Il voto amministrativo, lo strano effetto Schlein e l’apoteosi del capo
È complicato trarre un giudizio complessivo sul voto amministrativo del 14 e 15 maggio e sui successivi ballottaggi. La prima ragione è che il voto amministrativo è poco comparabile con quello politico, data la dimensione locale del primo e quella nazionale del secondo. Quindi è difficile farsi un’idea del trend rispetto alle elezioni del 25 settembre scorso. La seconda, che rischia di configurare una sorta di omissis, è che scarseggiano le fonti: cioè non sappiamo come siano andati i partiti nelle ultime amministrative. Tutte le fonti giornalistiche e mass mediali sembrano tacere questo dato, compresa la fonte ufficiale massima, il «Dossier del Ministero degli interni» del maggio 2023, che contiene tutti i dati, comprese le serie storiche, che sarebbero molto utili allo scopo. L’unico giornale che azzarda una valutazione è «La Repubblica», negli ultimi anni vicino al PD. Il numero del 16.5.2023 scrive: «Fratelli d’Italia resta saldamente primo partito nel centrodestra, mentre la Lega resiste solo in alcune roccaforti del Nord e Forza Italia arriva ai minimi storici in molti centri, ma primeggia ad esempio a Brindisi. Sul fronte opposto il Partito democratico segna una ripresa mentre il Movimento 5 stelle non riesce ad arrivare a doppia cifra in nessun grande Comune al voto». I 5 Stelle sono sotto il 5% quasi dappertutto. Il dato confortante per il PD aveva provocato una dichiarazione ottimistica della neo-segretaria, Elly Schlein, che ha dovuto tristemente (e forse con un eccesso di pessimismo) ammettere una “netta sconfitta” nel ballottaggio successivo, dove il PD guadagna solo uno dei 6 capoluoghi di provincia dove si votava, Vicenza, riuscendo a perdere, dopo la “storica” regione Marche, anche Ancona. La destra, che governa il paese, si aggiudica oltre Brindisi, Catania e i tre capoluoghi toscani contesi (Massa, Pisa e Siena), già amministrati dalla destra, dopo essere stati per 70 anni roccaforti della sinistra. Secondo i sondaggi citati dal PD, per quello che contano, questo partito sarebbe salito dal 15 al 21% dei potenziali elettori.
Nell’articolo di analisi del voto politico del 25 settembre avevo segnalato tre livelli di lettura principali, che motivavano la vittoria di Fratelli d’Italia, consegnando alla destra una netta maggioranza in entrambe le Camere: la crescita rilevante dell’astensionismo, la legge elettorale maggioritaria con un premio “occulto” alle coalizioni, la distribuzione territoriale del voto. Tutte e tre queste caratteristiche sono confermate nel voto amministrativo, pur nella disomogeneità territoriale dei votanti. Va sottolineato che si trattava di un “campione significativo”: si è votato in 595 comuni, per un totale di 4,5 milioni di votanti.
L’astensionismo è la questione principale
L’astensionismo si conferma la questione principale, il sintomo cardine della crisi della democrazia italiana all’interno di quella planetaria, con la conseguente crescita della destra xenofoba (ultimo esempio la Finladia). La percentuale dei votanti è ulteriormente calata dal 54,8% delle elezioni del 2022 al 49,61% del maggio 2023. Si conferma la tendenza “americana” di una percentuale di votanti inferiore alla metà del corpo elettorale. Significativa la questione di genere: le donne con il 58% costituiscono la maggioranza degli astenuti. Del resto i candidati alla carica di sindaco sono ancora di gran lunga maschi (80,3 vs. 19.7%); più equilibrata la percentuale dei candidati come consiglieri (57,6 vs. 42,4). Nel prevalente clima sociale e culturale di emancipazione femminile perché le donne dovrebbero andare ancora a votare per un sistema che premia il potere maschile?
Merita appena di segnalare l’effetto distorcente della legge elettorale maggioritaria, che governa il voto dei comuni, a favore della destra, che si è presentata unita pure in questa tornata elettorale (eccetto sporadiche eccezioni). Ricordiamo la polemica ideologica dei sostenitori della nomina del “sindaco d’Italia”, soprattutto dei renziani, che ha presieduto all’improvvida approvazione del Rosatellum, il quale porta la responsabilità “tecnica” dell’affermazione della destra del 25 settembre. La prossima campagna del governo Meloni per la riforma costituzionale del “premierato forte” seguirà lo stesso binario.
Una considerazione specifica deve essere fatta per la distribuzione territoriale del voto, tutta a favore di Fratelli di’Italia da Nord a Sud. Questo è indicativo della prossima resa dei conti nell’ambito della destra, con i conflitti accelerati dalla morte di Berlusconi e dalle lotte per la successione. In Toscana il PD esce sconfitto dappertutto fuori dell’ambito fiorentino, come era accaduto anche per le politiche. Così pure si conferma l’inconsistenza del radicamento territoriale dei 5S, anche al Sud, che pure alle politiche era per loro un bacino di consensi. Ciò, insieme alla preparazione delle prossime europee, dove si vota con il proporzionale, spinge all’accentuazione identitaria del M5S, analoga alla scelta del PD, che in più ha un problema di definizione della linea politica legata al post-congresso, come si è ben visto nella discussione alla direzione del 19.6.2023. Complessivamente, tra i comuni maggiori, 48 vanno alla destra, 32 al centro sinistra, 14 alle liste civiche, 7 a liste altrimenti classificate e solo 2 al M5S.
