conclusione a questa prima sezione, mi pare importante ricordare che la secondaria di primo grado appartiene alla scuola del primo ciclo non a caso: il suo compito è chiudere un percorso di base, fornendo strategie ed esplorando i diversi campi del sapere, per sostenere i ragazzi e le ragazze nella scoperta di sé, delle proprie inclinazioni, dei propri interessi, in linea con il loro percorso evolutivo. Lo studente ideale che si affaccia alla secondaria di secondo grado dovrebbe essere allenato all’ascolto e alla concentrazione, saper prendere appunti a un livello iniziale, avere competenze sociali allenate; essere capace di comprendere a fondo testi adatti alla sua età, conoscere il processo di scrittura e saper produrre un testo semplice, ma chiaro e ben organizzato; saper sostenere un’opinione e un ragionamento non complesso, ma strutturato in modo efficace. Con questa cassetta degli attrezzi, il passaggio alla scuola nuova richiederà solo un fisiologico periodo di assestamento.
Il biennio della secondaria di secondo grado: aprire un nuovo ciclo
Analizzando le Indicazioni nazionali per i licei, tra i vari aspetti che suscitano la mia riflessione c’è la comparsa di direttive specifiche sulle opere da presentare in classe: al liceo (del quale scrivo non per snobismo, ma perché è la scuola in cui insegno e di cui ho esperienza) gli insegnanti di lettere sono tenuti ad avviare lo studio della letteratura, partendo dai testi e dagli autori della classicità letti in traduzione, passando per I promessi sposi – sui quali torneremo – e per “altre letture da autori di epoca moderna, anche stranieri”, approdando infine agli albori della letteratura italiana. Oltre a questo aspetto, le direttive ministeriali richiedono di mantenere la riflessione sulla lingua nel biennio e la scrittura e la lettura in tutto in quinquennio.
Ripartiamo dalla lettura, dunque. Nelle mie classi ho deciso di proporre la pratica che avevo ampiamente sperimentato alla secondaria di primo grado: il quarto d’ora di lettura, un momento in cui tutti e tutte (io compresa) leggono qualcosa scelto in autonomia. Alle medie lo facevo quotidianamente, mentre al liceo ho deciso di pianificarlo con cadenza settimanale in ragione del monte ore decisamente più ridotto. Non sono previste punizioni per chi dimentica il libro: l’importante è che in quel momento tutti leggano. Per ovviare al problema e per garantire un’offerta di qualità, generalmente quel giorno porto con me dei libri, gli ultimi due numeri di “Internazionale” e a volte qualche rivista come “Scienze” o “Storica”: dedico qualche parola iniziale ai libri o a un articolo interessante, poi imposto il timer e cala il silenzio. Lo scorso anno scolastico ha visto il mio passaggio al liceo e sono rimasta spiazzata dal livello di disaffezione alla lettura emerso da un sondaggio iniziale nelle mie due seconde (scientifico, scienze applicate) e sorpresa dal fatto che non tutti i miei studenti riuscissero a reggere un quarto d’ora di lettura silenziosa e autonoma: per questo secondo problema è bastata qualche settimana di allenamento (proprio come nello sport!) e alla fine tutti hanno raggiunto l’obiettivo.
In abbinamento al tempo dedicato alla lettura, mi sembra significativo creare occasioni per parlare di libri: un book speed dating, un momento dopo la lettura in cui qualcuno racconta alla classe un passaggio interessante (all’inizio tocca all’insegnante fare da modello, ma con la pratica anche i ragazzi e le ragazze imparano a fare interventi mirati e calzanti) o la presentazione – più o meno spontanea – di un libro; lavorare alla recensione (quest’anno in abbinamento alla fantascienza) come avvio al testo argomentativo. Sul fronte della lettura, quindi, vedo la necessità di fare scelte in continuità tra secondaria di primo e di secondo grado e così anche per la scrittura. La competenza linguistica non è immediata e ha davvero bisogno di cura, di esercizio, di ricorsività, di allenamento: studenti e studentesse devono lavorare alla lettura e alla scrittura con frequenza e sistematicità fino alla fine del primo biennio delle superiori. Almeno in linea teorica, con l’arrivo in terza certamente queste attività non spariscono, ma si dovrebbero delineare nuovi equilibri rispetto alla letteratura, che sia trattata per temi o in linea cronologica: se fino a questo punto non si è studiata la letteratura, ma letta la letteratura, dal triennio in poi l’esegesi di un testo letterario diventa la priorità assoluta e il laboratorio di lettura e scrittura si mette alla stregua di quel percorso. Un esempio interessante di letteratura “storica”, declinato sui due ordini di scuola secondaria e per le superiori distinto tra biennio e triennio, è quello offerto dall’intervento di Trombetta, Lo Vetere e Contu al convegno di LN a Palermo (qui il link alla relazione).
