La scrittura come processo nell’epoca dell’intelligenza artificiale
Un esperimento inquietante
«ChatGTP, ciao»
«Ciao! Come posso aiutarti oggi?»
«Scrivi un testo argomentativo sulle divise a scuola»
«Le divise scolastiche sono un argomento che ha generato molte discussioni e dibattiti tra genitori, studenti e istituzioni scolastiche. Alcune scuole richiedono che gli studenti indossino una divisa scolastica, mentre altre lo lasciano a discrezione degli studenti stessi. In questa sede, esploreremo i pro e i contro delle divise scolastiche.
Uno dei principali vantaggi delle divise scolastiche è che possono aiutare a creare un senso di comunità all’interno della scuola. Quando gli studenti indossano la stessa divisa, possono sentirsi parte di un gruppo, e questo può contribuire a ridurre la pressione sociale e l’esclusione. Inoltre, le divise possono essere un modo per promuovere l’uguaglianza, in quanto tutti gli studenti indossano lo stesso abbigliamento, indipendentemente dallo sfondo socio-economico…».
Prima che il Garante della privacy la bloccasse, in un misto tra curiosità e angoscia, ho provato a chiedere a ChatGPT, l’intelligenza artificiale, di stendere un testo argomentativo sulla controversia delle divise scolastiche a scuola (tipica traccia da biennio delle superiori, ma anche del terzo anno di scuola secondaria di I grado) e devo ammettere che il risultato, a parte qualche goffaggine in gergo giovanile e alcune espressioni stereotipate, è tutt’altro che disprezzabile. Sembrerebbe quindi inutile, a questo punto, richiedere agli studenti di produrre degli elaborati domestici o al computer dal momento che essi potrebbero essere viziati dall’intelligenza artificiale; dopo lo Stato di New York, in Australia le 8 università più famose hanno stabilito che gli esami potranno essere sostenuti solo scrivendo con carta e penna per il timore che i testi consegnati dagli studenti vengano scritti grazie alle straordinarie capacità del bot di intelligenza artificiale.
Calato nel cortile della scuola, dove razzolo quotidianamente, queste notizie hanno creato in me parecchia preoccupazione, specie perché ritengo che la scrittura, sulla scorta delle indicazioni di Luca Serianni, mio maestro de lohn, sia uno strumento di democrazia, che possa consentire una partecipazione alla cittadinanza attiva a prescindere dal percorso universitario e post diploma di ognuno; saper scrivere in un italiano corretto, fluido e ricco è una competenza trasversale, mentre, al polo opposto, alla povertà lessicale ed espressiva corrisponde sempre una povertà di pensiero. Come scrive infatti Serianni nel volume L’ora di italiano. Scuola e materie umanistiche: «La lingua – nel nostro caso l’italiano – è il tramite indispensabile per parlare anche di geologia, di economia o di tecnologie alimentari» non solo di Dante, Petrarca e Leopardi;i occorre quindi indirizzare la didattica, specie del biennio delle superiori, a una rigorosa educazione linguistica, consci delle sfide che la società iperdigitalizzata ci pone e che non avranno sicuramente ripercussioni positive sulle competenze di scrittura, o almeno della scrittura intesa come capacità di esprimere pensieri complessi in italiano corretto. Come docenti dobbiamo armarci, quindi, di strumenti nuovi, utilizzando, a mio avviso, gli strumenti digitali per raggiungere gli scopi che ci prefiggiamo.
Scrivere poco, scrivere spesso
Nel capitolo intitolato Insegnare a scrivere, all’interno del volume «A ME MI». Dubbi, errori, correzioni nell’italiano scritto, Adriano Colombo individua come quinto principio del suo “Decalogo per l’educazione alla scrittura” «occasioni frequenti, anche brevi»; egli nota che, progressivamente, nel corso degli studi «La scrittura “vera”, considerata e valutata come tale, diventa sempre più un’occasione rara (il compito in classe)», dal momento che «l’esecuzione e […] la correzione richiedono molto tempo [e] questo inevitabilmente aumenta la rarità delle occasioni». Chiude la sua riflessione una sentenza inoppugnabile: «Ma un’arte complessa e difficile come lo scrivere, se non è coltivata con frequenza, si disimpara».ii
Come docenti di italiano siamo infatti abituati ad avvalerci dell’espressione “pacchi di verifiche”, con cui si indicano le cartelle contenenti i testi degli studenti da correggere: sono dei veri e propri “pacchi”, specie se si considera che mediamente un elaborato va dalle quattro alle sei colonne e la sua correzione non può durare meno di 20 minuti. La revisione dei testi, poi, presuppone un coinvolgimento (pure emotivo) e uno sforzo intellettuale non indifferente, secondo, credo, solo a quello dei docenti di lingua straniera del triennio; oltre a dover decifrare delle grafie spesso ai limiti della leggibilità, si pone il problema di scritti spesso disorganici, che si configurano il più delle volte come “testi flusso” oppure privi di legami sintattici e logici al loro interno; da approfondire, ma non in questa sede, è la povertà concettuale, che si riverbera spesso in un bagaglio lessicale estremamente ridotto, con la ripetizione dei soliti termini, quali “persone”, “cose”, con una proliferazione di deittici, quasi ad ancorare il discorso all’oralità.