Lo strano “effetto Schlein”
Ancora una volta lo schieramento della destra è stato avvantaggiato dalla propria compattezza. A sinistra sia il PD che il M5S non sembrano voler imparare la lezione con una caparbietà degna di miglior causa. Ciò merita una riflessione: sulla divisione di quello che potrebbe essere il fronte democratico e antifascista, qui più volte da me sostenuto, pesa sinistramente l’organizzatore primario della politica (e della geo-politica) odierna: la guerra. Al di là delle divisioni sulla questione ecologica, in particolare quella dell’inceneritore romano, che questa volta non ha pesato, ciò che divide i due potenziali partner è l’invio delle armi all’Ucraina e più in generale la corsa agli armamenti e le conseguenti spese militari. Su questo versante Elly Schlein sembra avere una maggior prudenza di quanto si aspettava il popolo dei gazebo, che l’ha eletta alla segretaria del partito contro l’orientamento degli iscritti. I più sostengono che la Schlein è impastoiata dall’apparato del partito, che aveva votato al congresso per Bonaccini, il cui profilo è oggi molto appannato dalla catastrofe dell’alluvione in Romagna. Credo che l’apparato – inteso in senso classico – è un ricordo del passato. Su scala locale il PD è una sorta di comitato elettorale governato dagli amministratori locali. Questo tipo di partito esce sonoramente battuto prima dall’elezione della Schlein e poi dal risultato del voto amministrativo. La neo-segretaria sembra ancora impacciata nella guida del PD, mentre avrebbe tutto l’interesse ad attuare una linea politica più incalzante, abbandonando l’attuale cautela. Fuori del PD mi sembra ci sia una gran fretta di liquidare il cosiddetto «effetto Schlein», che contava sulla sorpresa, contenuto nello slogan «non ci hanno visto arrivare». Questo spiegherebbe anche l’omissis, di cui dicevo all’inizio. L’attuale trasparente successore di Berlusconi al vertice di Forza Italia, Antonio Tajani, si è precipitato a dichiarare che più il PD si sposta a sinistra più perde. È un’affermazione pelosa che tradisce le preoccupazioni della destra e anche del centro, per quanto esiste. È una nuova puntata della antica “bufala” di cui scrive Antonio Floridia, l’esperto di flussi elettorali, per cui la sinistra vincerebbe al centro. In realtà da circa 70 anni, e segnatamente dal “compromesso storico”, il PCI-PDS-PD (ammesso sia possibile il paragone) perdono al centro. Sostengo ancora una volta con forza che si vince solo nell’unità a sinistra. Anzi, se Elly Schlein dimettesse alcuni aspetti della propria leadership, che si prestano all’accusa di essere “radical chic”, e provasse a coniugare la lotta per i diritti civili, unica bandiera residua del PD negli ultimi anni, con quella per i diritti sociali, a cominciare da quelli del lavoro e dello stato sociale, entrambi sotto attacco, ne trarrebbe un indubbio vantaggio, andando a pescare nell’ampia riserva dei delusi dell’astensionismo di sinistra. Vedremo nei prossimi giorni se l’abbraccio tra Conte e Schlein in piazza a Roma alla manifestazione contro la precarietà del 17 giugno e la successiva «agenda in 7 punti per un’estate militante» della Schlein, approvata dalla direzione, rappresentino davvero l’inizio di una svolta.
Dove vanno le spoglie di Forza Italia e quelle di Berlusconi ?
È interessante anche il recente commento di Maurizio Molinari, direttore de «La Repubblica», che esprime quasi un’indicazione. Dopo la morte del fondatore di Forza Italia, un’opzione forte sarebbe l’unificazione di Fratelli d’Italia con quanto rimane del partito-azienda, rinunciando ai legami con il fascismo, in modo da dar vita a un vero partito neo-conservatore, capace di spostare anche gli equilibri europei. Mi sembra più un desiderio che un’ipotesi praticabile e, visto il pulpito da cui viene la predica, rappresenta una versione “avanzata” della soluzione “neo-giolittiana” della grande borghesia europea di “costituzionalizzare i fascisti”, se vogliamo utilizzare il linguaggio di Berlusconi. Mi sembra che ciò contrasti sia gli interessi della famiglia Berlusconi, tutta protesa a tutelare i propri interessi economici, che era il vero obbiettivo della discesa in campo del capo famiglia, sia la difficoltà della Meloni a mollare una fetta rilevante del proprio elettorato, quella nostalgica dell’MSI.
Infine una considerazione sulla spettacolarizzazione della morte di Berlusconi, con l’eccezionale accoppiata di funerali di Stato (disertati dai potenti del pianeta) e di lutto nazionale. Per fortuna una parte importante dell’intellettualità italiana ha avuto il coraggio di ribellarsi, a cominciare dalla Scuola Normale di Pisa. L’uso del corpo del capo, a cui lo scrittore e critico Marco Belpoliti ha dedicato un saggio nel 2009, poi riedito nel 2018, rapidamente ristampato oggi, giunge alla sua apoteosi, una sorta di imbalsamazione virtuale con i maxischermi in piazza Duomo. Nella morte finalmente il corpo e la sua immagine giungono a fondersi nella lontananza cultuale del sacro secondo la lezione di Walter Benjamin. La messa in scena è stata voluta dagli eredi di Berlusconi: quelli del potere dei soldi, la famiglia, e quelli del potere politico, la Meloni. Un’altra prova del regime, che si viene costruendo a nostre spese, trasformati sempre di più da cittadini attivi a spettatori passivi.
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