Riflettendo sulla letteratura, occorre prendere posizione su I promessi sposi: la lettura “s’ha da fare”, perché è prevista dalle Indicazioni nazionali. Il nodo della questione sta nel come, nel quanto e soprattutto nel perché. Personalmente, ritengo che quest’opera sia davvero sfidante per i ragazzi e le ragazze di seconda, prima di tutto perché la lingua è lontana e spesso difficile, poi perché il romanzo è molto lungo e la vicenda non così vicina a loro. Per renderla accessibile e per mettere al centro studenti e studentesse e il testo letterario, credo che l’unica strada sia la lettura in classe di una selezione di passi, accompagnata da un minuzioso lavoro di scioglimento delle difficoltà di comprensione, di negoziazione dei significati e di costruzione – realizzata per lo più tramite attività di scrittura – di collegamenti tra il romanzo e altre opere, la contemporaneità, il vissuto degli studenti e le loro conoscenze pregresse (a questo proposito, ho trovato interessanti, e vi invito a leggerli, gli spunti emersi dal laboratorio Tra narrazione e argomentazione del convegno di LN a Palermo – qui il link alla relazione). Inoltre, la vicenda editoriale dell’opera rappresenta una buona occasione per riflettere sul processo di scrittura e consente un affondo nella filologia e nella storia della lingua italiana. Qualunque sia la rosa di testi che l’insegnante sceglierà di affrontare, il fatto che ragazzi e ragazze abbiano già incontrato Renzo e Lucia alla secondaria di primo grado è del tutto irrilevante, anzi: a patto di partire dai testi e non dai quadri teorici, quando lettori e lettrici non conoscono la storia, la seguono inevitabilmente con maggiore interesse.
In questo quadro, quale spazio riservare alla riflessione sulla lingua? L’anno scorso lavoravo solo con classi di scienze applicate e ben presto ho avuto la percezione che per quegli studenti e studentesse fosse mediamente più urgente investire tempo e risorse su lettura, scrittura e lessico, per quanto le loro conoscenze grammaticali fossero piuttosto eterogenee. In questa prospettiva, forse occorre davvero distinguere: per il percorso ordinamentale dello scientifico e per gli altri licei che prevedono lo studio del latino, la grammatica italiana sia nei suoi aspetti teorici sia in quelli funzionali è imprescindibile e deve procedere di pari passo con lo studio della lingua classica; negli altri licei, forse vale la pena seguire un percorso di grammatica più snello, che insista sugli aspetti funzionali e lavori in stretta connessione con il laboratorio di lettura e scrittura. L’elemento comune va individuato nella grammatica valenziale, che consente di trovare un modello spendibile sia nell’analisi della frase semplice e complessa in italiano e in latino, sia nella scrittura.