Per salvare la nostra salute mentale è quindi opportuno stabilire testi che siano vincolati tanto nelle consegne quanto nel numero di parole, righe o colonne; il feedback formativo di tali occasioni di scrittura è infatti fondamentale, perché un testo non corretto è un testo che risulta, a mio avviso, “lettera morta”. Sulla scorta poi delle indicazioni di Serianni, che ha condotto una lunga crociata contro il “tema” visto come unica modalità per valutare le competenze di scrittura degli studenti, andrebbe introdotta la pratica che, in ambito scolastico, uno scritto può configurarsi anche come un testo breve, magari di 2000 battute, come il commento a un articolo letto nel progetto «Il quotidiano in classe», la descrizione di un luogo visitato durante un’uscita didattica, l’inserimento di una sequenza narrativa in un testo letto nell’ora di antologia. Variare le tipologie di scrittura deve diventare un mantra per poter anche ovviare all’inquinamento delle scritture domestiche che, senza arrivare alla stesura da parte di future intelligenze artificiali, nemmeno il filtro antiplagio di una famosa applicazione può oggi contrastare.
Benché non mi avvalga in modo frequente della pratica del debate, ritengo poi che si possano assumere, anche nell’ambito del laboratorio di scrittura, degli elementi della sua impostazione, come la stesura di un discorso, speech nelle pubblicazioni in inglese, non inserito all’interno di una contesa, ma volto a esporre in forma orale la posizione di uno studente su un tema; il discorso dovrà infatti chiaro e accessibile, con argomenti solidi dal punto di vista logico-contenutistico. Ciò da un lato impegna lo studente in una fase di documentazione e stesura precedente all’esposizione, ma dall’altra sgrava il docente dalla correzione, dal momento che se ne valuta solo l’esposizione orale e la coerenza logica.
Documentarsi prima di scrivere: oltre la traccia citazione
Poste queste premesse e istituito il laboratorio di scrittura, ci si pone di fronte alle criticità delle prove scritte, in cui si può ricadere nella povertà contenutistica; disabituati a leggere e a informarsi, capita spesso nei testi del primo e secondo biennio di leggere e rileggere frasi stereotipate, opinioni comuni non suffragate da evidenze e tautologie. Per ovviare a queste problematiche credo che, specie negli anni iniziali della scuola superiore (fino alla terza insomma), sia opportuno evitare di proporre tracce-citazione (sulla falsa riga della tipologia C della prima prova), lavorando sul processo prima che sul prodotto.
Prima di scrivere questo articolo mi sono a mia volta documentato e ho riguardato testi chiave sulla didattica della scrittura, consultati online e in cartaceo: perché invece gli adolescenti non hanno quasi mai la possibilità di documentarsi prima di stendere, nel momento di verifica, una produzione scritta? Cosa pretendiamo scrivano di originale su un tema assegnato nel momento della prova valutativa e senza alcuna preparazione? Noi docenti saremmo capaci, posti nelle loro stesse condizioni, di fare meglio?
Da qui la proposta di far partire il lavoro di documentazione alcune settimane prima della prova di verifica: sia esso un testo espositivo, argomentativo o di attualità, un ottimo metodo è far documentare (e dibattere, possibilmente) la classe sui temi di cui andranno a scrivere. Questa modalità può essere attuata, ovviamente su temi o controversie a difficoltà crescente, sin dal terzo anno della scuola secondaria di I grado, fino ad arrivare al triennio dell’istruzione superiore.
Il digitale, citato con ironia (mista a preoccupazione) in apertura di articolo, non va evitato, ma sfruttato nella fase di documentazione e progettazione; personalmente mi avvalgo da vari anni della piattaforma Tricider, ma finalità simili si possono ottenere con la funzione “Domande” di Google Classroom, all’interno di Google Workspace, piattaforma largamente in uso nelle scuole italiane. In realtà, Tricider consente agli studenti, senza alcuna registrazione, di esprimere la propria opinione su un tema controverso proposto dall’insegnante, che avvierà la tricision (questo il nome della procedura)proponendo un’introduzione al tema e, se lo vorrà, esprimendo la propria posizione in merito. Ogni studente esporrà la sua Idea e potrà avanzare argomenti a favore, in modo ordinato, ma anche confutare argomenti esposti da altri e votare le migliori idee e argomentazioni.
L’obiettivo è quello di creare un processo di generazione di idee collettivo, che promuova delle pratiche di confronto su tematiche controverse; a titolo di esempio, avvalendomi anche del progetto de «Il quotidiano in classe», prima della stesura degli elaborati ho fatto dibattere su temi quali la sostituzione dei voti numerici con giudizi (sfruttando l’esperimento del Liceo Morgagni di Roma), l’estensione del divieto di fumo all’aperto, l’introduzione di un test di cultura generale e di politica per votare. A livelli più alti, per una classe quarta liceo, si è dibattuto e poi scritto un elaborato vincolato (solo la parte di produzione della tipologia B – Analisi e produzione di un testo argomentativo) sulla tematica controversa delle azioni di protesta nei musei da parte degli attivisti del collettivo Just stop oil (qui un ottimo spunto è stato fornito dall’editoriale di I. Bourke, Le azioni nei musei aiutano il clima?, «Internazionale», 28.10.2022). Nell’immagine sottostante viene riportata una discussione online (in cui ho nascosto i nomi degli studenti in quanto dati sensibili) sulla controversia del divieto di fumo all’aperto, che è stata oggetto della produzione scritta di marzo per una classe seconda.
Il docente potrà quindi analizzare, nelle settimane precedenti all’elaborato scritto, le opinioni degli studenti, che si saranno opportunamente documentati per poter esprimere la loro idea; preparerà quindi la traccia di un elaborato “pescando” uno degli argomenti oggetto di dibattito (online, ma ovviamente ripreso in classe) nelle settimane precedenti. Lavorare in questo modo da una parte responsabilizza gli studenti a un lavoro domestico costante e preciso (si sa che il voto della verifica è per molti il principale incentivo per applicarsi) e dall’altra consente loro di “poter scrivere” su un argomento di cui hanno contezza e su cui si sono documentati e hanno dibattuto nella classe (reale e virtuale). Si tratta, alla fine, di una scrittura molto più autentica di quella estemporanea del “tema in classe” su traccia assegnata per l’occasione, dove spesso si premiano più le “belle penne” di chi ha solidi contenuti da esporre.
Nella produzione scritta, a seconda del livello della classe e dell’anno di corso, si potranno inserire dei vincoli, come per esempio l’inizio dell’elaborato con la presentazione dell’antitesi (utile per le dinamiche di decentramento che presuppone), oppure un inizio citazione o aneddoto, l’esposizione della tesi nei paragrafi finali e via dicendo. Negli anni ho compreso come le consegne di scrittura debbano essere particolareggiate; faccio mia la provocazione di Adriano Colombo sulle tracce ministeriali che iniziano spesso con “Rifletti”: «dato che la riflessione è un’attività tutta interiore, un foglio bianco sarebbe anche in questo caso un’esecuzione adeguata».iii
Riscrivere: il diario degli errori
Ma, una volta consegnata la prova, perché il processo di scrittura continui, è essenziale che l’attività sul testo prosegua: il momento della stesura è sì centrale, ma non esaurisce la promozione delle competenze di scrittura. Un vecchio adagio ripete che “riscrivere è più importante di scrivere” e una spinta in tal proposito mi è venuta dalla partecipazione a un seminario dell’Associazione degli Italianisti Sezione Didattica a Fiera Didacta 2019, nel corso del quale Claudia Mizzotti (ADI-SD Veneto) ha sostenuto l’importanza del feedback formativo e dello spostamento del focus dalla valutazione dell’apprendimento a quella per l’apprendimento.iv Ipotizzava poi lo strumento del “diario degli errori” che, dopo una serie di comunicazioni a distanza con la formatrice, ho avuto modo di attuare in classe dall’a.s. 2019-2020; esso presuppone una stretta collaborazione tra insegnante e allievi, dal momento che devono essere ben chiare le correzioni, i criteri e i traguardi e, dall’altra parte, l’impegno nel cercare di superare le opacità e le debolezze dello studente nella scrittura.