Un altro tema sul quale mi interrogo è il peso da attribuire nel biennio all’Esame di Stato: se è vero che tutti dovranno affrontarlo, è anche vero che la strada per arrivarci è lunga e che non può ruotare tutto – soprattutto la scrittura – attorno al modello della prima prova: in questa prospettiva, ritengo che sia un bene, per esempio, lavorare al testo narrativo anche in produzione. Allo stesso modo, considero arricchente e stimolante leggere testi non italiani anche in poesia: che senso ha evitare l’incontro con Wislawa Szymborska solo perché non scrive in italiano? Anzi, non è prezioso proporre autori e autrici che difficilmente s’incontrano al triennio? Come abbiamo visto, sono le stesse Indicazioni nazionali ad aprire l’esplorazione della letteratura alle opere straniere. Una buona strategia potrebbe essere rendere consapevoli studenti e studentesse del tassello linguistico che perdiamo leggendo un testo in traduzione, siano poesie contemporanee o i testi classici del percorso di epica: chi studia latino sicuramente ci farà i conti nel triennio, ma gli altri? Nella mia seconda delle scienze applicate di quest’anno, per esempio, insieme alla collega di inglese faremo un’attività incentrata sulla figura (spesso dimenticata) del traduttore, lavorando su alcune poesie inglesi e sulle scelte compiute da diversi traduttori. Il percorso di lettere del biennio ha quindi il compito di consolidare le basi costruite in tutto il primo ciclo di istruzione, mantenendo e potenziando l’allenamento alla lettura profonda e alla scrittura e aggiungendo un primo livello di strumenti di analisi di un testo letterario. Il tutto, facendo i conti con l’adolescenza che esplode, con le sue domande prepotenti sull’identità, sui valori e sulle scelte di vita: una bella risorsa per avvicinarsi alla letteratura, per appassionarsi, per perdersi e ritro
Articoli correlati
Comments (2)
Lascia un commento Annulla risposta
-
L’interpretazione e noi
-
Particolarismo identitario e impotenza trasformativa. Considerazioni sul libro di Mimmo Cangiano
-
Sul merito dell’intellettuale. Uno studio preliminare su neoliberalismo, conoscenza e forza-lavoro
-
Legami di Eshkol Nevo: un viaggio tra cuori affamati
-
Un monito per il presente: l’antimilitarismo di Francesco Misiano
-
-
La scrittura e noi
-
“Luce d’estate ed è subito notte”: bagliori di latino nel cielo d’Islanda
-
La “donna di Contorno”: su Adelaida di Adrián N. Bravi
-
Linda
-
Su “Il sessantotto e noi” di Romano Luperini e Beppe Corlito
-
-
La scuola e noi
-
Insegnare italiano tra secondaria di primo e secondo grado: stereotipi, riflessioni e buone pratiche
-
Glutammato di Sodio
-
Ecce infans. Diseducare alla pedagogia del dominio
-
Dalle conoscenze, alle competenze, all’affettività: utopia o distopia di una professione?
-
-
Il presente e noi
-
Il convegno di LN: i laboratori/3. Leggere la poesia d’amore medievale nella secondaria di primo e di secondo grado
-
Il convegno di LN: i laboratori/2. Tra narrazione e argomentazione
-
Il convegno di LN: i laboratori/1. Oltre le ideologie del digitale
-
Il convegno di LN: le relazioni/3. La formazione docenti (di letteratura) iniziale e in itinere
-
Commenti recenti
- Matteo Zenoni su Insegnare italiano tra secondaria di primo e secondo grado: stereotipi, riflessioni e buone praticheGrazie del bellissimo articolo, che mi fa sentire meno solo nel difficile agone di insegnare…
- Alessandra Felici su Insegnare italiano tra secondaria di primo e secondo grado: stereotipi, riflessioni e buone praticheRiflessioni importanti che mi trovano molto vicina al pensiero di chi scrive.
- Ennio Abate su Luperini-Corlito, Il Sessantotto e noiNon ho letto il libro di Luperini e Corlito ma avevo letto (e mi sono…
- Giuseppe Muraca su Su “Il sessantotto e noi” di Romano Luperini e Beppe CorlitoPer rimanere nel tema, Pisa è stato uno dei grandi centri del rinnovamento politico e…
- Roberto Bugliani su Su “Il sessantotto e noi” di Romano Luperini e Beppe CorlitoA mio avviso, un ulteriore elemento da valutare (che, basandomi almeno per il momento su…
Colophon
Direttore
Romano Luperini
Redazione
Antonella Amato, Emanuela Bandini, Alberto Bertino, Linda Cavadini, Gabriele Cingolani, Roberto Contu, Daniele Lo Vetere, Morena Marsilio, Luisa Mirone, Stefano Rossetti, Katia Trombetta, Emanuele Zinato
Caporedattore
Roberto Contu
Editore
G.B. Palumbo Editore
Riflessioni importanti che mi trovano molto vicina al pensiero di chi scrive.
Grazie del bellissimo articolo, che mi fa sentire meno solo nel difficile agone di insegnare italiano.
Sono riflessioni che condivido, ma ho la sensazione che, con 4 ore al biennio, la coperta sia sempre troppo corta. Andrebbe, a mio avviso, promossa anzitutto una maggiore collaborazione tra i due cicli di istruzione e, nel secondo ciclo, progettare un curriculum verticale di lettura e scrittura sui cinque anni, prevedendo per la letteratura anche un anticipo di autori e testi chiave già al secondo anno. Fare meno, ma fare meglio, insieme ai ragazzi, perché ormai assegnare attività da svolgere a casa in autonomia è diventato rischioso è inefficace, dal momento che le competenze di base, ahimè, sono sempre più incerte.