Non è mia intenzione approfondire il tema di come andrebbero corretti gli elaborati di italiano,v quanto segnalare come, affinché la scrittura come processo diventi efficace, si debba andare verso una correzione sia risolutiva sia classificatoria; nello specifico, per chi non è del mestiere, «la correzione risolutiva prevede la riscrittura del docente ed ha la specifica funzione di proporre una forma valida, che lo studente può far propria e interiorizzare come “modello”», mentre «la correzione classificatoria suggerisce l’ambito specifico dell’imprecisione/errore; è lasciato allo studente il compito di selezionare all’interno di quell’ambito la forma migliore. Va però tenuto in conto che lo studente – scrittore inesperto- spesso non possiede gli strumenti per fare sostituzioni valide, come le revisioni fatte dagli alunni – revisioni solitamente scadenti- dimostrano».vi Come sottolinea Serianni, se «la correzione consiste nella semplice sottolineatura della forma errata o della frase a vario titolo inaccettabile […], senza sostituzioni o commenti», risulta «didatticamente sterile».vii È fondamentale tuttavia che le correzioni non diventino massive e neppure orientate dai gusti del docente: «l’importante è che [risulti] un testo accettabile, o più accettabile di prima, rimanendo in sostanza lo stesso testo. […] Un testo riscritto in gran parte, che lo studente non riconosca più come un proprio prodotto […] servirà poco allo studente».viii
Solo insistendo sulla scrittura come processo (prima, durante e dopo la prova di verifica) e non come illuminazione estemporanea delle due o tre ore di prova si potranno avere ripercussioni positive; è un fidarsi reciproco: il discente delle competenze del docente di lettere, non tuttologo, ma esperto della lingua italiana; il docente dell’allievo, che dovrà seguire le prescrizioni dell’insegnante annotate nella prova e operare, in modo individuale, sulle lacune che si presenteranno a seconda delle correzioni a latere.
Si tratta di prescrizioni del medico: se nel corso della prova (mi avvalgo della correzione classificatoria presentata nel volume di Colombo a p. 124) avrà commesso molti errori di tipo L (lessico), lo studente dovrà lavorare sul potenziamento lessicale; se invece abbonderanno gli ORT, dovrà recuperare le carenze dirigendosi sul volume di grammatica; se, andando avanti nelle ricette, ci sarà una netta abbondanza di COE, ovvero “coesione”, si dovranno rivedere i connettivi testuali che legano il testo, svolgendo, per esempio, esercizi di cloze.
Lo sfondo teorico è quello della didattica per competenze e della differenza tra valutazione dell’apprendimento e per l’apprendimento: come afferma Gabriella Pozzo, «La valutazione per competenze dovrà dunque dotarsi di dispositivi che permettano di osservare la competenza nel suo evolversi da punti di vista diversi, dell’insegnante ma anche dei singoli alunni, e di rilevare anche aspetti complessi come le percezioni, i processi, gli atteggiamenti».ix
La compilazione di tale “diario degli errori” risulterà poi efficace e stimolante per gli allievi solo se essi ne potranno far uso nelle prove di verifica e, ovviamente, in tutte le occasioni di scrittura che capiteranno ora; da una parte si responsabilizzano alla stesura di una sorta di memento errores, dall’altra trascrivere e poi avere sott’occhio le imprecisioni, opacità ed errori ricorrenti serve nella fase di revisione del testo, che dovrebbe occupare la parte finale della prova (di qui dunque la proposta di non concedere mai meno di tre ore per una qualsiasi produzione scritta).
Va sottolineato che, affinché questo processo risulti virtuoso, la consegna e correzione della prova non dovrà avvenire a settimane di distanza ma, a mio avviso, entro 7 giorni, altrimenti l’allievo avrà perso il ricordo di quanto scritto, così come l’interesse nel ritornare su temi affrontati nell’elaborato. Tornando al concetto di valutazione formativa, come sottolinea Colombo nel bel capitolo Correggere e valutare un testo scritto, «una seconda valutazione, che sia un voto o altro [aggiungo io, un giudizio nel registro], è una motivazione estrinseca che può spingere l’allievo ad affrontare la fatica, in sé poco attraente, di tornare su un testo già scritto».x
Una palestra di scrittura…con pochi iscritti
Arrivato alla fine di questo articolo, ci si domanda se tale pratica è sostenibile oppure porti all’esasperazione tanto i docenti quanto gli alunni; devo ammettere che, per esperienza, risulta piuttosto sfibrante nelle prime fasi ma, una volta avviato il laboratorio di scrittura, gli studenti procedono in automatico con lo svolgimento dell’attività di confronto online, la stesura del diario degli errori dopo la restituzione della verifica, la consegna delle prove gravemente insufficienti su piattaforma e lo svolgimento delle attività sussidiarie di recupero e consolidamento delle carenze. A ciò si aggiunge una componente “ludica” nella conta degli errori tra una prova e l’altra e in quella della stesura del “diario” con l’utilizzo di diversi colori nell’indicazione degli errori. Va da sé che il rigore è richiesto da ambo le parti: come docente nel sottolineare con precisione la tipologia di errore, senza scadere in correzioni che denotino trascuratezza e disinteresse verso l’autore; come discente nel compilare il diario in modo non sciatto e superficiale.
Ma, onestamente, su cattedre di lettere spesso configurate con tre classi di italiano, magari da 25 e più alunni, tale lavoro risulta spesso faticoso per il docente, specie nella scuola degli ultimi anni, con una burocrazia opprimente; forse, più che parlare di docente tutor, anche in considerazione dell’inverno demografico in atto (e che raggiungerà tra pochi anni anche il secondo ciclo), sarebbe opportuno configurare le classi con 15-18 allievi, di cui seguire sì, come un tutor, il processo di apprendimento (anche della scrittura, vera e propria competenza trasversale), prima ancora che istituire una figura specifica. Credo che molte problematiche che affliggono il nostro settore (in primis l’alto tasso di dispersione scolastica) potrebbero risolversi con questa semplice riduzione del numero di studenti per classi.
i L. Serianni, L’ora di italiano. Scuola e materie umanistiche, Laterza, Bari 2010, p. IX.
ii A. Colombo, «A ME MI». Dubbi, errori, correzioni nell’italiano scritto, FrancoAngeli, Milano 2011, p. 18.
iii A. Colombo, p. 17.
iv Claudia Mizzotti Scrivere e parlare nell’età della frammentazione, relazione al seminario Quale didattica dell’italiano in relazione al nuovo esame di Stato, Didacta 2019.
v Cfr. L. Serianni, G. Benedetti, L’italiano a scuola tra alunni e insegnanti, Carocci, Roma 2009.
vi L. Zambelli, Correggere gli scritti degli alunni. Indagine sulle metodologie utilizzate dai docenti negli interventi sugli elaborati scritti, Giscel Lombardia.
vii L. Serianni, G. Benedetti, pp. 98-99.
viii A. Colombo, p. 126.
ix G. Pozzo, Costruire competenze a scuola, in G. Benetti, M. Casellato, Imparare per competenze. Principi, strategie, esperienze, «I Quaderni della Ricerca Loescher», 11, 2014, p. 18.
x A. Colombo, p. 127.
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Caporedattore
Roberto Contu
Editore
G.B. Palumbo Editore
A tal proposito e su tal argomento, mi chiedo se la figura del docente tutor non possa coniugarsi con una pratica di ‘orientamento narrativo’, cioè incentrarsi su scrittura, lettura, narrazione (ascolto e produzione orale), proprio per andare incontro alle criticità che tutti ravvisiamo nei nostri ‘laboratori di scrittura’. In accordo con le pratiche imparate nel WRW (Writing and Reading Workshop) e con la didattica anglosassone, svolgo normalmente nelle mie classi liceali tutte le fasi di cui il processo di scrittura si compone: prescrittura (intesa come reperimento di idee e informazioni; brainstorming e discussione guidata), stesura di prima bozza, consulenze, seconda bozza, revisione. Valuto (do valore) sempre i prodotti e lo faccio celermente. Ho la pretesa di dire che nelle mie classi si scrive di più e meglio del solito, anche ripensando alla mia didattica pregressa. Ma da qualche anno, appunto, mi pare che tutto vada meglio.